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LIBERTA' RELIGIOSA/5

Nel Laos, dove i cristiani muoiono di fame

La Repubblica Popolare Democratica del Laos è governata dal Partito rivoluzionario che controlla in modo capillare le attività religiose.

Attualità 09_04_2011
Laos

 

Siamo nel 2008, a Katin, nel distretto di Saravan, nel sud del Laos. Un gruppo di abitanti convertito al cristianesimo celebra il funerale di uno di loro, morto per asfissia. Le autorità locali si scatenano quando vedono che i familiari mettono una croce di legno sulla sua tomba: li accusano di “praticare i rituali dei nemici dello Stato” e confiscono un maiale ed un bufalo come punizione. Un maiale equivale a circa sei settimane di salario per un abitante della provincia di Saravan. Uccidere il bestiame di proprietà di famiglie cristiane è una tecnica molto usata per ridurre in stato di indigenza i cristiani e costringerli ad abbandonare la fede.

Nel luglio del 2009, i capi villaggio mettono al bando il cristianesimo. L’unica forma di prassi religiosa autorizzata è il culto degli spiriti. Nonostante le intimidazioni, undici famiglie resistono, senza abbandonare la fede. Davanti al loro rifiuto, la risposta del villaggio è durissima. E’ il 10 gennaio del 2010. Un funzionario per gli affari religiosi, tre poliziotti e quindici membri di un'unità di volontari, puntano le pistole alla testa di quarantotto cristiani, adulti e bambini,  ordinando loro di abiurare la fede. Ricevendo un rifiuto, li hanno fatti camminare per sei chilometri lasciando le famiglie sul ciglio di una strada senza viveri o mezzi per sopravvivere. La polizia si apposta poi davanti al villaggio per impedire ai cristiani di ritornare alle loro case. I loro beni personali vengono confiscati e le loro case distrutte. La loro colpa è quella di essere stati sorpresi durante una cerimonia religiosa. Riferiscono l’episodio sia l'osservatorio “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” che l'”International Christian Concern”.

Per alleviare la precaria situazione alimentare, le famiglie cristiane seminano il riso fuori stagione, ma i capi villaggio, lo scorso 26 dicembre, fanno distruggere i “paddies” (come vengono chiamati i campi di riso), fanno bruciare le recinzioni e fanno calpestare le piantine per evitare ogni eventuale ricrescita. Tre giorni prima, erano state espulse con la forza altre sette famiglie cristiane di Katin, che si sono aggiunte alle undici cacciate in precedenza, rendendo drammatica in questo modo l’emergenza alimentare. Fonti cristiane in Laos, citate da Christian Solidarity Worldwide (CSW), riferiscono che i capi del villaggio impediscono ai contadini di tornare nelle loro case e riprendere possesso delle terre. I funzionari hanno imposto alle famiglie della zona di non aiutare i cristiani o fornire loro cibo. Il timore è che le autorità vogliano “affamare” le persone, fino a che “non abbandoneranno il cristianesimo”.

Nata nel 1975, dopo una guerra civile durata 15 anni, la Repubblica Popolare Democratica del Laos – uno dei Paesi dove è piu’ alto l’indice della malnutrizione infantile, con metà dei bambini delle campagne sotto i cinque anni cronicamente malnutriti e un numero ancora maggiore nelle zone isolate e tra i gruppi di etnia diversa dalla laotiana-thailandese - è governata dal Partito rivoluzionario del popolo del Laos. In base a quanto denuncia il rapporto dell’Istituto di Diritto Pontificio Aiuto alla Chiesa che soffre, il Governo controlla in modo capillare le attività religiose dei laotiani.

Il cristianesimo è visto come una religione straniera, propria degli Stati occidentali. La Chiesa cattolica del Laos – i cattolici sono poco piu’ di 46mila su una popolazione di circa 6,5 milioni di persone - è divisa in quattro vicariati apostolici (Luang Prabang, Paksé, Savannakhet e Vientiane) e conta appena quindici sacerdoti ed un centinaio di suore. Nel 2010, migliaia di cattolici hanno partecipato a Thakhek all’ordinazione del nuovo vescovo del vicariato apostolico di Savannakhet, monsignor Jean Marie Prida Inthirath, parroco di Khoksang e Keng Kasi ed inoltre rettore dell’unico Seminario maggiore del paese asiatico, quello di San Giovanni Maria Vianney, sempre a Thakhek. I cattolici sono concentrati nei maggiori centri urbani delle regioni del centro e del sud, dove sono generalmente liberi di professare la propria fede. Al nord, la presenza cattolica è molto limitata. Il governo impedisce da almeno 20 anni al vescovo che si occupa del nord del Laos di insediarsi a Luang Prabang, ma gli permette di viaggiare a intermittenza per visitare le comunità di fedeli presenti. Negli ultimi anni il governo sta allentando la morsa che limita il cattolicesimo al nord, anche se ancora non ha restituito diverse proprietà della Chiesa, tra cui una scuola, confiscate dopo il 1975. Recentemente, lo scorso 29 gennaio, dopo quaranta anni, si è potuta svolgere la prima ordinazione sacerdotale nel nord Laos. La cerimonia per Pierre (Pietro) Buntha Silaphet avrebbe dovuto avvenire il 12 dicembre, ma è stata spostata di quasi due mesi.L’ordinazione è avvenuta a Takhek. Il nome laotiano del sacerdote (“Buntha”), è identico a quello dell’ultimo sacerdote di etnia K’hmù, ordinato a Luang Prabang nel 1970, 41 anni fa, da mons. Alessandro Staccioli, vicario apostolico dal febbraio 1968 al 1975: fu imprigionato nel 1975 - in quell’anno il governo decise l’espulsione di tutti i missionari stranieri, senza possibilità di rientrare nel Paese - e liberato nel 1989.

