Negozi chiusi la domenica, una scelta doverosa
Il riposo domenicale valorizza due dimensioni della vita sociale: quella delle relazioni familiari e della dimensione religiosa. Per questo è auspicabile che la proposta del ministro Di Maio trovi forte sostegno nella società e nella politica per diventare presto realtà.
Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha rilanciato la proposta della chiusura degli esercizi commerciali nel giorno di domenica, intendendo così abolire la normativa di completa liberalizzazione attuata da precedenti governi. La proposta è oggetto di discussione e sia i partiti che i soggetti sociali stanno prendendo posizione.
Da parte nostra ci auguriamo che la proposta diventi presto realtà e che trovi appoggi nella società e nella politica. L’idea è ampiamente condivisibile e segnerebbe un interessante cambiamento delle politiche del lavoro, da vedersi nei suoi più ampi rapporti con la famiglia e le esigenze non solo materiali della persona.
Ricordo che già la Rerum novarum di Leone XIII, nel lontano 1891, chiedeva espressamente che la legislazione sul lavoro prevedesse il riposo domenicale affinché il lavoratore potesse ritemprare le membra dalla fatica e accudire agli impegni religiosi del dì di festa. In questo modo egli voleva mostrare il reciproco beneficio che si facevano l’un l’altra la dimensione sociale e quella spirituale. Il lavoro è una dimensione molto importante per la vita dell’uomo, per la sua famiglia e per la società intera – Giovanni Paolo II disse addirittura che era la chiave dell’intera questione sociale - ma proprio perché tale, esso deve essere collocato dentro una dimensione pienamente umana. La motivazione religiosa per chiedere il riposo domenicale confermava e dava ulteriore forza alla motivazione umana, familiare e sociale. La secolarizzazione ha via via ridotto la motivazione religiosa, ma bisogna riconoscere che con ciò ha ridotto anche quella umana e puramente sociale.
Sono due le dimensioni della vita sociale che il riposo domenicale esteso alla maggior parte della popolazione senz’altro valorizza. La prima è la dimensione delle relazioni familiari. Molti lavoratori del commercio sono costretti a fare turni di lavoro anche di domenica, impedendo alla famiglia di ritrovarsi insieme. In alcuni casi i genitori lavorano per turni durante tutta la settimana e i momenti di compresenza in famiglia di ambedue sono rari.
Anche quando i lavoratori non facessero turni di lavoro domenicale, tuttavia l’apertura generalizzata dei negozi e dei grandi centri commerciali non dà la sensazione sociale della pausa, della sospensione delle usuali attività di produzione e di acquisto per avere lo spazio per fare altro. Non si tratta di demonizzare né la produzione né gli acquisti con facili accuse, talvolta molto ideologiche e retoriche, di consumismo. Si tratta piuttosto di segnalare il bisogno di un momento di salutare discontinuità nella ripetizione di prassi e di ritti economici e sociali, l’apertura di finestre di vita per godere di altri aspetti della vita stessa.
La seconda dimensione è quella religiosa. Non si tratta solo di avere la possibilità di partecipare alla santa Messa domenicale che i turni di lavoro possono rendere più difficile, ma di predisporre lo spazio spirituale affinché i cuori possano guardare in alto. Una giornata di gratuità, di lode, di festa, di dono: tutti sentimenti che aprono alla dimensione religiosa. Fermarsi e saper gustare il gratuito è già una apertura al trascendente. C’è un dovere di “cercare” Dio e Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus annus (1991), vedeva nella richiesta di Leone XIII di cento anni prima un primo elemento del diritto alla libertà religiosa. Anche su questo si fondava e si fonda il diritto al riposo domenicale.
Per i cattolici, poi, la domenica è il giorno del Signore. In più occasioni i vescovi italiani hanno dato insegnamenti pastorali di grande valore su questo tema. Vorrei ricordare qui la Nota pastorale “Il giorno del Signore” del 1984, oppure la Nota pastorale “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia” del 2004. Per diversi anni è stata promossa nella Chiesa italiana la campagna “Senza la domenica non possiamo vivere”. Non si tratta di evasione, ma di recupero di energie vitali per tutti.
Nella società pluralista di oggi, il riposo domenicale potrebbe sembrare una discriminazione verso altre giornate di riposo legate ad altre tradizioni religiose che non sia quella cristiana. Estendendo questo principio fino all’estremo, ogni giorno della settimana potrebbe essere considerato da qualcuno degno di riposo settimanale in virtù della sua visione di vita a carattere più o meno religioso. Riteniamo però che questa concezione relativistica del riposo domenicale ne svuoti il senso, che deve rimanere comunitario e non parcellizzato nei vari individualismi. Se così fosse esso riproporrebbe la logica del grande centro commerciale, che ognuno frequenta da solo per appropriarsi di qualche bene o servizio a lui caro.
Il riposo nel giorno di domenica è congruo con la religione cristiana che ha animato e anima la nostra civiltà di elementi di verità e di bene, quindi merita di essere primariamente e pubblicamente considerato.
* Vescovo di Trieste
Presidente dell’Osservatorio Cardinale van Thuân