«Musulmana, laica e riformista. Così il Pd non mi vuole»
«Sono musulmana, laica e progressista. Mi considero parte di un islam numericamente maggioritario, (…) un islam dove veli e barbe non sono segni distintivi». E' la lettera che Maryan Ismail ha scritto a Renzi per dimettersi dal Pd in segno di protesta per non essere stata candidata a Milano.
Nel momento in cui l’Occidente cerca disperatamente e vuole individuare i musulmani “moderati”, la lettera-sfogo di Maryan Ismail, candidata per il Partito democratico alle recenti amministrative di Milano, assume un valore aggiunto e meriterebbe di diventare oggetto di una seria riflessione sul rapporto tra istituzioni e musulmani residenti in Italia.
Le dimissioni dal Pd della Ismail, dopo una militanza decennale, sono intrise di amarezza e delusione per non essere stata appoggiata dal proprio partito che ha invece privilegiato il recente connubio con l’islam organizzato del Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano e Monza e Brianza (Caim), oggi rappresentato in Consiglio comunale da Sumaya Abdel Qader. Maryan si descrive come una «musulmana, laica e progressista», «parte di un islam numericamente maggioritario, purtroppo finanziariamente inesistente e dunque totalmente inascoltato», un islam fatto di musulmani che non sono «neanche iconograficamente pittoreschi: veli e barbe non sono nostri segni distintivi». Aggiungerei che Maryan appartiene alla maggioranza di musulmani che non sono «musulmani ventiquattro ore su ventiquattro», che sono impegnati nella società civile e a favore dei diritti umani di tutti senza sentire il bisogno di etichettarsi come musulmani perché sono in primo luogo cittadini.
La denuncia della Ismail sottolinea e rammenta quindi un errore di percezione dei musulmani da parte dell’Occidente. Singolarmente è lo stesso errore che da anni denuncia anche Tariq Ramadan, alla cui recente conferenza alla vigilia delle elezioni milanesi venivano distribuiti volantini che invitavano a votare la Abdel Qader. La denuncia va tuttavia nella direzione opposta: «L’aggettivo [moderato] è il più apprezzato dalla classe politica e dai giornalisti e con il quale si definiscono i musulmani e le musulmane che a loro sembrano “accettabili”. Tuttavia, l’uso del qualificativo è spesso arbitrario e poggia su criteri molto soggettivi: i “moderati” attuali sono spesso i non praticanti. Il rispetto della scelta di questi ultimi non deve però fare dimenticare il diritto che hanno i musulmani di rispettare semplicemente le prescrizioni della loro religione senza essere considerati dei fanatici. Molti musulmani sanno unire l’esigenza nella loro pratica e la moderazione nella loro vita quotidiana: siffatto connubio non ha nulla di “sospetto”».
Ramadan scriveva così nel 1999 e ora si può affermare che il jihad della comunicazione a lui tanto caro ha funzionato. Ora, come afferma la Ismail, per le istituzioni e i mezzi di comunicazione non si è musulmani se non si hanno segni distintivi, se la priorità non è la moschea o il ramadan. Quindi la Ismail, come tanti altri musulmani che vivono nel nostro Paese, che da sempre lotta contro la violenza sulle donne musulmane, in primo luogo contro le mutilazioni genitali femminili, ma non ha lanciato “un progetto Aisha”, che ha vissuto il terrorismo sulla propria pelle con l’uccisione di suo fratello da parte degli Shabaab somali, ma non è velata e non pubblica comunicati stampa ad hoc, ebbene lei non è sufficientemente rappresentativa dell’islam.
La delusione e la rabbia della Ismail risiedono nel fatto che la sua normalità, la sua umanità, il suo essere musulmana sono stati soppiantati da una comunità islamica artificiale, non rappresentativa che vuole gestire moschee e musulmani e anche soldi poiché gestire una moschea significa raccogliere l’elemosina, pilastro dell’islam, significa ricevere fondi dal Qatar piuttosto che dall’Arabia Saudita, significa avere potere politico. Sarà un caso, ma il recente incontro tra il neo-eletto sindaco Beppe Sala e il vescovo Scola ha avuto come primo risultato l’annuncio che la moschea, ovvero la grande moschea, si farà. Sono queste le priorità dei cittadini di fede islamica a Milano che magari vivono in quartieri “ghetto”? Sono queste le priorità che eviteranno la radicalizzazione della nuove generazioni? La lettera della Ismail dovrebbe servire ad aprire un dibattito sereno e pacato sulla pluralità dell’islam e dei musulmani che è sempre più indispensabile onde evitare pericolose polarizzazioni.
