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FRANCIA

Mossa dell'arrocco: Macron sceglie Barnier come primo ministro

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Macron nomina il nuovo primo ministro: Michel Barnier, gollista, 73 anni, famoso per aver negoziato la Brexit con Boris Johnson. Scelta incredibile, comunque, perché Barnier non rappresenta i partiti di maggioranza. 

Esteri 07_09_2024
Michel Barnier (La Presse)

Michel Barnier, politico gollista francese, 73 anni, è conosciuto ai più soprattutto perché è stato il negoziatore della Brexit per parte dell’Ue. Dal 5 settembre, è primo ministro della Francia, anche se deve passare dalle forche caudine di un parlamento senza maggioranza. Dopo le elezioni anticipate in Francia per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, conclusesi il 7 luglio, la Francia è rimasta per due mesi senza un governo approvato dalla camera del legislativo. Il vecchio esecutivo Attal è rimasto in carica per questa “tregua olimpica” in attesa di tempi migliori.

Le elezioni anticipate del 30 giugno e 7 luglio sono state indette dal presidente Emmanuel Macron, come reazione alla sconfitta patita nelle elezioni europee del 9 giugno precedente. Da quelle elezioni era emerso, di fatto, un unico vincitore: il Rassemblement National di Marine Le Pen, primo partito di Francia. E, come in tutta la storia della Quinta Repubblica, il Front National, poi rinominato Rassemblement, patisce l’isolamento politico. Le elezioni sono a doppio turno (sia per eleggere il presidente sia per i deputati) e per far fronte al partito anti-sistema di destra tutte le altre forze politiche si coalizzano nel secondo turno. È una strategia detta “blocco repubblicano”, di fatto è un cordone sanitario.

Per calcolo politico, temendo il logoramento di altri due anni o per spingere i francesi a votare contro il Rassemblement National, Macron ha subito sciolto l’Assemblea Nazionale e indetto nuove elezioni per il legislativo. Da un lato, Macron ha raggiunto il suo scopo: il “blocco repubblicano” ha funzionato, il Rn è stato sconfitto, anche se (come mero numero di voti) resta il primo partito in Francia. Dall’altro, Macron ha perso, perché oltre ad assistere al drastico calo di deputati dei partiti che lo sostengono, ha dato vita al primo parlamento senza maggioranza nella storia della Quinta Repubblica. Ha insomma riproposto lo stesso problema che era stato affrontato dal generale De Gaulle, sessant’anni fa, che aveva posto fine alla Quarta Repubblica (governo parlamentare, sistema proporzionale), con la sua riforma costituzionale (presidenzialismo, sistema maggioritario). Il problema, in queste elezioni, è l’affermazione del potente Nuovo Fronte Popolare, una coalizione che raccoglie formazioni di sinistra e di estrema sinistra, nemica giurata di Macron e delle sue politiche. Fra i centristi e i gollisti (centrodestra) e il Nuovo Fronte Popolare non c’è molto dialogo, ad essere gentili. Quindi il blocco repubblicano è servito a fermare Rn, ma non l’altra ala estrema della politica francese, quella di sinistra.

Dopo una serie di consultazioni andate a vuoto, Macron ha deciso di tenere Attal al suo posto, aspettando la fine delle Olimpiadi e poi delle vacanze di agosto. Una volta riprese le consultazioni e scartati una serie di nomi improponibili ai vari schieramenti, Macron ha sorpreso gli osservatori scegliendo Michel Barnier. Si è trattato di una scelta contro-intuitiva e politicamente poco spiegabile, prima di tutto perché la pattuglia più numerosa all’Assemblea è quella del Nuovo Fronte Popolare, dunque la scelta più logica avrebbe dovuto essere un esponente di un suo partito. Invece Barnier è un gollista, espressione dei partito dei Repubblicani, una formazione che nelle elezioni legislative si è diviso sulla strategia del blocco repubblicano (Eric Ciotti, ex leader, si è alleato con la Le Pen e per questo è stato espulso dal partito). Il partito più potente del Nuovo Fronte Popolare è la France Insoumise, di Jean Luc Mélenchon, un partito che si fonda sugli immigrati (molti in odore di integralismo islamico, per altro). Ma Barnier vuole dare una stretta all’immigrazione illegale. Macron è stato contestato dai partiti del Nuovo Fronte Popolare soprattutto sulla riforma delle pensioni, che mira, fra l’altro, a innalzare l’età pensionabile. Barnier appoggia Macron anche su questa riforma.

Se già queste divergenze non bastassero, anche le prime dichiarazioni di Marine Le Pen fanno pensare. La leader di destra dichiara che “non voterà automaticamente contro” un esecutivo Barnier, con cui trova un terreno di contatto soprattutto sull’immigrazione. E questo potrebbe costituire il proverbiale “bacio della morte” per il nuovo primo ministro: in caso di voti favorevoli della Le Pen, tutti i partiti di sinistra voterebbero contro, per principio. E anche in caso di astensione della Le Pen, potrebbe verificarsi lo stesso scenario.

Lo scenario in Francia, insomma, rappresenta in piccolo quel che avviene nel resto dell’Ue. Una classe dirigente (Macron e i centristi, in questo caso) che viene sfiduciata ma non vuole andarsene, un’alternativa di destra che viene votata da una maggioranza relativa di elettori, ma non le si permette di governare. E infine una frammentazione di partiti che impedisce di formare una maggioranza, per il semplice fatto che, non potendo governare la destra, i partiti di sinistra, anche molto ostili fra loro, devono trovare il modo di coesistere nella stessa maggioranza. Macron non cede il potere e la scelta di Barnier è una mossa di arrocco. Lo ha scelto perché è a lui vicino e perché conta sulle sue grandi capacità di negoziatore. Ma si tratta di una nomina ostentatamente contraria alla volontà degli elettori. Difficile che possa durare fino a Natale.