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Nemica di eresie e di ideologie

Culto mariano ed eresia, teologia della liberazione e ideologia. Ma, come dice Bergoglio: «Più gli agenti pastorali scoprono la pietà popolare, più l’ideologia decade perché si avvicinano alla gente e ai suoi problemi con una ermeneutica reale tratta dal popolo stesso».

Editoriali 20_04_2013
Papa Francesco

In uno dei tanti libri usciti a tamburo battente dopo l’elezione di papa Francesco, c’è un’intervista che nel 2010 egli concesse a due giornalisti Sergio Rubin e Francesca Angioletti. Ebbene, proprio in una delle risposte dell’allora cardinale di Buenos Aires Jorge Bergoglio, trovo alcune frasi che mi hanno colpito molto e che riguardano, seppure indirettamente, anche i temi mariani che qui ci interessano.

Il contesto nel quale in quel momento l’intervista si muove è quello della teologia della liberazione che, come è noto, costituì per parecchio tempo una spina nel fianco dell’episcopato dell’America latina ma anche della Chiesa intera e che richiese una presa di posizione anche da parte della Congregazione della Dottrina della fede, diretta a quel tempo dall’allora cardinal Ratzinger.

In realtà sappiamo che più che di una teologia, si trattava di una ideologia elaborata a tavolino da alcuni teologi europei e successivamente esportata nel cosiddetto Terzo mondo, il quale aveva sì bisogno di trovare una via d’uscita ai propri problemi di povertà, ma non certo con una strumentalizzazione in chiave politica della fede.

«La maggiore preoccupazione per i poveri che negli anni Sessanta irruppe nel cattolicesimo – dice Bergoglio -  costituiva un brodo di cultura perfetto per qualunque ideologia. Il rischio era di snaturare  una cosa che la Chiesa ha chiesto nel Concilio Vaticano II e che da allora non ha mai smesso di ripetere: bisogna trovare il cammino giusto per rispondere alla preoccupazione per i poveri, esigenza evangelica assolutamente imprescindibile e centrale».

Il rischio dunque che la fede degenerasse in ideologia – anche per istigazione di quell’Europa che era maestra nel crearne una dopo l’altra – era reale e la pressione generata dai tanti problemi fortissima. Eppure, nonostante  alcune deviazioni, alla fine si riuscì a mantenere un se pur difficile equilibrio. Come fu possibile tutto questo? Ecco come lo spiega Bergoglio: «Il pericolo di una infiltrazione ideologica è via via scomparso, mentre cresceva la consapevolezza di una grande ricchezza del nostro popolo: la pietà popolare». Infatti: «Più gli agenti pastorali scoprono la pietà popolare, più l’ideologia decade perché si avvicinano alla gente e ai suoi problemi con una ermeneutica reale tratta dal popolo stesso».

Poche parole che tuttavia contengono una verità scioccante: chi alla fine permise di rimettere la barra al centro, facendo capire molte cose anche a teologi, sacerdoti, religiosi eccitati dall’idea della rivoluzione, fu la fede tenace e persistente della gente semplice. L’istinto religioso delle persone concrete, di quelle che, a differenza degli intellettuali che elaborano teorie a tavolino, si trovano davvero a dover combattere con i problemi reali di sopravvivenza. E che proprio per questo alla fine intuiscono come stiano davvero le cose riuscendo, anche in situazioni di estrema difficoltà materiale, a mantenere vivo e operante quel sensus fidei che li spinge  a cercare aiuto e protezione dove capiscono di poterli davvero trovare. Dove avvertono che, nonostante tutto, il loro essere trova accoglienza e la loro esistenza, per quanto miserrima, un significato.

E quanta parte di questa pietà popolare si esprima nel culto mariano lo sappiamo bene. Da mesi anche in queste pagine non facciamo altro che ripeterci quanto sia forte, radicata fin dalle origini cristiane, l’invocazione alla Madre per giungere al Figlio. Così come continuiamo a dirci che è l’esperienza di duemila anni a confermarci che tutto ciò è realtà e non pia illusione, è certezza di aiuto e non sogno nebuloso. Le filosofie, le ideologie, le mode di tutti i tipi passano. Tra mille incertezze e difficoltà, la fede rimane l’unica speranza certa.

Ma c’è di più, perché credo che quanto diceva Bergoglio a proposito della teologia della liberazione valga per tutti i contesti. Anche per questo nostro europeo di oggi, in crisi da tanti punti di vista. Così, se siamo onesti, non possiamo non ammettere una cosa assai importante e al contempo assai semplice e cioè che, mentre per decenni ci si è accapigliati per decidere come si dovesse realizzare il Concilio e la nuova evangelizzazione, quel poco di fede che nonostante tutto restava in circolazione, era in gran parte quella che si alimentava a fenomeni capaci si suscitare la pietà popolare e di rispondere alle sue esigenze, come le apparizioni e i santuari mariani. Oppure, un povero cappuccino stigmatizzato e fatto simile a Cristo stesso, come padre Pio.

D’altra parte, forse è proprio dall’aver capito tutto questo che, ora papa, Jorge Bergoglio trae quella sua semplicità capace di porsi in collegamento immediato con ciò che sta, magari sepolto sotto la cenere, nel cuore di molti e cioè il bisogno istintivo, primario e ineludibile di Dio e del suo amore.