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LA RIFLESSIONE

Natale e la memoria della nostra nascita alla fede

È giusto, facendo memoria della nascita di Gesù (l’evento più importante della storia umana), fare insieme memoria della nascita di ciascuno di noi a Cristo e alla Sua Chiesa, avvenuta tramite un incontro così eccezionale e inaspettato che non possiamo non definire come l’Avvenimento della nostra vita. Ecco il mio.

Editoriali 30_12_2019

Caro direttore,
forse è giusto, facendo memoria della nascita di Gesù (l’evento più importante della storia umana), fare insieme memoria della nascita di ciascuno di noi a Cristo ed alla Sua Chiesa, avvenuta tramite un incontro così eccezionale e inaspettato che non possiamo non definire come l’Avvenimento della nostra vita, l’Avvenimento che ha dato forma a tutti i successivi eventi della nostra esistenza. (leggi anche QUI)

Con un gruppo di amici, meditando un libro del Servo di Dio don Giussani, si sottolineava che, in un certo senso, ogni circostanza che il Signore ci dona può essere considerato un avvenimento, se vissuto e riconosciuto come connesso con l’esperienza quotidiana di Cristo. La considerazione contiene un aspetto molto vero, anche se è vero, come mi faceva notare un amico, che se tutto è avvenimento, si rischia che nulla sia avvenimento. Un altro amico mi ha segnalato uno scritto dello stesso don Giussani (“In cammino”, 1992), che riporto sia per la sua chiarezza sia per l’episodio che vi è raccontato.

Scrive, dunque, don Giussani: “L’avvenimento cristiano come incontro – da cui si sprigiona una dinamica di conoscenza e di affezione che dà corpo e unità all’io – accade in un preciso istante della vita. L’incontro si riconduce sempre ad un momento puntuale. Non vi è altro momento della nostra esistenza che abbia lo stesso valore, al punto che perdere quel momento può equivalere a perdere se stessi. E poiché lo si può perdere subito dopo, è solo riprendendolo che si ritrova  un cammino sicuro. Se anche uno andasse in monastero a fare il monaco, è in forza della memoria di quel preciso momento che può continuare a camminare”. E a questo punto, don Giussani riporta l’episodio che riguarda Von Balthasar, il quale, «quando nel ’61 è invitato a parlare della sua vocazione… racconta con precisione l’istante in cui percepì la sua chiamata. Avvenne durante un ritiro ignaziano, nell’estate del ’27. “Anche adesso, trent’anni dopo – dice Von Balthasar – potrei ritornare su quel remoto sentiero nella Foresta Nera, non molto lontano da Basilea, e ritrovare l’albero sotto il quale fui colpito come da un fulmine… e ciò che allora mi venne in mente di colpo non fu né la teologia, né il sacerdozio. Fu semplicemente questo: tu non devi scegliere nulla, tu sei stato chiamato... Dovevo solo stare lì per vedere a cosa sarei servito”». E don Giussani così commenta: «Quello che Von Balthasar dice di sé è vero per ognuno di noi, non solo per chi è chiamato a una particolare strada vocazionale».

Proprio in questi giorni, mi è capitato di leggere ciò che capitò allo scrittore Vittorio Messori nell’estate del 1965. Aprendo per caso i Vangeli cercando una citazione per la tesi, quel Gesù che fino ad allora era il personaggio principale di una storia il cui valore si esauriva tutt’al più a livello letterario o poetico, gli si manifestò con una forza dirompente. «Sperimentai – dice Messori – lo choc di un incontro-scontro... con la figura misteriosa di Colui che si presentava… come il figlio di Dio, come Dio Egli stesso. Scoprivo quelle antiche parole e strabiliavo, forse esultavo come se in esse avessi scoperto la chiave per gli interrogativi non solo dell’uomo ma sull’uomo: il significato del vivere e del morire, del gioire e del patire». Miracolo dell’avvenimento, che rimane pietra angolare indimenticabile anche dopo tanti anni e tante vicissitudini.

Caro direttore, nel mio piccolo, anche a me è capitata una cosa del genere, come ho già descritto nel libro “Ho trovato quello che stavamo cercando” (Jaca Book). Era il mese di luglio del 1958. Avevo avuto don Giussani come insegnante di religione per tre anni al liceo Berchet di Milano. Dovevo andare per due mesi al mio paese di nascita (Viverone, in provincia di Biella). Don Giussani mi aveva consigliato la lettura di due libretti: uno più “teologico” (che non mi fece molta impressione), l’altro del Follereau, che raccontava la sua esperienza come “difensore” dei lebbrosi. La lettura di questo secondo libretto, fatta durante il viaggio in pullman, letteralmente mi sconvolse. Leggere la testimonianza di un uomo che, in nome di Cristo, arrivava a porre ai potenti del mondo le semplici domande che la carità dovrebbe imporre ad ogni cristiano, ha cambiato letteralmente la mia vita, la direzione della mia vita. Non a caso quel libro era intitolato “Se Cristo domani batterà alla tua porta, Lo riconoscerai?”. Lo Spirito me lo ha fatto riconoscere. Quando capii che qualcosa era cambiato in me, il pullman stava attraversando il paese di San Germano Vercellese ed erano circa le ore 19. Scesi dal pullman a Viverone diverso da come ero partito due ore prima. Mi accadde qualcosa di assolutamente inaspettato e imprevedibile. Quell’incontro, ripeto, ha determinato la mia vita e mi ha permesso di vivere, almeno tentativamente, ogni successivo evento secondo un criterio diverso da quello che sarebbe stato senza l’incontro. La memoria di quell’incontro mi accompagna nella vita e negli impegni di oggi.

Lieto ed entusiasta come allora, perché la memoria non è nostalgia, anzi esattamente il contrario. Come ci insegna, ogni giorno, la celebrazione della Santa Messa, uscendo dalla quale ci buttiamo nel presente in forza della memoria di un avvenimento di duemila anni fa. Quell’incontro mi ha buttato dentro la vita concreta di una comunità, che mi ha concretamente sostenuto fino ad ora. L’avvenimento fondamentale è come un albero che cresce continuamente, qui ed ora, dimostrando nel tempo la sua verità. La memoria di Gesù che ritorna tra di noi rende sempre nuova la nostra debole vita. Per questo, la nascita di Gesù è il fatto più importante della storia, da vivere con l’affetto che nasce dal giudizio su di un Dio che ci ama fino a questo punto.