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PRIMARIE GOP

Negli Usa è già campagna elettorale per il 2024

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La campagna elettorale americana, in realtà, è già iniziata con un anno di anticipo. Soprattutto fervono i lavori nel Partito Repubblicano che dovrà selezionare il candidato alla Casa Bianca. Mentre Biden punta alla riconferma, tre sono i primi suoi sfidanti: Trump, Ramaswamy e Haley. Ron DeSantis si prepara. Cosa pensano?

Esteri 24_03_2023
Donald Trump e Nikki Haley ora entrambi candidati

La campagna elettorale americana, in realtà, è già iniziata con un anno di anticipo. Soprattutto fervono i lavori nel Partito Repubblicano che dovrà selezionare il candidato alla Casa Bianca con le elezioni primarie. Inizieranno fra un anno, appunto, ma già si sono presentati i primi tre candidati: Donald Trump, Nikki Haley e Vivek Ramaswamy. Si preparano “in panchina”: Ron DeSantis e Mike Pence, oltre a uno stuolo di altri candidati, ex membri dell’amministrazione Trump (come Mike Pompeo e John Bolton) e acerrimi nemici dell’ex presidente (come Liz Cheney). 

Diversa è la situazione nel Partito Democratico. In teoria il presidente 80enne Joe Biden si ricandida. Avrà quasi 82 anni nelle elezioni del novembre 2024, li compirebbe alla fine del mese. Si tratterebbe del presidente più anziano di sempre. Tuttavia non ha mai annunciato l'intenzione di ritirarsi e di far spazio ad altri candidati. Dunque il Partito Democratico non si sta preparando ad elezioni primarie. Si vocifera una candidatura anche di Michelle Obama, moglie dell'ex presidente. Ma lei nega. La competizione è iniziata solo nel Grand Old Party repubblicano. 

Vivek, chi? Il nome può dire ben poco a un italiano ed è anche molto difficile da pronunciare e ricordare. Negli Usa è diventato celebre, soprattutto negli ultimi due anni, per la sua prolifica attività di commentatore e scrittore contro la rivoluzione woke, dunque contro quella forma di antirazzismo militante e onnipresente che sta terrorizzando tutti gli ambienti culturali americani. Vivek Ramaswamy, classe 1985, è figlio di immigrati indiani, giovane imprenditore ha fondato l’azienda bio-farmaceutica Roivant Sciences all’età di 29 anni. In polemica con le politiche Esg (ecologiche, sociali e di governance) delle grandi aziende americane, dopo aver abbandonato la direzione della sua azienda ha creato un fondo di investimento, lo Strive Asset Management, che punta soprattutto sulle aziende non-Esg, per contrastare anche economicamente l’ondata di politicamente corretto. Contro la rivoluzione woke ha scritto il libro Woke Inc che ha avuto un discreto seguito in ambito conservatore. A sorpresa, all’inizio di marzo, su Fox News, ha annunciato la sua candidatura. Non ha seguito nel partito, ma dice di essersi ispirato alla discesa in campo di Donald Trump. Contrariamente all’ex presidente, potrebbe diventare il più giovane presidente degli Usa. Sarebbe anche il primo non cristiano: è induista.

Nikki Haley, nata Nimarata Nikki Randhawa, è la seconda indiana in corsa per le primarie repubblicane. Convertita al cristianesimo (chiesa metodista) nel 1997 ha iniziato la carriera come imprenditrice e facendo politica fra i conservatori del Sud. La sua esperienza è sia locale che internazionale: è stata eletta nel 2010 governatrice della South Carolina, dove è stata poi rieletta per un secondo mandato. Nel 2017, Trump l’ha nominata ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, dove si è distinta come portavoce di una politica estera muscolare e ben poco incline ai compromessi. Ora è considerata dai Repubblicani più moderati come il giusto contraltare a Trump, perché parla con un linguaggio da conservatore reaganiano, soprattutto sui temi della politica estera. Quando tutti i candidati, attuali e potenziali, del Grand Old Party, intervistati da Tucker Carlson, hanno dimostrato scarso interesse per la guerra in Ucraina e hanno promesso di controllare, ridurre o interrompere gli aiuti militari a Kiev, la Haley è stata l’unica, assieme a Mike Pence, a ritenere che la difesa dell’Ucraina sia fondamentale per gli Stati Uniti. La Haley però non è mai entrata in conflitto con l’ex presidente ed è una delle voci meno critiche nei suoi confronti.

