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I VENERDÌ DELLA BUSSOLA

Nella tempesta una fede certa, con Athanasius Schneider

In collegamento dal Kazakistan, monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, intervistato da Stefano Chiappalone. Una fede certa nella tempesta: questa è la sua vita.

Ecclesia 21_12_2024
Atanasius Schneider (a sinistra) accoglie Papa Francesco in Kazakistan (La Presse)

In queste due settimane il Venerdì della Bussola si articola sul tema Nella tempesta, una fede certa che fa da filo conduttore della nostra campagna raccolta fondi natalizia e quel che cerchiamo di offrire quotidianamente con la Nuova Bussola Quotidiana e con il mensile di apologetica. Oggi abbiamo avuto ospite, in collegamento dal Kazakistan, monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, intervistato da Stefano Chiappalone.

Rileggendo il suo Christus Vincit sembra che la fede nella tempesta sia il filo conduttore della stessa vita di Schneider, di famiglia tedesca, ma nato nel Kirghizistan, la più orientale delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. «Appartengo a quelli che erano chiamati i tedeschi di Russia – spiega monsignor Schneider - C’erano territori imperiali russi abitati da tedeschi sul Volga e sul Mar Nero, io facevo parte di questa seconda comunità. Il dono più grande che mi ha lasciato questa origine: la fede salda, cattolica, di tutti i miei avi. Quando iniziò il terrore rosso, prese di mira soprattutto i cattolici, riconosciuti come il vero nemico dei nemici di Dio». Da qui l’odissea nello spazio ex sovietico: «Sono nato in Kirghizistan, ho vissuto in Estonia, ho conosciuto sacerdoti e attivisti della Chiesa clandestina di cui facevano parte anche i miei genitori. Mi hanno educato nella fede cattolica, in mezzo a quella tempesta. E considero quel tempo, un periodo di tante grazie divine».

A partire dal matrimonio dei suoi genitori: «Erano stati deportati sugli Urali, dove non c’erano sacerdoti. E così il diritto canonico fa il possibile: i cattolici che vogliono sposarsi e non hanno un sacerdote (assente per più di un mese), possono sposarsi alla presenza di testimoni. Mio nonno, Sebastian, era un cattolico devoto di 27 anni, arrestato e fucilato. Era cattolico, era tedesco e aveva qualche proprietà: questo era sufficiente per condannarlo a morte nel regime stalinista. Un regime che ha ucciso circa 20 milioni di cittadini sovietici. I comunisti chiamavano queste operazioni le “purghe” (purificazioni). Mia nonna è rimasta sola, giovanissima e con due bambini piccoli, i comunisti hanno perquisito casa sua, piena di immagini sacre. E non era permesso mostrare la religiosità, così la polizia politica ha ordinato di toglierle tutte. Mia nonna si è rifiutata e allora un poliziotto ha provato a toglierle, ma è stato sgridato da mia nonna. L’agente era quasi paralizzato, come esorcizzato, se ne è andato in silenzio. Per me è stato un miracolo, un intervento della Provvidenza: mia nonna era molto timida, ma in quel momento la grazia di Dio le ha dato forza. Così Dio protegge i suoi anche nei momenti più difficili».

C’è un altro episodio, che a raccontarlo sembra ironico: Schneider ha fatto il chierichetto già nella culla. «Il sacerdote, Alessio Zaryckyj, ucraino, era stato salvato dai miei genitori, dalla polizia politica. Confinato agli arresti domiciliari, visitava comunque i cattolici, correndo il pericolo di essere giustiziato. Quando i miei sono stati trasferiti dagli Urali al Kirghizistan, lui veniva ancora da noi. Alessio venne a trovarci. A messa mi posero, in culla, di fianco all’altare: così fui chierichetto per la prima volta. Io considero questa messa in casa, questa benedizione di Alessio, ora martire beato, come l’origine della mia vocazione sacerdotale». E la Provvidenza divina diede altri segni: «Prima della nomina di vescovo, ero sacerdote a Karaganda, in Kazakistan. Fui chiamato ad aiutare alla formazione dei sacerdoti, con la benedizione speciale di Giovanni Paolo II. Sono rimasto a servire nel seminario e Benedetto XVI mi ha nominato vescovo ausiliare di Karaganda. Mi sono reso conto solo allora che il beato Alessio era stato martirizzato proprio a Karaganda».

