Nazismo e comunismo, due anime dello stesso mostro
Ernst Nolte, lo storico scomparso lo scorso 18 agosto a Berlino, lascia una pesante eredità. Fu il primo, negli anni '80, ad affermare che comunismo e nazismo fossero due facce della stessa medaglia, moralmente equivalenti. Il nazismo sorse come risposta al comunismo, emulandone i metodi.
Ernst Nolte (1923-2016) è scomparso a 93 anni il 18 agosto a Berlino. È uno di quegli storici di cui probabilmente si continuerà a parlare per anni, forse decenni. Non che la cultura di massa si sia mai accorta di lui o che lo farà adesso, ma il personaggio si presta a diventare un luogo comune dei parolai prodighi di riferimenti pseudocolti.
Oltre la caricature, però, il punto forse essenziale della sua ricerca storica riguarda la natura del fenomeno ideocratico incarnatosi nel totalitarismo novecentesco. Al singolare, sì: perché, se su una questione lo storico tedesco risulta sul serio convincente al di là di ogni ragionevole dubbio, è la disamina della radice che unifica, oltre le differenze di specie o forse solo di apparenza, quei sistemi politico-ideologici che siano invece abituati a considerare diversi. Anzi opposti, e un po’ colpevolmente. Convincere il mondo, infatti, che marxismo-leninismo e nazionalsocialismo siano stati antitesi come il diavolo e l’acqua santa è stato il colpo da maestro della propaganda comunista. Parimenti, chi ha imbracciato la loro cuginanza come un’arma lo hanno fatto solo per assolvere il Reich hitleriano. Ma Nolte non va tirato per la giacchetta. La sua tesi centrale descrive il nazionalsocialismo tedesco come reazione al marxismo-leninismo salito al potere in Russia nel 1917, ma è una tesi che va compresa bene. Essa non dice, infatti, che per il fatto di essere la reazione a una sovversione il Reich hitleriano diventa automaticamente buono; dice che il regime bolscevico non diventa automaticamente buono solo perché avversato dal nazionalsocialismo. Prima dice però qualcosa di ancora più profondo e importante. La reazione nazista al comunismo sovietico non è, come la propaganda vorrebbe, la contestazione di un modello, ma l’assunzione di un esempio, addirittura la sua imitazione.
La chiave di volta è certamente l’opera più nota di Nolte, Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945, uscito nel 1987, pubblicato in italiano nel 1989 dalla fiorentina Sansoni, ampliato nel 1997 e riedito anche in italiano con il titolo La guerra civile europea, 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo. Nuova edizione aggiornata (presentazione di Gian Enrico Rusconi, Sansoni 2004). Descrivendo il conflitto tra nazismo e Unione Sovietica in termini di “guerra civile”, Nolte documenta proprio questo: che lo scontro tra i due giganti del male è stata una lotta per l’egemonia tra fratelli-coltelli, non la lotta fra la luce e le tenebre. Solo che questo è oltremodo scomodo. Chiede un supplemento di riflessione, d’indagine e persino di coscienza. Rompe gli schemi manichei con cui la cultura marxista-leninista, e gramsciana nei Paesi democratici, ha imposto la voce del padrone e con cui oggi i suoi cascami socialdemocratici, liberal-progressisti o semplicemente liberal continuano a eternare la menzogna.
Nel battersi, cioè, nazismo e comunismo si sono corteggiati, mescolati, addirittura scambiati la pelle in un nastro di Möbius quanto più inavvertito quanto più ci si è trovati a viverci dentro; come la Via Lattea: parecchio difficile da percepire a occhio nudo essendoci immersi. La matrice ideologica comune ai due fenomeni lo spiega, ma c’è altro. È l’imperio socialista impostosi tra Ottocento e Novecento, inevitabilmente attraversato da rivolte interne, lotte di potere e scosse di assestamento: gli anarchici contro i marxisti, i comunisti contro i riformisti socialisti, lo stalinismo contro il trotzkismo, i non-allineati contro il Patto di Varsavia, il maoismo oltre l’Unione Sovietica e il parossismo romeno, albanese, cambogiano e nordcoreano ancora più oltre, dunque anche il socialismo nazionalista del partito tedesco dei lavoratori contro l’internazionalismo socialista di Mosca. L’eredità più indigeribile di Nolte è questa, l’avere sollevato il velo di Maya sul “segreto” meglio celato del Novecento. Per questo si è cercato di travolgerlo in polemiche infondate, lo si è falsamente accusato di negazionismo dell’Olocausto, lo si è fisicamente aggredito.
Accertando il primato storico e ideologico del Gulag rispetto al lager, Nolte non ha praticato sconti indebiti al secondo ma evidenziato il male peggiore venuto dal non avere fatto i conti con il primo. Mentre Hitler scalava astutamente il potere abbindolando i “reazionari” con il proprio socialismo nazionale travestito da anticomunismo, l’Occidente era infatti colmo di “liberali” che – come hanno ricostruito altri storici: uno su tutti, Paul Hollander – si prostravano alla corte di Stalin magnificandone le virtù sui mass-media e nelle cancellerie. Il disastro della Seconda guerra mondiale è stata dunque solo il redde rationem e la nemesi della storia per la cecità degli uomini incantati dalla Bestia multiforme; Joseph de Maistre l’avrebbe forse definita un castigo divino.
La “guerra civile” tra le due anime della stessa ideocrazia totalitaria messa in evidenza come mai prima da Nolte si comprende del resto al meglio sullo sfondo di quella che è la vera creazione concettuale nolteana: la “guerra civile europea” che ha colmato orridamente il vuoto lasciato dalla deflagrazione giacobina dell’“antico regime” ottocentesco. Con Nolte e oltre Nolte, è dunque doveroso approfondire il concetto spingendolo sin al “principio di tutto”, quando dalla rivoluzione protestante alla Rivoluzione Francese il nostro mondo si cambiò letteralmente i connotati, per vedere nello scontro delle civiltà, nella liquefazione mondiale e nel caos geopolitico della Babele odierna il deserto lasciato da quel mostruoso scontro intestino. Se una cosa lo storico tedesco ha tra le righe insegnato per davvero essa è che la storia aborre il vuoto: se gli uomini non sanno costruire civiltà autentiche, sorgeranno sempre bolge infernali.