Entrambi i candidati, però, devono vedersela con Donald Trump che, stando a tutti i sondaggi, sia simpatetici che non, è ancora il peso massimo nel Grand Old Party. È dato in vantaggio, sia nelle eventuali corse con più di un candidato, sia in un possibile testa a testa con il candidato ritenuto più forte, cioè Ron DeSantis. Nel 2016, con tutti i media contro, Trump spese pochissimo in campagna elettorale: non fece altro che sfruttare la pubblicità negativa che veniva fatta di lui da tutti gli altri, sulla base della massima: bene o male, purché si parli di me. Questa volta potrebbe addirittura sfruttare la notizia del suo arresto, o incriminazione, per il possibile processo sul caso Stormy Daniels, la pornostar che avrebbe pagato sette anni fa per comprare il suo silenzio su una presunta relazione segreta. In caso di arresto, l’ex presidente ha dichiarato che sfilerebbe in manette per le strade di New York. Manifestazioni pro e contro stanno attirando da una settimana l’attenzione dei media internazionali. Insomma, come nel 2016, Trump sa vincere facendosi odiare, senza spendere un dollaro di pubblicità.

Difficile fare previsioni su chi altri possa entrare in competizione, nei prossimi mesi. Ma due parole vanno certamente spese su Ron DeSantis che viene ormai presentato come lo sfidante sicuro di Donald Trump. Governatore della Florida, rieletto nel 2022 a pieni voti, è artefice di un piccolo miracolo economico del suo Stato. È sempre stato al centro dell’attenzione per una serie di battaglie importanti: uno dei primi a porre fine al lockdown durante la pandemia di Covid, è stato difensore della scuola in presenza, nemico degli obblighi sulle mascherine, prima, poi sui vaccini. Contrariamente alle catastrofiche previsioni sui media, il tasso di mortalità della Florida è stato molto più basso di quello di altri Stati (come il New York, il New Jersey, il Michigan e la California) che avevano imposto norme draconiane. Si è lanciato nella battaglia culturale, prima vietando lezioni di educazione sessuale almeno nei primi anni delle elementari (legge ribattezzata “don’t say gay” dai suoi nemici) e poi sfidando la Disney, che ormai è campione di tutte le battaglie gender. Ora promette di spezzare il monopolio delle Big Tech, per difendere la libertà di espressione. Non ha ancora annunciato la sua candidatura, ma tutti se l’aspettano. E si attendono un duello fra lui e Trump per la nomination.

A prescindere dalle differenze di cultura e di esperienza pregressa, tutti i candidati attuali e potenziali sono compatti in difesa del diritto alla vita. Questo sarà uno dei grandi temi della campagna elettorale del 2024, dopo che la sentenza Dobbs ha riaperto la questione. Il senatore Lindsey Graham ha proposto una legge federale per vietare l’aborto dopo la 15ma settimana. A domanda diretta, nessuno dei candidati attuali o potenziali, ha finora risposto se l’appoggerà o meno. Solo Mike Pence (non ancora candidato) si è detto pronto a votare qualunque proposta pro-life. La posizione più sicura appare anche quella di Donald Trump, se non altro per l’esperienza dei quattro anni da presidente più pro-life nella storia recente. Nikki Haley è un’altra sostenitrice del diritto del nascituro, la ritiene “una questione umana” pre-politica. Meno chiaro quanto ne sia convinto Ramaswamy, che però ritiene che il divieto dell’aborto sia un diritto degli Stati.

Quando si parla di principi non negoziabili, il rischio dell’incoerenza è sempre dietro l’angolo. Ma sui candidati repubblicani si può, tendenzialmente, dormire sonni tranquilli. Ormai, nell’America polarizzata e divisa anche sui valori, sono battaglie identitarie del Grand Old Party quella della vita, della famiglia e della libertà di istruzione, combattute anche da candidati non cristiani. Il contrario del Partito Democratico, dove le battaglie pro-aborto, per le “nuove famiglie” e per l’istruzione pubblica e progressista sono cause imprescindibili, anche per i candidati cattolici.