Negli Usa c'è un vescovo Cordileone
L'arcivescovo di San Francisco ha partecipato ieri alla Marcia per il Matrimonio malgrado le forti pressioni - di religiosi e politici - per evitare l'appuntamento, sgradito alla comunità Lgbt. Cordileone è simbolo di una Chiesa americana per cui la famiglia è il tema decisivo per la società: «Il mio dovere è quello di proclamare la verità circa la persona umana e la volontà di Dio».
C'era anche monsignor Salvatore Cordileone, l'arcivescovo di San Francisco, alla Marcia per il Matrimonio che si è tenuta ieri a Washington. In più di ottanta tra leader politici ed esponenti religiosi (di varie confessioni) gli avevano chiesto con una lettera pubblica di evitare, di lasciar perdere. Di non farsi vedere a un raduno in cui non sarebbero mancati riferimenti all'«odio per la comunità Lgbt», su cui ha messo in guardia, in un'accorata lettera inviata al presule, anche Nancy Pelosi, ex speaker alla Camera dei Rappresentanti, cattolica ma abortista convinta e favorevole alle nozze tra persone dello stesso sesso (il cardinale Raymond Leo Burke, aveva in passato più volte sostenuto che Pelosi, insieme all'attuale segretario di Stato John Kerry e ad altri esponenti politici pro-choice non avrebbero dovuto essere ammessi all'eucaristia).
Gli ottanta intellettuali che hanno chiesto a mons. Cordileone di rinunciare all'appuntamento, che prevedeva una pacifica marcia da Capitol Hill alla Corte Suprema, si erano richiamati addirittura al Papa: «Non tutti, tra noi, condividono l'insegnamento ufficiale cattolico su matrimonio e famiglia. Tuttavia, apprezziamo le numerose dichiarazioni dei leader cattolici in difesa della dignità di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. A cominciare – scrivevano ancora – dalle recenti parole di Papa Francesco: 'Se uno è omosessuale e cerca il Signore, dimostrando buona volontà, chi sono io per giudicare?'». Ecco perché, «pur rispettando la libertà di religione e comprendendo che lei (Cordileone, ndr) è contrario al matrimonio civile per le coppie omosessuali», preferiremmo non partecipasse. Il motivo è presto spiegato: «Le azioni dell'Organizzazione per il matrimonio – il gruppo che organizza la marcia annuale – contraddicono la fede cristiana basata sul ripeto della dignità fondamentale di tutte le persone».
La risposta dell'arcivescovo di San Francisco, città simbolo dei matrimoni gay e dove il tema neppure si pone, essendo legge dello stato della California, non s'è fatta attendere: «Il mio dovere è quello di proclamare la verità circa la persona umana e la volontà di Dio. Devo farlo anche quando le verità che sono chiamato a insegnare sono impopolari, come lo è quella sul matrimonio inteso come unione coniugale tra marito e moglie».
A scanso di equivoci, mons. Cordileone aveva voluto precisare che la marcia di Washington «non è contro qualcosa o contro qualcuno, bensì è semplicemente a favore del matrimonio». E infatti, l'obiettivo era di ribadire l'importanza di quel vincolo coniugale tra un uomo e una donna, dal quale poi nascono i figli. E a chi gli faceva notare che prendere parte a un evento dove il bersaglio di qualche invettiva degli altri oratori (tra cui gli ex candidati repubblicani alla Casa Bianca Rick Santorum e Mike Huckabee) sarebbe stata la comunità Lgbt, il presule ha osservato che «la retorica offensiva» c'è anche verso chi «difende il matrimonio come è sempre stato inteso nel corso dei millenni». Se è vero infatti che «nella nostra società ci sono stati e ci sono ancora episodi di violenza fisica contro gli omosessuali, e ciò è da deplorare, è altrettanto vero che analoghi episodi si iniziano a contare verso chi sostiene la visione coniugale del matrimonio».
Mons. Salvatore Cordileone è l'emblema di un episcopato, quello statunitense, che fatica a orientarsi sulle nuove frequenze indicate a Roma dal Pontefice succeduto un anno e mezzo fa a Benedetto XVI. L'uscita in periferia, l'attenzione ai poveri, l'insofferenza per le battaglie culturali e attorno ai cosiddetti princìpi non negoziabili (espressione che Francesco ha già avuto modo di dire, più d'una volta, di non comprendere), sono distanti dall'agenda che la Chiesa americana ha seguito nell'ultimo trentennio. Le gerarchie trovano origine nella lunga stagione giovanpaolina e ratzingeriana, e poche sono le eccezioni.
Il modello del vescovo da replicare nelle diocesi da una costa all'altra del paese, non è quello impersonato dal cardinale Joseph Bernardin, già arcivescovo di Chicago e punto di riferimento per la corrente progressista post conciliare, bensì quello del cardinale Francis George, apripista del conservatorismo muscolare poi fatto proprio dall'ex presidente della conferenza episcopale, Timothy Dolan. Lo stesso cardinale Sean O'Malley, che pure è uno dei porporati più vicini a Francesco (è membro della consulta degli otto che lo consiglia riguardo il governo della chiesa universale) aveva mostrato più d'una perplessità ad aggiornare l'insegnamento cattolico in fatto di morale sessuale, come chiesto a gran voce da numerosi episcopati centro e nord europei.
Che i vescovi facciano fatica a svoltare lo dimostra anche il dibattito che s'è tenuto la scorsa settimana a New Orleans, in occasione dell'assemblea generale di primavera dei vescovi statunitensi. Naturalmente, s'è parlato di economia, povertà, crisi sociale. Ma il focus, ancora una volta, era rivolto ai problemi che attanagliano la famiglia e il matrimonio. Confronto che s'è sviluppato con lo sguardo rivolto al doppio Sinodo (ottobre 2014 e ottobre 2015) e all'Incontro delle famiglie in programma l'anno prossimo nella Philadelphia dell'arcivescovo Charles Chaput, colui che in un'intervista concessa la scorsa estate al liberal National Catholic Reporter si lamentava di certi silenzi del Papa sulle questioni etiche e sottolineava come «nell'ala destra della Chiesa» non tutti fossero rimasti soddisfatti dall'esito del Conclave. Una scaletta, quella preparata per l'assemblea di New Orleans, sulla quale aveva ironizzato perfino padre Thomas Reese, già direttore di America, la rivista liberal dei Gesuiti della East Coast: «Sarà interessante vedere quanto tempo useranno per parlare di controllo delle nascite, calo del numero dei matrimoni, nozze gay, divorzio, comunione ai cattolici divorziati e parità di genere», aveva scritto in un editoriale pochi giorni prima dell'inizio dei lavori, ricordando che lo scorso novembre – quando mons. Joseph Kurtz fu eletto successore di Dolan alla guida dell'episcopato locale - «i vescovi si tennero ben alla larga dai temi caratterizzanti il papato di Francesco».