Mosca non va Ecco cosa divide il Concilio panortodosso
La decisione di Mosca di non partecipare al Concilio panortodosso che dovrebbe riunirsi a Creta domenica, dà un altro duro colpo al processo di dialogo tra le Chiese ortodosse. In ogni caso non sarà un evento unitario: prima di Mosca, altre tre Chiese su quattordici hanno annunciato che non ci saranno. Mosca aveva premuto per un rinvio, ma il patriarcato di Costantinopoli, non ha accettato.
Manca meno di una settimana alla data della sua apertura. E a Creta un comitato preparatorio sta anche già lavorando alla stesura del messaggio comune che verrà rivolto ai circa 250 milioni di fedeli ortodossi che vivono oggi nel mondo. Ma l’effettivo svolgimento del Concilio panortodosso - il primo dopo secoli, convocato nello scorso mese di gennaio dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo con l’assenso della sinassi dei patriarchi, cioè i leader delle 14 Chiese autocefale che formano oggi la galassia dell’ortodossia – resta appeso a un filo.
Ieri a tarda sera il Sinodo del patriarcato di Mosca, riunito in sessione straordinaria, ha comunicato ufficialmente che non parteciperà all’appuntamento che dovrebbe aprirsi domenica a Creta con una solenne liturgia nel giorno che per il calendario giuliano è la solennità di Pentecoste. Ben difficilmente dunque si potrà parlare davvero di un evento “panortodosso”: prima di Mosca altre tre Chiese su quattordici hanno annunciato che non ci saranno, quelle di Bulgaria e Georgia e il patriarcato di Antiochia. Per questo Mosca aveva premuto nei giorni scorsi per un rinvio dell’appuntamento, ma il patriarcato di Costantinopoli - ben consapevole che ci sono voluti ben cinquant’anni per arrivare alla convocazione di questo Concilio - non ha accettato di discuterne e ha invitato le Chiese sorelle ad essere all’altezza delle attese delle sfide poste dal momento presente.
Mosca si trovava davanti a un bivio: dalla sua scelta dipendeva se Creta potrà comunque essere l’inizio di un processo pur in salita, oppure se si trasformerà in un braccio di ferro che creerà solo nuove ferite all’interno del mondo ortodosso. La decisione per il patriarcato guidato da Kirill non era facile anche perché a confrontarsi sono anche due visioni diverse su che cosa dovrebbe essere questo Concilio: da una parte c’è la visione del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, che ha premuto per fare di questo appuntamento un segno di unità nel momento drammatico che i cristiani del Medio Oriente stanno vivendo.
Dall’altra c’è la visione maggioritaria nelle Chiese dell’Europa dell’Est, che premono perché il Concilio sia un’occasione per un’affermazione forte della visione del mondo del cattolicesimo ortodosso. Non a caso sui documenti conciliari che il Concilio dovrebbe approvare sono tre quelli su cui verte maggiormente lo scontro: quello sulle relazioni tra l’ortodossia e il resto del mondo cristiano (che significa poi con che occhi guardare anche al cattolicesimo), quello sulla Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo e quello sulla disciplina del matrimonio. Temi sui quali nella galassia ortodossa esistono posizioni diverse e in parte anche difficilmente conciliabili.
Ci sono poi le questioni storico-politiche, come quella contestata dal patriarcato di Antiochia (che è la Chiesa ortodossa della Siria): non sarà a Creta perché Costantinopoli non ha risolto la diatriba che l’oppone al patriarcato di Gerusalemme riguardo alla giurisdizione sui fedeli del Qatar. Questione che si intreccia con la dimensione politica dal momento che - alla fine - è uno scontro tra greci (a cui per tradizione spetta la nomina del patriarca ortodosso di Gerusalemme) e arabi sulla cura pastorale di alcune migliaia di fedeli in una regione come il Golfo Persico, dove negli ultimi decenni i lavoratori stranieri cristiani sono diventati una presenza significativa.
È un travaglio serio quello che l’ortodossia sta vivendo in queste ore. E probabilmente è un poco riduttivo derubricare tutto a un braccio di ferro tra Mosca e Costantinopoli (va sempre ricordato, ad esempio, che in Europa Orientale oggi vivono i tre quarti dei fedeli ortodossi). È molto evidente, però, chi alla fine si troverebbe a soffrire di più se Creta dovesse rivelarsi un fallimento: quei cristiani che hanno avuto modo di constatare drammaticamente che i loro persecutori islamisti in Medio Oriente non si fanno grandi domande su gerarchie o giurisdizioni. Sono per tutti “nazareni”. Se dopo cinquant’anni di discussioni si è arrivati alla convocazione di questo Concilio è perché si è ascoltata la loro voce. Sarebbe drammatico se le gerarchie ortodosse, per la loro incapacità di trovare un accordo, finissero per metterla a tacere proprio adesso.