Mutilazioni genitali femminili, un giorno per combatterle
Il 6 febbraio si celebra ogni anno la Giornata internazionale di tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili, istituita dalle Nazioni Unite affinché governi, comunità e associazioni si impegnino a sradicare questa pratica tribale, diffusa soprattutto in Africa.
Il 6 febbraio si celebra ogni anno la Giornata internazionale di tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili, Mgf, istituita dalle Nazioni Unite affinché governi, comunità e associazioni si impegnino in quel giorno a intensificare le campagne di sensibilizzazione e a intraprendere azioni concrete per porre fine a questa istituzione.
Meriterebbe di essere in tutto il pianeta una intensa, partecipata giornata di bilanci, rapporti sui progetti realizzati, annuncio di altre iniziative e, soprattutto, di lutto, con nastri neri e minuti di silenzio: per le nuove e per vecchie vittime di questa istituzione, inflitta ogni anno a circa tre milioni di bambine e di adolescenti (quasi sei al minuto, oltre 8.200 al giorno) e di cui, secondo le stime più recenti dell’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, patiscono le dolorose, permanenti conseguenze circa 140 milioni di donne.
Le mutilazioni si praticano soprattutto in Africa, ma anche in alcuni stati del Medio Oriente. I paesi interessati in maniera significativa sono in tutto 29, in otto dei quali vengono inflitte praticamente a tutta la popolazione femminile, con poche eccezioni: sono Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea Conakry, Mali, Sierra Leone, Sudan e Somalia. Ma, a quei 29 paesi, ne vanno aggiunti molti altri, Italia inclusa: tutti quelli in cui gli stranieri appartenenti a etnie che praticano tradizionalmente le Mgf hanno importato l’istituzione alla quale non intendono rinunciare. Nel 2006 il nostro paese ha varato una legge che tenta di impedire le Mgf, eseguite clandestinamente ormai da decenni.
“Le Mgf sono una violazione dei diritti alla salute, al benessere e all’autodeterminazione di ogni bambina – aveva dichiarato alla stampa Giacomo Guerrera, presidente dell’UNICEF Italia, in occasione della Giornata contro le Mgf 2014 – Le legislazioni da sole non bastano. La sfida cui stiamo andando incontro è di lasciare che bambine e donne, ragazzi e uomini levino la loro voce e affermino con chiarezza di rifiutare una pratica dannosa come questa”.
Ma milioni di quelle donne e di quelle bambine neanche sanno che tutto il mondo pensa a loro il 6 febbraio: isolate, analfabete, oppresse da istituzioni millenarie, sofferenti, gravate da pesanti carichi di lavoro, prive di mezzi di comunicazione, molte maritate dai genitori quando erano poco più che bambine. Se poi lo venissero a sapere, tante, troppe di loro, al pari di tanti uomini, si meraviglierebbero, incredule che si possa anche solo prendere in considerazione la possibilità di non essere mutilate e di non mutilare le figlie, domandandosi che ne è delle donne non mutilate (loro non ne conoscono nessuna), perché di sicuro nessun uomo per bene accetta di sposarne una, certo non pagando per lei il prezzo della sposa che difatti i suoi genitori possono esigere solo se l’hanno “tagliata”… e allora, senza il prezzo della sposa, come fa una famiglia a mettere da parte il denaro necessario affinché i figli maschi possano procurarsi a loro volta una moglie?
Clitoridectomia, escissione, infibulazione e altre forme meno diffuse di mutilazione genitale sono tutte classificate come violazioni dei diritti umani delle ragazze e delle donne: del loro diritto alla salute, alla sicurezza, all’integrità fisica, alla libertà da torture e da trattamenti disumani e degradanti, alla vita, poiché gli interventi possono provocarne la morte. Sul numero dei decessi non ci sono statistiche globali, ma si sa che le cause prevalenti sono la setticemia, il dissanguamento e lo shock neurologico, provocato dal dolore intenso e dal trauma. Per lo più le operazioni sono infatti eseguite senza anestesia, in ambienti e con strumenti – coltelli, pezzi di vetro… – non sterili, da persone esperte, ma senza preparazione medica.
Alla vigilia della Giornata contro le Mgf 2015, due sentenze hanno fatto clamore. In Gran Bretagna un tribunale ha assolto un medico, Dhanuson Dharmasena, accusato di aver ricucito in ospedale, subito dopo il parto, una donna che era stata infibulata da bambina in Somalia.
In Egitto invece, paese in cui le Mgf sono proibite dal 2008, ma continuano a essere generalmente praticate, una sentenza definita storica per la prima volta ha condannato un medico, il dottor Raslan Fadl, per la morte di una bambina di 13 anni, avvenuta durante un intervento di mutilazione. La pena è di due anni di lavori forzati per omicidio colposo e altri tre mesi per pratica illegale. Anche il padre della bambina, responsabile di aver voluto l’intervento, è stato condannato a tre mesi di carcere. Sembrano condanne troppo miti, ma costituiscono un precedente su cui il Centro di assistenza legale per le donne e altre organizzazioni egiziane potranno basare le loro prossime battaglie.