Nemici-amici E' la strategia Trump
Alla vigilia di ogni suo importante incontro internazionale Trump un po’ lascia girare e un po’ alimenta di persona notizie di dissensi e di attriti per quindi giocare con disinvoltura la carta della cordialità e del “Abbiamo visto che possiamo fare molte cose insieme”. E' successo con Putin, col Papa e ora con il presidente Macron. Ci si inventa insomma una freddezza che non c’è, e poi si fa la notizia sul fatto che non ci sia.
Per restare solo ai casi più importanti siamo già a tre. Sulle prime pagine della stampa che più conta nel mondo (sempre meno si capisce perché mai), l’incontro di ieri e dell’altro ieri fra Trump e Macron è stato raccontato ispirandosi al medesimo e sempre più logoro copione. E’ un copione i cui due eterni pilastri sono da un lato il preannuncio di grandi incomprensioni e attriti nei giorni che precedono l’incontro, e dall’altro la sorpresa per la cordialità dei colloqui e per i loro positivi risultati nei giorni che lo seguono. Era già accaduto con il Papa e con Putin, ma anche con altri personaggi dal re dell’Arabia Saudita al premier israeliano. Ci si inventa insomma una freddezza che non c’è, e poi si fa la notizia sul fatto che non ci sia.
Continua insomma la mobilitazione contro Trump di un ordine costituito del sistema mediatico internazionale che non lo voleva, che è stato preso di sorpresa dalla sua elezione, che non lo sopporta e non vi si rassegna. Non è questa malgrado tutto una battaglia impari. Trump infatti, che è fra l’altro un’ex star televisiva, conoscendo benissimo la tecnica e il linguaggio della comunicazione massmediatica, sta al gioco con grande abilità e per lo più finisce per aggiudicarsi la partita. D’altra parte questa sua destrezza era già emersa nel corso della sua campagna elettorale quando si mise sistematicamente a provocare le reazioni sempre più scomposte dei giornali e dei telegiornali “liberal”, dal New York Times alla Cnn, avendo capito che la campagna contro di lui organizzata da questi organi di stampa giocava per contraccolpo a favore dello schieramento a suo favore del blocco sociale che infatti gli ha poi dato la vittoria. Oggi che è alla Casa Bianca egli usa con altrettanta destrezza a suo favore del “Russiagate”, una montatura che non ha alcuna possibilità di successo.
Alla vigilia di ogni suo importante incontro internazionale Trump un po’ lascia girare e un po’ alimenta di persona notizie di dissensi e di attriti per quindi giocare con disinvoltura la carta della cordialità e del “Abbiamo visto che possiamo fare molte cose insieme”.
Se poi si passa dall’osservazione della sua tattica a quella della sua strategia diventa chiaro che l’uomo fa quello che ha promesso e sulla base di cui è stato eletto. Come europei possiamo talvolta esserne lieti e talvolta no, ma innanzitutto dobbiamo guardare alla realtà dei fatti e non ai vaneggiamenti per procura di quei corrispondenti italiani a New York che ogni sera, quando là dove vivono è mattina, ci ripetono come disciplinati pappagalline quanto hanno appena letto sul New York Times e sul Washington Post.
Trump non ama l’Unione Europea. In campagna elettorale aveva detto chiaro e tondo di considerarla un tentativo fallito di costruire un grande mercato interno in grado di far fronte a quello degli Stati Uniti. Da presidente non ha mai cessato di snobbare gli gnomi di Bruxelles, da Junker a Tusk, ritenendo che nel continente europeo ci sono soltanto due Paesi con cui si deve trattare, la Germania e la Francia; da prendere però in conto uno alla volta e non in blocco. E c’è poi un Paese con cui avere grande cordialità di rapporti: la Polonia. Questo sia per mandare un “segnale” alla Germania; e sia perché i polacchi-americani sono un pilastro del suo elettorato. Ci potrà dispiacere, ma l’Italia - e in particolare l’Italia di Renzi e di Gentiloni, maldestri e sfegatati ex-tifosi dell’ultima ora di Obama - non è invece in cima ai suoi pensieri.
Così stanno le cose, e tutto questo aiuta a capire obiettivi e risultati della sua visita di questi giorni a Parigi e del suo incontro con Macron. Il nuovo presidente francese è stato eletto con voti per lo più socialisti, ma con un programma per lo più nazionalista. Chi non ci crede vada a leggersi o a riascoltare il suo discorso davanti al Louvre la sera della sua vittoria contro Marine Le Pen. Da quanto si è visto e ascoltato in questi giorni a Parigi non si stenta a capire che Trump punta a prescindere dall’Unione Europea e a tenere a bada la Germania, facendo leva sulle ambizioni francesi (e sulle simpatie di cui gode in Polonia). Come si muove frattanto il nostro governo? Non si muove, non ha tempo, è tutto assorbito dalla battaglia per lo ius soli.