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L'ANNIVERSARIO

Nata il 4 luglio: la libertà Usa che sconfisse l'Assolutismo

Oggi è il 240esimo anniversario dell'Indipendenza americana. Uno studio recente di Di Martino analizza la genesi e la matrice del primo principio non negoziabile fissato dalla nuova nazione statunitense: la libertà. L’idea di governo che ne sorse fu agli antipodi dell’idea di Stato nata dalla Rivoluzione Francese.

Cultura 04_07_2016
Il libro di Di Martino

Al plurisecolare processo di negazione storica di Dio, definito “Rivoluzione”, si oppone una reazione che ne è il contrario, ma soprattutto il contraddittorio: la Contro-Rivoluzione. Il processo rivoluzionario procede per grandi fasi: il protestantesimo, la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione socialcomunista e il relativismo contemporaneo che non sono eventi isolati e improvvisi, bensì uno sviluppo graduale tra esplosioni violente e interregni di consolidamento.

Tra la prima e la seconda fase rivoluzionarie, mentre il portato del protestantesimo configurava un modo nuovo anche di organizzare la società e d’intendere la politica, e la società e la politica incubavano quella che sarà la Rivoluzione Francese (1789-1799), si sviluppò l’assolutismo. Come tutti gl’interregni tra le fasi rivoluzionarie, anch’esso mescolava aspetti sovversivi ed elementi conservativi, ma, pur conservando una cornice e una facciata cristiane, inesorabilmente portava a maturazione quel processo di sclerotizzazione delle istituzioni politiche che, uscito dalla logica moderna della Pace di Westfalia (1648), troverà piena realizzazione storica nello Stato giacobino francese, matrice dei totalitarismi, e copertura filosofica nel pensiero politico del tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831).

Se cioè l’epoca dell’Antico Regime prolungò indiscutibilmente nel tempo il “Medioevo” della mentalità, dei costumi e in buona sostanza anche del diritto, nondimeno innescò tutte le contraddizioni che il giacobinismo sfruttò per muovere oltre lungo il processo rivoluzionario, gettando con l’acqua sporca anche il bambino. Soprattutto perché il giacobinismo ha avuto di mira non tanto l’acqua sporca, ma proprio il bambino.

È questo il grande insegnamento che un fuoriclasse come il visconte francese Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville (1805-1859) affida alle pagine de L’antico regime e la rivoluzione (1856), ma è anche la logica che soggiace a “Conceived in Liberty”. La contro-rivoluzione americana del 1776 (Liamar, Monaco 2016) don Beniamino Di Martino. Classe 1963, sacerdote della diocesi di Sorrento-Castellammare (Napoli), autore di svariati saggi e volumi tra cui La Prima Guerra Mondiale come effetto dello “Stato totale”. L’interpretazione della Scuola Austriaca di economia (Facco, Treviglio [Bergamo] 2016), La Dottrina Sociale della Chiesa. Principi fondamentali (Nerbini, Firenze 2016) e Rivoluzione del 1789. La cerniera della modernità politica e sociale (Facco, Treviglio 2015), don Di Martino è stato il fondatore, nel 2003, del “glorioso” portale “fuori dal coro” StoriaLibera.it che nel 2015 ha trasformato in StoriaLibera. Rivista di scienze storiche e sociali, semestrale peer-review gratuito.

Colto e puntuale, don Di Martino ha il raro pregio di unire ortodossia dottrinale, lucidità intellettuale, studio, nessun timor reverenziale verso il “politicamente corretto” e attenzione agli autori della scuola sia tradizionalista sia libertarian del conservatorismo statunitense.