Le istituzioni dovrebbero tenere presenti le seguenti parole di Mohamed Charfi, ex ministro dell’Istruzione tunisino: «Gli osservatori definiscono oggi moderato l’islamista che innanzi agli occidentali usa un linguaggio ragionevole e che non sceglie apertamente l’azione violenta. Anche se lo stile calmo e il rifiuto della violenza sono sinceri, dal momento che il movimento è sempre legato alla sharia e alla sacralizzazione della storia, la moderazione rimane provvisoria e indica una strategia d’attesa, perché gli ingredienti della radicalizzazione non sono scomparsi». E Maryan Ismail lo sa bene. Ecco la sua lettera
Caro segretario Matteo Renzi,
mi chiamo Maryan Ismail, cittadina italiana di origine somala, iscritta al Pd, fondatrice del Circolo Pd Città Mondo e componente della segreteria metropolitana milanese. Sono attivista e appassionata della politica al servizio dei più deboli. Con entusiasmo ho partecipato ad alcune edizioni della Leopolda e la forza delle tue idee mi ha fatto sentire parte di un percorso di rinnovamento necessario per il nostro Paese.
Sono mussulmana, laica e progressista. Mi considero parte di un islam numericamente maggioritario, purtroppo finanziariamente inesistente e dunque totalmente inascoltato. Siamo chiamati a palesarci solo per fatti riconducibili al terrorismo islamico. Non siamo neanche iconograficamente pittoreschi: veli e barbe non sono nostri segni distintivi. Sebbene il nostro potere contrattuale con le istituzioni milanesi sia tendente allo zero, non perdiamo occasione per urlare la nostra contrarietà alla visione ortodossa di un islam dove politica e religione sono profondamente intrecciate, identificabile in quel wahabismo della Fratellanza Islamica promosso da varie sigle nazionali e territoriali come Ucoii e la milanese Caim. Il “riformismo” spesso sbandierato da essi non significa rinnovamento bensì restauro della purezza delle origini ossia di una ortodossia ultraconservatrice.
Purtroppo il segretario del Pd milanese Pietro Bussolati e l’assessore Pierfrancesco Majorino hanno scelto di sostenere con forza la candidatura dell’indipendente Sumaya Abdel Qader, sociologa mussulmana ortodossa, responsabile culturale del Caim che ora siede a pieno titolo in Consiglio comunale. Nonostante le perplessità espresse anche da Emanuele Fiano a fronte delle forti ambiguità di alcune dichiarazioni dell'allora candidata, il sindaco Sala ha più volte dichiarato che sarà lei l'interlocutrice per la costruzione della controversa moschea di Milano, avversata da tutte le comunità islamiche cittadine che non si riconoscono nel Caim.
Dunque, il Pd milanese ha scelto di interloquire con la parte minoritaria ortodossa e oscurantista dell’islam, chiudendo il dialogo alla parte positiva e progressista che esige la separazione tra politica e religione e sostiene il ruolo della donna mussulmana in un’ottica di consapevolezza dei propri diritti e doveri di cittadina. Ancora una volta, le anime dell’islam moderno, plurale e inclusivo non sono state ascoltate. Anche se la delusione è amarissima, continuerò a battermi perché così non debba essere. Da militante e da quadro di partito non posso accettare di condividere uno spazio politico che avvalla esclusivamente un'ideologia ortodossa che ci impone di sottoporci a un islam politico.
Non posso farlo anche per storia personale: mio fratello Yusuf Mohamed Ismail, ambasciatore somalo presso le Nazioni Unite a Ginevra ha perso la vita per mano degli Al Shabab proprio per il suo impegno contro l'islam politico e ideologico. So con certezza che saremo noi inascoltati e invisibili moderati a narrare un islam compatibile con una città moderna e cosmopolita come Milano. So con altrettanta convinzione che insieme a tanti altri cittadini di buona volontà saremo gli artefici di una nuova coesione sociale dove la dimensione religiosa apparterrà esclusivamente alla sfera spirituale e non si insinuerà con imposizioni e forzature nel convivere civile. Se poi altri mi considereranno “diversamente” musulmana, non sarà un mio problema.
Constato con rammarico che le tue belle idee di rinnovamento politico e sociale che tanto mi avevano coinvolta, a Milano si sono tristemente schiantate. Per questo e per le scelte inopinate del Pd milanese mi dimetto da tutti i ruoli e riconsegno la tessera. Sono sicura che da libera cittadina, svincolata dai lacciuoli di bassissimi equilibri locali di partito, potrò promuovere l'islam in cui credo e che mi appassiona tramite il dialogo e lo scambio con i miei concittadini per ottenere l'attenzione e il rispetto che la mia religione si merita.
Con immutata stima, Maryan Ismail