Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
IL CASO MACRO

Mostra blasfema, il Museo sapeva; i vescovi non vedono

Nella squallida vicenda del Gesù oltraggiato al Macro di Roma, il museo fa finta di scusarsi, in realtà sapeva benissimo chi fosse quell'"artista" e che era già stato denunciato per quell'opera. Eccolo l'odio tanto evocato dalle anime belle della Sinistra e dal cattolicesimo "perbene": è solo quello a Cristo, ma guai a vederlo. E i vescovi non si accorgono nemmeno che una ferita si è aperta. E questa va riparata, non basta accontentarsi del ritiro dell'opera. 

Attualità 18_12_2019

Non è vero che il Macro si sia scusato, così come non è vero che basti rimuovere un manifesto blasfemo per considerare chiusa la partita. Un delitto – civile e sacro - è stato commesso e non riconoscerlo è tanto grave quanto permettere che questo manifesto venga divulgato.

Nella squallida vicenda del Museo di Arte Contemporanea di Roma, che ha promosso un manifesto di una mostra con un Gesù ritratto orrendamente nell’atto di circuire un minore, c’è una gigantesca operazione di odio anticristiano. Odio, proprio quello che di la Sinistra delle anime belle e del cattolicesimo “presentabile” di Avvenire, vede con ossessione nei politici sgraditi. Odio, invece, che si diffonde con l'insulsa mostra di inutile arte (che arte non è) che può permettersi di irridere e violentare il sensus cristiano o comunque quel poco che rimane di esso.

Così, nella canea mediatica impazzita di ieri, ancora una volta spiace dover considerare che il quotidiano dei vescovi ha brillato per faciloneria. Ha scritto che il Macro si è scusato, ma dalle parole della direzione del museo, che fa capo al Comune di Roma, di scuse non traspare proprio nulla. Inoltre, se si legge il virgolettato riportato ieri dal Corriere della Sera, che ha intervistato il presidente di Palaexpo, la società del Comune di Roma che gestisce il museo, di queste scuse non c'è traccia. In quanto alla dissociazione dal messaggio del manifesto, sentite che cosa ha avuto l’ardire di affermare il signor Cesare Pietroiusti: “Sono un artista e fautore della libertà di espressione, ma non quando c’è un contenuto che volutamente scateni solo una polemica strumentale quanto quella politica che abbiamo visto. Invito chi ha rilasciato certe dichiarazioni, nel nome di una presunta attenzione a valori religiosi, a venire a valutare la qualità della nostra offerta culturale”. Chiaro? La colpa è di chi, Antonio Tajani, Giorgia Meloni e poi Matteo Salvini, hanno denunciato l’orrendo sacrilegio costringendo così il Macro a fare marcia indietro. Il quale però non si è scusato né ha spostato di un millimetro le proprie convinzioni.

D’altra parte, se la mostra in questione si chiama Subvertising (crasi inglese di sovversione e pubblicità, advertising) e consiste nella “vandalizzazione creativa di manifesti a forma di sabotaggio culturale” è chiaro che l’obiettivo è proprio quello di creare lo scandalo desiderato, diversamente di questa mostra non ne avrebbe parlato nessuno, salvo le brevi di cultura dell’edizione romana del Messaggero.

Risulta del tutto ridicola dunque la giustificazione che quel poster sarebbe “apparso in mezzo ad altri progetti” e “ce ne siamo accorti in ritardo”. Chi ci crede, e tanti giornalisti sembrano essersi accontentati di questa vulgata, non fa altro che portare acqua a questo filone che si presenta come artistico e che invece è spazzatura metropolitana che non si avvicina neppure alla cultura. Anzitutto perché qualcuno quel manifesto deve avercelo messo in esposizione e quel qualcuno ha ora una responsabilità, almeno di omessa vigilanza. Trattandosi di un luogo pubblico, pagato con soldi di tutti, qualcuno dovrebbe risponderne anche legalmente. Ma non accadrà.

In secondo luogo, l’artista (si fa per dire) che ha esposto e prodotto questo schifo spacciato per arte, era già stato denunciato per vilipendio della religione cattolica (non una religione qualunque come lascia intendere il Corriere). Impossibile che la direzione del Macro non sapesse chi fosse questo soggetto che si fa chiamare Hogre e si spaccia per artista e la cui mostra sul sovvertimento era ampiamente conosciuta con immagini blasfeme non solo di Gesù, ma anche della Vergine Maria. Dunque, il Macro era senza dubbio consapevole che facendo esporre un artista-si-fa-per-dire del genere avrebbe ricevuto delle critiche. E questo aumenta la responsabilità del museo, del suo gestore e del comune di Roma che ne è il garante politico e che oggi, per bocca dell’assessore alla Cultura, prende le distanze schivando le critiche.

Già, le critiche. Stupisce e per certi versi consola, ma fino a un certo punto, che a sollevare la cosa siano stati dei partiti. Li citiamo tutti per onore di cronaca: Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega nord. Stupisce perché da un partito non ti aspetteresti questo. Qualcuno però – e dopo la vicenda di Bologna dobbiamo pensare che sia un modus operandi comune – manca ancora una volta all’appello: la Chiesa. Chissà, forse i romani che hanno segnalato la cosa ai politici avevano provato a bussare alle porte delle sagrestie romane per farsi ascoltare, invano. O forse, semplicemente, per tanti cattolici oggi, specie nelle gerarchie ecclesiastiche, è molto difficile accorgersi di quelle che sono le ferite che si producono nel corpo vivo della Chiesa. Perché non c'è dubbio che una ferita sia stata inferta e i partiti, che hanno posto l’accento sul sentimento cattolico condiviso oltraggiato, hanno soltanto toccato l’aspetto più superficiale, facendo comunque il loro dovere civile.

Ma c’è un compito religioso che viene trascurato. Una ferita si è consumata e un’immagine sacrilega chiamata Ecce Homo Erectus è stata divulgata. Questo si chiama blasfemia, sacrilegio, bestemmia ed è punibile per la legge italiana e per le leggi della chiesa. Rallegrarsi perché alla fine l’esposizione è stata ritirata,  è come brindare dopo aver subito una cannonata in casa.

Infatti, non ci sono stati vescovi – e sì che a Roma ne bazzicano parecchi – che abbiano cercato di riparare all’oltraggio subito e inferto a Gesù con un atto solenne di riparazione. Una messa, un’adorazione eucaristica, una sequenza di preghiere riparatrici. Una processione che partisse dalla sede del Macro, che aggiustasse quanto è stato rotto: l’immagine del Salvatore. No, queste cose appartengono al passato e il fatto che oggi ci si limiti a condannare quell’esposizione con “misericordia”, ma non si voglia andare fino in fondo e risarcire chi è stato offeso, prima di tutto Dio, è il risultato della poca fede di tanti pastori che non soffrono per l’atto oggettivo in sé, ma pensano che in fondo, l’importante sia toglierlo dalla vista.

Il silenzio dei vescovi di Roma su questa vicenda è indicativo di una visione di Gesù ormai sganciata dalla realtà e sacrificato sull’altare del dialogo con il mondo a tutti i costi. Quel mondo che poi tratta la Chiesa senza rispetto, lo stesso rispetto che vescovi e prelati non riescono più a offrire perché costa la fatica dell’impopolarità. Abbandonano il Salvatore agli oltraggi e rinunciano ad educare il cuore dei loro fedeli abituandoli così a digerire anche il blasfemo.