Più critica rispetto alla situazione dei cattolici, è quella dei protestanti, contro i quali, nel 2009, sono avvenuti diversi casi di aggressione e soprusi. Il 3 settembre è stato arrestato Thao Oun, anziano della Chiesa Boukham, nel villaggio di Liansai. La polizia gli ha puntato la pistola alla testa ordinando di abiurare “la religione straniera”. Davanti al suo rifiuto, il capo del sottodistretto della polizia gli ha detto che quel trattamento sarebbe finito “solo dopo la morte di tutti i fedeli della Chiesa Boukham”. Il 5 settembre è stato arrestato Thao Aom, cristiano convertito da soli 10 mesi. Dopo aver rifiutato di abiurare le autorità lo hanno bandito dal suo villaggio. Il giorno dopo, la polizia ha circondato la locale chiesa Boukham, nel villaggio Lainsai ed ha impedito ai fedeli di entrare per pregare. Nella zona le autorità impediscono ai cristiani di mandare i loro figli a scuola e negano loro l’acqua, le cure mediche e la protezione della legge. Il 19 marzo, nel villaggio di Nomsomboon, le forze di sicurezza hanno distrutto la chiesa locale mentre i cristiani si trovavano a Burikan, dove la polizia aveva chiesto di incontrarli. Il 12 giugno sono stati arrestati 13 cristiani senza che venisse data loro nessuna spiegazione. L’11 luglio, nel villaggio di Katin, è stato comunicato ai 53 cristiani presenti in quella comunità che se non avessero cominciato ad adorare gli spiriti locali, seconda la tradizione laotiana, avrebbero rischiato di perdere i diritti e le proprietà.

Ancora più grave – rileva Aiuto alla Chiesa che soffre - è la sorte dei cristiani dell’etnia hmong, oggetto di ricorrenti discriminazioni e repressioni. La testimonianza più lontana di questo gruppo etnico si può far risalire a circa 2000 anni fa. Vivono in piccoli villaggi sulle montagne, sostenendosi con agricoltura (riso e frumento) e allevamento (suini, bovini). Al momento la popolazione è distribuita fra Cina (3milioni), Vietnam (800mila), Laos (450mila); inoltre vari esodi hanno caratterizzato questa etnia che possiamo ritrovare in Thailandia, Usa, Francia.

La seconda guerra di Indocina terminata negli anni 1973-75 e perdurata per 15 anni circa ha condotto i Hmong, abitanti delle zona sul confine fra Laos e Vietnam, a combattere a fianco dell'esercito franco-americano. Quando la guerra terminò, i Hmong vennero accusati da parte del governo Laotiano, conquistato dal Pathet Lao, di "collaborazionismo" e "resistenza alla rivoluzione" contro il popolo. Nonostante l'indole pacifica dei laotiani e le proteste della comunità internazionale molti combattenti e non furono internati nei campi di rieducazione "Samana" lungo il confine lao-vietnamita. L'esodo di massa fu di fatto dovuto a tali persecuzioni e fu attuato in modo segreto.

Nel villaggio di Xunya, nella provincia di Luang Namtha, più di 200 persone, soprattutto hmong, hanno dovuto rinunciare alla fede dopo che la polizia per due anni ha continuato in modo ininterrotto a fare pressioni e minacce. Nel mese di novembre, 23 hmong cristiani sono stati uccisi dal Lao people’s army (Lpa) nella provincia di Xieng Khouang. I 23 civili erano disarmati. Il 3 aprile, i soldati dell’Lpa hanno ucciso almeno 9 bambini hmong, insieme a decine di altre persone, nascosti nell’area montuosa di Phou Da Phao nella provincia di Xieng Khouang per sfuggire alla persecuzione. Il 12 e il 13 marzo, un commando composto da truppe laotiane e vietnamite ha aperto il fuoco sul gruppo hmong Young Chue Vang, uccidendo decine di persone e lasciandone ferite senza cibo né cure molte altre. Secondo quanto pubblicato da “Media Newswire”, circa 6500 civili hmong potrebbero essere rimasti uccisi tra marzo e aprile.

A causa delle persecuzioni, molti hmong cercano di fuggire verso la Thailandia. Una volta varcato il confine, molti vengono però imprigionati dal governo tailandese sotto richiesta e pressione delle autorità laotiane. A dicembre del 2009, il governo thailandese ha confermato l’intenzione di rimandare in Laos un gruppo di 4506 hmong, nonostante le proteste di vari gruppi per la difesa dei diritti umani. Da tre anni, 158 hmong, soprattutto donne e bambini, si trovano in prigione in Thailandia in condizioni igieniche e sanitarie “orribili”. Questo gruppo era sfuggito alla persecuzione in Laos, ma è stato imprigionato in Thailandia dopo le pressioni fatte dal governo laotiano. Sempre a causa delle pressioni, il governo thailandese non ha ancora liberato i prigionieri né è riuscito a spostare i rifugiati in una terza nazione.