Il suo studio sul Founding americano lo rivela sin dal titolo, “Conceived in Liberty” (“Concepiti nella libertà”), che figura tra virgolette poiché è una citazione: quella del titolo dell’omonima mastodontica opera in quattro volumi (più un quinto mai portato a termine) che il maestro del pensiero libertarian novecentesco, Murray N. Rothbard (1926-1995), pubblicò nel 1975 sul troppo ignorato periodo coloniale precedente l’indipendenza americana e vero crogiuolo della futura nazione. Curiosamente, l’originale è una frase del Discorso di Gettysburg pronunciato nel 1863 da Abraham Lincoln (1809-1865), discorso che proprio la scuola rothbardiana ritiene essere la sovversione statalista del principio di libertà in cui il Paese nordamericano nacque con la firma della Dichiarazione d’indipendenza il 4 luglio 1776. A 240 anni esatti dalla nascita degli Stati Uniti, dunque, lo studio di don Di Martino è più che prezioso.

Le sue pagine contribuiscono infatti in modo fondamentale – tra l’altro perché la bibliografia italiana in materia è povera e quella di qualità critica praticamente inesistente – a infrangere quella falsa immagine dell’origine degli Stati Uniti praticamente ubiqua da cui per ciò stesso non sono esclusi nemmeno i cattolici.

Gli Stati Uniti, illustra bene don Di Martino, furono l’effetto di una guerra d’indipendenza (una “guerra civile” all’interno dell’impero britannico) e non di una rivoluzione. Non ebbero nulla a che spartire con lo spirito giacobino che invece travolgerà la Francia. L’idea di governo che ne sorse fu agli antipodi dell’idea di Stato nata dalla Rivoluzione Francese. Se e quando i suoi dibattiti furono interessati dalla cultura illuministica, l’influenza fu più “d’ambiente” che d’ideologia (si è più figli del proprio tempo che dei propri padri, dice il pensatore cattolico colombiano Nicolás Gómez Dávila [1913-1994]). Le sue dinamiche si svolsero certamente dentro il retaggio della rivoluzione protestante (e questo, nell’epoca coloniale, comportò anche la persecuzione di certi cattolici), ma ciò significa che furono anche una “guerra civile” fra protestanti (nonché l’affermarsi della «dissidenza del dissenso», come disse Edmund Burke (1729-1797), anche nel senso di un “ribaltamento del ribaltamento” che finisce per farsi circolo anche virtuoso).

Nella misura in cui nacquero essenzialmente da una rivolta contro l’esagerata pressione fiscale non bilanciata da un’adeguata rappresentanza politica assomigliarono più alle fronde premoderne, persino alle jacquerie medioevali e alla logica sancita dal “diritto di resistenza” articolato nel corpus del pensiero cattolico che un putsch sovversivo, appunto una rivoluzione. L’indipedenza dalla Gran Bretagna non fu lo scopo della rivolta dei coloni nordamericani, ma divenne il mezzo estremo concreto per ri-stabilire il primo principio non negoziabile: che la libertà è un diritto inalienabile dell’essere umano e tale perché conferito da Dio attraverso la creazione di una natura umana inalterabile (sono parole della Dichiarazione d’indipendenza del 1776), un diritto che precede qualsiasi costruzione o logica umana e che non è riducibile da alcun potere, Stato, forza.

È stato per effetto di questa nascita eccezionale che la Chiesa Cattolica è potuta diventare il sale della Terra americana. Il mondo nato dalla Rivoluzione Francese ha voluto invece affermare il contrario, facendo dell’uomo uno strumento fungibile dello Stato e del potere qualunque esso sia.

La nascita degli Stati Uniti fu insomma il “prodotto secondario” della lotta contro l’elemento rivoluzionario insito dell’assolutismo in nome di una “libertà antica” quanto lo è la creazione dell’uomo da parte di Dio e dunque, se ha ragione Tocqueville, una contro-rivoluzione preventiva per combattere ciò che nell’assolutismo si sarebbe evoluto in giacobinismo: il potere politico senza né riferimenti né argini, lo Stato come fonte del diritto e arbitro della morale, il governo come strumento di persecuzione. Una contro-rivoluzione che a 240 anni di distanza è più attuale che mai, negli stessi Stati Uniti e fuori. Si deve essere dunque grati a don Di Martino per aver fornito questa puntuta e maneggevole arma di buona battaglia.