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EUROPA

«Nessuno è nazionalsocialista, ma tutti socialnazionalisti»

Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk sostiene che lo Stato sociale c'è per "merito"
di Stalin... Vale a dire
un semisocialismo fiscalizzato, massmediaticamente integrato
e fondato su un’economia condizionata dagli interessi che in molti chiamano capitalismo.

Cultura 31_12_2011
Peter Sloterdijk

 

Il filosofo tedesco Peter Sloterdijk - un tipo già paragonato per influenza e autorevolezza a un Hans-Georg Gadamer (1900-2002), docente di Filosofia ed Estetica alla Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, di cui dal 2001 è anche rettore, nonché all'Accademia di Belle Arti di Vienna - non è amatissimo negli ambienti accademici tedeschi, soprattutto perché capace di comunicare posizioni chiare su temi contingenti, finendo così con l’essere apprezzato da un’ampia schiera di lettori non specializzati (i suoi libri sono sempre dei successi editoriali). L’ultima sua articolata uscita pubblica è di qualche giorno fa, una lunga intervista firmata da Gabor Steingart e Torsten Riecke e apparsa sul più importante quotidiano economico e finanziario Handelsblatt col titolo Gli stati pignorano l’aria e le banche respirano a pieni polmoni.

Giocando sul duplice significato del termine tedesco Schuld (“colpa” e “debito”) Sloterdijk esordisce rispondendo provocatoriamente alla domanda «chi è colpevole per i debiti?» («wer ist schuld an den Schulden?»): «Questo significa che esistono due modalità attraverso le quali gli uomini possono sentirsi vincolati ad un passato opprimente. Quello dei debiti rappresenta il vincolo moderno. I debiti sono per così dire i peccati alla cui remissione si può contribuire con l’estinzione (il debito di carattere morale dev’essere invece rimesso da un altro)». Sempre sul tema del rapporto tra colpa e debito, il filosofo sostiene che «la lunga mano del debito-colpa, che dal passato arriva ad afferrare il presente, nella società moderna viene raffigurata principalmente tramite il credito. Il credito dev’essere fissato a due ormeggi: il pegno e lo Stato, il quale è garante del pignoramento».

Provocato dagli intervistatori sull’illusione dell’estinzione (ogni stato debitore paga i propri debiti accumulandone di nuovi), Sloterdijk cita a sorpresa Dante: «Neppure a lui sarebbe potuta venire un’idea simile. Alla sua Divina Commedia andrebbe aggiunta oggi una quarta cantica. È noto come egli abbia concepito il Purgatorio come luogo di espiazione, per chi si è reso responsabile di peccati veniali, diciamo estinguibili. Questi sono indicati con sette ‘P’(peccato) scritte sulla fronte dei peccatori e ad ogni tappa ne viene cancellata una, finché la fronte del peccatore non risulta pulita. Nessun uomo del Medioevo poteva immaginare che si potessero convertire i carichi del passato, ma nell’integrazione al Purgatorio accadrebbe proprio questo: lo svantaggio sarebbe che non ci si libererebbe mai del passato e sarebbe ormai fuori discussione qualsiasi possibilità di salita nella sfera delle gioie celesti».

Una lunga parte dell’intervista al filosofo viene poi dedicata al comunismo, a ciò che ha lasciato in eredità, alla socialdemocrazia. Nel XX secolo, ricorda Sloterdijk, abbiamo avuto a lungo «il socialismo reale davanti alla porta di casa», soprattutto i tedeschi sono stati sottoposti ad una «enorme pressione psicologica», e da questo è derivata la «generale socialdemocratizzazione dell’Occidente: in altre parole il compagno Stalin ci ha fatto il dono dello stato sociale», altrimenti detto «semi-socialismo». «Da tempo», questa la frase che suona come una dura sentenza, «viviamo in un semi-socialismo fiscalizzato, massmediaticamente integrato e fondato su un’economia condizionata dagli interessi che in molti chiamano capitalismo».

Parole chiare Sloterdijk le riserva anche per la Grecia, per l’idealizzazione del suo passato democratico, che senza mezzi termini definisce «una favola»: «L’idea dello Stato lì non è mai arrivata. Mi arrabbio molto quando sento parlare della Grecia come della culla della democrazia». La realtà ellenica è piuttosto per il pensatore tedesco una «rovina psicopolitica, nella quale l’occupazione turca, durata quattrocento anni, ha lasciato un sedimento di rassegnazione, di interesse per i soli affari privati, di furberie, di distanza dallo Stato».

Il giudizio di Sloterkijk sull’occupazione ottomana è senza appello: «I turchi hanno avuto quattrocento anni a disposizione per diventare europei, ma è successo che sono stati i greci ad essersi orientalizzati, e non i turchi a europeizzarsi». E per rafforzare il concetto cita Joseph de Maistre, secondo il quale i turchi, «sebbene accampati su suolo europeo, rimasero tartari».
Interrogato su ciò che più lo preoccupa dell’attuale situazione Sloterdijk non ha dubbi: «Una demoralizzazione generale è peggio di qualsiasi recessione. Le recessioni sollecitano quantomeno un recupero del senso della misura, delle proporzioni. Da decenni viviamo in un’atmosfera spettrale attraverso la quale giunge alle persone un doppio messaggio: risparmiare e scialacquare, rischiare e creare economia solida. Alla lunga questo porta all’assoluta esasperazione. Lo stesso effetto demoralizzante deriva dal fatto che i redditi crescono in maniera frenetica senza che sia alcuna produzione. Tutto questo finisce con l’avvelenare in particolare i giovani ed ha un nome in sé odioso: il sogno della sovraremunerazione».

Una frecciata non da poco Sloterdijk la indirizza verso il collega Jürgen Habermas, propugnatore di realtà sovrastatali più solide. L’accusa è di «non aver riflettuto correttamente su alcuni presupposti delle sue tesi. La sua analisi di base è manchevole, perché non tiene conto del fatto che gli stati nazionali non esistono solo in virtù delle loro tradizioni, dei loro tratti culturali, della loro ignavia. Essi esistono ed hanno un futuro perché i sistemi di solidarietà sono organizzati oggi come ieri su base nazionale. Cioè, oggi nessuno è nessuno è nazionalsocialista, ma tutti sono socialnazionalisti. Fino a nuovo avviso viviamo in una condizione di socialnazionalismo reale, poiché i rapporti tra generazioni sono stati stipulati secondo formati nazionali. Il riflesso socialnazionalista permette a ciascuno di noi di dire: Ubi bene, tibi patria. La mia casa è lì dove mi vengono garantiti i soldi per la vecchiaia».

Ed è in conclusione d’intervista che Sloterdijk si concede una nota di merito indirizzata alla cancelliera Merkel, meritevole fin d’ora, secondo il filosofo, del premio Nobel per l’economia per il solo fatto di essersi opposta agli euro-bond, sebbene «circondata in Europa da socialpopulisti volonterosi nel portare avanti il loro gioco mortale».