Nel mondo libero, intanto, la situazione della Chiesa era burrascosa per altri motivi: «Noi, nell’Urss, immaginavamo la Germania come il paradiso. Il nostro confessore in Estonia, padre Pavlovskis, anch’egli internato a Karaganda, mi diede la prima Comunione e quando ci apprestavamo a lasciare l’Urss, nel 1973, ci disse: “State attenti perché in alcune chiese in Germania danno la comunione in mano, evitate quelle chiese”. Abbiamo vissuto in un paese cattolico nella Germania meridionale con tre chiese: in tutte e tre i fedeli prendevano la comunione in mano. Avevo tredici anni e per me era molto strano. Mia madre piangeva, quando lo vide. Fu uno shock spirituale indimenticabile». Non è solo una questione di “esteriorità” o formalismo. «Se noi abbiamo fede, crediamo che questa piccola ostia consacrata contiene l’infinita maestà di nostro Signore. Se noi ce ne rendiamo conto, non possiamo considerare come secondario come viene trattata l’ostia. Non è esteriorità superflua regalare un fiore alla ragazza che amiamo. Così, se noi amiamo Dio, che si è fatto così piccolo, così indifeso, questo fatto ci deve sconvolgere. Istintivamente ci mettiamo in ginocchio. Non è farisaismo: i farisei osservavano le cose esteriori, ma non avevano fede. Noi abbiamo fede e dobbiamo imitare il peccatore che si metteva in fondo al tempio (non in cima, come i farisei), in ginocchio che si batteva il petto, un gesto esteriore. Giovanni Paolo II L'Ecclesia de Eucharistia, la sua ultima enciclica, che considero il suo testamento: “Non c'è pericolo di esagerare nella cura di questo Mistero”. Questa è la fede degli apostoli, questo ci hanno trasmesso i santi e i confessori. E spero che la Chiesa ristabilisca il modo più chiaro, più rispettoso, sacrale, in questo momento così importante del nostro incontro vivo, nella Comunione sacramentale, con Gesù nostro Signore».

In Kazakistan «La maggioranza è musulmana, c’è una considerevole presenza della Chiesa ortodossa, con cui abbiamo ottimi rapporti. La nostra è una evangelizzazione di testimonianza. Anche i musulmani hanno una sensibilità profonda per i segni. I nostri concittadini musulmani, per esempio, amano vedere un sacerdote in talare, una suora con l’abito: lo considerano una benedizione per loro e per la loro casa. È una evangelizzazione silenziosa e molti per questo si convertono, o si considerano comunque onorati». Eppure in Occidente c’è spesso un po’ di paura della testimonianza… «Mi ricordo di un incontro con un giovane musulmano, non praticante, alla ricerca di Dio. Veniva nella nostra chiesa e leggeva il Vangelo. Questo studente venne da me e mi disse. “Il cristianesimo che vediamo in Occidente non è attraente perché non ha coraggio, è debole. Chi da musulmano cerca Cristo ha bisogno di una testimonianza chiara, coraggiosa, convincente”».

Attualmente, anche dai pastori si sente un po’ tutto e il contrario di tutto. Alcuni si chiedono dove sia la Chiesa. «Le porte dell’inferno non prevarranno – conclude monsignor Schneider -  dobbiamo crederlo fermamente. Anche se nel nostro tempo la Chiesa deve attraversare una tempesta molto forte, anche dentro la Chiesa, anche nella Santa Sede. Ma Cristo ha dato l’esempio, quando era in barca con gli apostoli e incominciò una tempesta. I discepoli svegliarono Gesù e Gesù ordinò alla tempesta di andarsene. Tornò la quiete. Cristo si alzerà, anche nel nostro tempo e per mezzo dei suoi pastori, papi, vescovi, ristabilirà, proclamerà la fede, con chiarezza, per la consolazione e per la gioia di tutti i cristiani, di tutti i cattolici».