Nel cuore dell’Italia, alla scoperta di Todi e del suo beato
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La città umbra diede i natali a Iacopone, il più importante autore di laudi e della celebre sequenza Stabat Mater, musicata nei secoli, tra gli altri, da Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Dvorák.
L’Umbria è terra di grande religiosità. Nel Duecento fu attraversata non solo dalla predicazione dei Francescani, ma anche di altri movimenti, come i Flagellanti, che annunciavano come prossima la fine del mondo e spronavano al pentimento e alla penitenza. Masse di persone invitavano tutti alla metanoia, cioè al cambiamento radicale, e si flagellavano.
Da questo tipo di sensibilità drammatica, consumata dal senso del peccato e animata dall’ansia della salvezza, nasce la lauda, un componimento che celebrava in versi la vita di Cristo, della Madonna e dei santi o cantava le lodi di Dio. La struttura del componimento era quella della ballata, ma il contenuto era sacro. Talvolta, veniva rappresentata nelle piazze o lungo le vie in particolari celebrazioni.
Todi è senza dubbio uno dei centri fondamentali della lauda. Collocata su un colle all’altezza di quattrocento metri sul livello del mare, a quaranta km da Perugia e da Terni, la città conserva ancora l’aspetto di un borgo medioevale.
Il suo più illustre cittadino è Iacopone, venerato come beato nella Chiesa cattolica e, al contempo, il più importante autore di laudi (o laudese). Il suo laudario è infatti il più consistente e significativo che sia stato tramandato, almeno tra quelli che sono da attribuirsi a una sola persona. Conta un altissimo numero di testimoni, 353 manoscritti, secondo solo alla Commedia dantesca per successo testimoniale.
A Iacopone è attribuita la famosa sequenza in latino Stabat Mater musicata nei secoli, tra gli altri, da Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Dvorák. Protagonista è la Madonna, madre addolorata che giace in lacrime ai piedi della croce, alla vista del supplizio del Figlio Gesù. Alla Madonna Iacopone chiede di poter provare lo stesso dolore per poter piangere con lei e condividere la sofferenza: «Fa’ che il mio cuore arda/ nell’amare Cristo Dio/ per fare cosa a lui gradita». Tanto è l’amore che prova per il Signore che Iacopone desidera portare le sofferenze del Cristo in croce e «avere parte alla sua passione».
Altrettanto conosciuta tra le laude di Iacopone è Donna de Paradiso che ci presenta Cristo sofferente per l’ingratitudine umana e per il dolore della croce e la Madonna, madre addolorata, che assiste con indicibile dolore al calvario del figlio.
Oggi è ancora possibile visitare la casa natale di Jacopone, inglobata nel Palazzo Pongelli-Benedettoni, fatto costruire tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento dalla famiglia Benedettoni che gli diede i natali e attualmente di proprietà del Conte Eugenio Pongelli. Considerato di interesse storico, artistico e architettonico per decreto ministeriale, il Palazzo merita di certo una visita.
In una data imprecisata tra il 1230 e il 1240 vi nacque Iacopone dalla nobile famiglia dei Benedetti. Intrapresi gli studi giuridici a Bologna, divenne notaio, come indica l’appellativo di «ser» che accompagna comunemente il suo nome.
Al centro della sua conversione c’è un fatto: la morte della moglie e l’improvvisa rivelazione che la persona che era sua compagna di viaggio nella vita voleva far memoria di Cristo sempre, anche nei momenti lieti e di festa. Nel 1268, infatti, trascorso un solo anno dalle nozze, cedette il pavimento di un edificio, durante un festeggiamento, e la moglie finì nel piano di sotto e perse la vita. Sotto l’abito la moglie portava un cilicio per penitenza. Iacopone non lo sapeva, lo scoprì quel giorno.
Il suo cambiamento fu radicale. Nel 1278 il notaio abbandonò tutto e per amare di più Cristo iniziò la sequela dell’ordine francescano, quello che più gli sembrava richiamare Cristo in Terra. Francesco era stato canonizzato proprio cinque decenni prima. Iacopone aderì ai Francescani spirituali, più rigorosi rispetto ai conventuali che erano, invece, orientati ad un’attenuazione della povertà assoluta prospettata nella regola francescana.
Il francescano si scontrò con Papa Bonifacio VIII, che accusò di simonia e dichiarò decaduto dal soglio pontificio. Insieme alla famiglia Colonna (fiera oppositrice del Papa) e a tanti altri si asserragliò a Palestrina, borgo del Lazio facilmente difendibile per la posizione strategica e le gigantesche fortificazioni. Nel 1297 l’esercito papale iniziò l’assedio che durò più di un anno. I Colonna si arresero solo dopo aver avuto l’assicurazione dal papa che la città sarebbe stata risparmiata. Così non fu, però: i Colonna vennero esiliati a Tivoli, Iacopone fu incarcerato e la città fu rasa al suolo con l’eccezione della cattedrale di Sant’Agapito. Nel canto XXVII dell’Inferno Guido da Montefeltro racconta di essere stato lui a consigliare a papa Bonifacio VIII di ingannare gli assediati a Palestrina.
Iacopone fu anche scomunicato. Solo alla morte del Papa nel 1303 ritornò in libertà e gli venne revocata la scomunica. Morì tre anni più tardi proprio il giorno del Natale del Signore.
La sua tomba si può oggi visitare nella chiesa francescana di San Fortunato ove le sue ossa furono traslate nel 1433. Costruita in stile romanico a partire dal 1192, la chiesa venne poi di nuovo edificata un secolo più tardi secondo il nuovo stile gotico. Si accede attraverso una lunga scalinata. La fatica è ripagata dalla magnifica chiesa e dal panorama che domina la città e che permette di vedere in lontananza anche Perugia.
Tutta la visita della città richiede il sacrificio di camminare in salite, talvolta anche ripide, perché gli edifici sembrano arrampicarsi sulla roccia del colle per conquistarne la cima.
Il fulcro di Todi è piazza del Popolo, attorno alla quale si ergono gli edifici più importanti: il Duomo dell’Annunziata con un affresco del Giudizio universale di Ferraù Fenzoni che si ispira al più celebre affresco michelangiolesco; il Palazzo dei Priori che custodisce la sala delle udienze e che porta il bronzo dell’aquila simbolo di Todi; il Palazzo del popolo (sede odierna del Municipio cittadino) adiacente al quale si erge il Palazzo del Capitano, anch’esso in stile gotico; il Palazzo vescovile, costruito su quattro livelli, progettato come dimora di un principe mecenate rinascimentale.
Fu il vescovo di Todi Angelo Cesi a iniziare la costruzione di quest’ultimo a partire dal 1566, interpretando lo spirito di riforma del Concilio di Trento che si era da poco concluso (1563). Cesi, che fu vescovo per quarant’anni, fece costruire anche altri palazzi rinascimentali e svolse la funzione di mecenate che accolse in città artisti.
Come per tanti altri centri d’Italia, il Cinquecento fu senza dubbio un secolo d’oro anche per Todi.
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