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EX BIRMANIA

Myanmar, la Chiesa nel mirino della giunta militare

Myanmar, mentre inizia il processo ad Aung San Suu Kiy, la rivolta contro la giunta militare incontra nuove repressioni. I manifestanti vengono aggrediti da poliziotti in borghese o travolti da auto senza targa. Mentre nello Stato di Kayah, le chiese sono spesso bombardate. Appello dei vescovi del Myanmar per la salvezza dei civili e degli edifici di culto.

Esteri 16_06_2021
Myanmar, pattuglia dei militari nello Stato di Kayah

Myanmar, mentre inizia il processo ad Aung San Suu Kiy, la leader della Lega Nazionale per la Democrazia spodestata dal golpe del 1 febbraio (condotto dall’esercito a seguito della sua ultima strepitosa vittoria elettorale), la rivolta contro la giunta militare sta incontrando nuove tecniche di repressione. Nelle città i manifestanti sono accolti, non più da militari in divisa che sparano sulla folla, che quindi attirano troppo l’attenzione e la condanna della comunità internazionale, ma da poliziotti e militari in borghese. Sempre più spesso questi ultimi si lanciano sui manifestanti con auto e moto senza targa. Nelle città più piccole e nelle campagne dello Stato del Kayah, abitato dalla minoranza karen, l’esercito bombarda anche le chiese, per diffondere il terrore.

In questo contesto, i vescovi del Myanmar, primo firmatario il cardinale Charles Bo, hanno lanciato un appello in cui chiedono: corridoi umanitari per raggiungere migliaia di persone scappate nella giungla per sfuggire agli assalti e ai bombardamenti dei militari della giunta; rispettare le regole internazionali in tempo di conflitto, lasciando che chiese, templi, monasteri, pagode, scuole, ospedali siano luoghi di rifugio per la popolazione, sottratti alle violenze; una serie di appuntamenti liturgici e preghiere per far maturare il Paese nella pace. «Chiediamo a tutte le diocesi:. di offrire la messa quotidiana per la pace e la riconciliazione del Paese; dopo la funzione, di pregare con la preghiera messa a disposizione dalla Conferenza episcopale; di fare un’ora di adorazione ogni giorno, da soli o in gruppi; di pregare il Rosario e chiedere la materna protezione di Maria, Madre del perpetuo soccorso».

Benché l’esercito abbia ufficialmente dichiarato di non colpire edifici di culto, le chiese sono spesso prese di mira, anche deliberatamente. L’ultimo episodio, avvenuto nella domenica del Corpus Domini, riguarda la chiesa cattolica di Maria Regina della Pace a Daw Ngan Kha. L'aggressione sembra essere stata deliberata, poiché il complesso della chiesa è abbastanza grande e, trovandosi su una strada trafficata, anche ben visibile.

Sin dal 20 maggio, negli Stati di Kayah e Shan sono state colpite sette luoghi di culto cristiani. Almeno cinque civili sono stati uccisi in questi raid. Secondo le testimonianze locali, a Pekhon sono state danneggiate da armi pesanti la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù e il Santuario di Maria e la caverna di Nostra Signora di Lourdes, la chiesa di Moebye, la chiesa di San Giuseppe a Demoso e la chiesa di San Pietro a Loikaw, oltre all’attacco della chiesa di Daw Ngan Kha.

Perché le chiese vengono colpite, nonostante le promesse di non toccarle? Secondo le forze armate birmane, verrebbero usate come basi e rifugi della guerriglia dei karen. Ma, secondo il portavoce del Kpdf, la principale sigla combattente dell’etnia minoritaria: «Il Kpdf ha sempre risposto al fuoco, ma non usiamo le chiese come copertura delle nostre operazioni. Non lo facciamo adesso, soprattutto, da quando i combattimenti si sono intensificati. Non lo facciamo, perché siamo dei veri fedeli», ha dichiarato, mantenendo l’anonimato, a Radio Free Asia. Aung Myo Min, ministro per i Diritti Umani nel governo ombra (che si contrappone alla giunta militare) lancia un appello alla comunità internazionale: «Gli attacchi agli edifici religiosi sono una violazione della legge internazionale di guerra. Sparare a persone che si rifugiano in chiesa e che vi chiedono asilo, è un’altra questione grave». La Chiesa viene presa di mira dalla giunta militare soprattutto a causa del suo impegno sociale, a favore dei feriti e degli sfollati: collaborando con donatori privati, porta assistenza a circa 300mila persone sfollate a causa della repressione. Nello Stato del Kayah, oltre a fornire rifugio e feriti e fuggitivi disarmati, aiuta anche i 100mila civili, in gran parte karen, fuggiti nelle foreste per timore dei bombardamenti.

Thomas Andrews, esperto di diritti umani in Myanmar dell’Onu, prevede un peggioramento ulteriore della situazione: «Gli attacchi brutali e indiscriminati della giunta militare stanno minacciando la vita di molte migliaia di uomini, donne e bambini nello Stato Kayah», se non ci sarà un'azione immediata da parte della comunità internazionale, ha aggiunto, ci dobbiamo attendere «morti di massa per fame, malattie ed esposizione alla violenza potrebbero verificarsi su una scala che non abbiamo ancora visto dal colpo di Stato del primo febbraio»

La richiesta dei vescovi per l’apertura di corridoi umanitari si spiega col fatto che le aree più colpite dall’esercito sono state completamente isolate dall’esercito. «Alcune persone a est di Demoso devono sopravvivere bevendo solo brodo perché non possiamo consegnare loro i sacchi di riso», ha spiegato una fonte anonima di Asia News. E ha poi aggiunto che nelle ultime due settimane le autorità militari hanno arrestato tre persone che cercavano di consegnare aiuti alla popolazione locale.

Mentre si scatena la violenza dei militari, l’obiettivo primo del golpe, Aung San Suu Kiy, è sotto processo. Basti pensare che fra le accuse c’è anche quella di importazione e detenzione abusiva di walkie talkie. Poi c’è l’accusa di “abuso di posizione” e di “istigazione alla sovversione” e infine si è aggiunta quella di “corruzione”, che da sola può comportare fino a 15 anni di carcere. Se venisse dichiarata colpevole di tutti i reati di cui è accusata, Aung San Suu Kiy, 75 anni, passerebbe i prossimi 25 anni in carcere, fino al suo 100mo compleanno.