Mortalità in Italia, non c'entra il clima ma il caos sanità
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Il recente rapporto dell'Istat certifica un drammatico eccesso di mortalità giustificandolo con i cambiamenti climatici. Si tratta di una vergognosa opera di disinformazione. La realtà è che dopo il 2020, al netto dell'invecchiamento della popolazione, si consolida una tendenza all'aumento dei decessi, a cui non può essere estranea la crisi sanitaria provocata dalla folle gestione della pandemia.
- VIDEO: MORTI E CLIMA, ANCHE L'ISTAT DISINFORMA, di Riccardo Cascioli
La popolazione italiana continua a diminuire, e nel 2022 è scesa per la prima volta sotto i 59 milioni di abitanti; le nascite hanno avuto un’altra inquietante diminuzione e sono scese sotto le 400mila mentre le morti sono quasi il doppio. I dati forniti dall’Istat sono nel loro insieme drammatici, per quanto attesi, ma in questi giorni si è parlato soprattutto di morti perché all’Istat hanno avuto la brillante idea di spiegare l’eccesso anomalo di decessi con i cambiamenti climatici, mettendo in relazione l’eccesso del 2022 con precedenti eccessi del 2015 e 2017.
Si tratta di una sciocchezza dal punto di vista scientifico, una manipolazione dal punto di vista statistico, una vergogna dal punto di vista dell’informazione (a cui ovviamente tutta la stampa di regime si è accodata).
Cerchiamo di capire cosa sta accadendo: dopo il drammatico picco del 2020, quando si sono registrati circa 100mila morti in più rispetto all’anno precedente (746.146 contro 644.515), ci si aspettava un deciso ridimensionamento delle cifre. Il record del 2020, come è noto, si deve alla pandemia (e non discutiamo qui in che misura i decessi si devono al Covid oppure alla gestione politico-sanitaria della pandemia), e il Covid ha mietuto morti soprattutto tra gli ultraottantenni, falciando quindi la parte della popolazione più vulnerabile. Basta comparare i tassi di mortalità del 2020 con quelli degli anni precedenti: restano sostanzialmente nella media fino ai 69 anni, si alzano dai 70, si impennano dopo gli 80 anni.
Quindi ci si poteva aspettare un calo significativo della mortalità, soprattutto nel 2022. E invece nel 2021 e 2022 i decessi restano molto alti, rispettivamente 709.035 e 713.499.
Dice il comunicato dell’Istat, per prepararci alla tesi finale, sempre riferito al 2022: «Il numero più alto dei decessi si è avuto in concomitanza dei mesi più rigidi, gennaio e dicembre, e nei mesi più caldi, luglio e agosto. In questi soli quattro mesi si sono osservati 265mila decessi, quasi il 40% del totale, dovuti soprattutto alle condizioni climatiche avverse che hanno penalizzato nella maggior parte dei casi la popolazione più anziana e fragile».
È un giochino statistico per darci l’idea dei picchi estremi di temperature a cui siamo sottoposti: tanto caldo, tanto freddo e questo miete vittime tra i più fragili. In realtà se sostituiamo a luglio e agosto i mesi di febbraio e marzo, e quindi abbiamo tutti i mesi invernali messi insieme, troviamo che la cifra di decessi è esattamente la stessa. Perché in effetti, se scorriamo la serie storica delle tavole di mortalità, febbraio e marzo registrano sempre una mortalità superiore a quella di luglio e agosto, e molto spesso anche aprile registra più morti che in estate. Non sorprendentemente: perché è l’inverno, cioè il freddo, il più grande nemico delle persone fragili. In realtà l’unica anomalia del 2022 è il mese di luglio che, effettivamente ha registrato un eccesso di morti legato all’estate particolarmente calda. Ma dicembre 2022 registra quasi 3mila decessi in più rispetto a luglio e non è stato affatto rigido, anzi ricordiamo i grandi titoli dei giornali che ci dicevano che dicembre 2022 è stato «il secondo più caldo di sempre in Italia». Quindi, a rigor di logica, con un dicembre così mite ci sarebbero dovuti essere molti meno decessi.
Ma anche il riferimento al 2015 e 2017 è una vergognosa operazione di disinformazione. Prendiamo il 2017: 659.473 decessi, 52mila in più rispetto all’anno precedente. Cosa è successo? Le temperature in Italia non presentano particolari anomalie; certo gennaio è stato freddo, come ci si aspetta, ma il vero problema è stata la diffusione di un virus influenzale particolarmente aggressivo: 78.688 morti in un mese, «il 42% in più rispetto alle attese», come scriveva Quotidiano Sanità; un record, superato solo dal marzo 2020, quello dell’esplosione del Covid (86.501 decessi).
E nel 2015? Grande allarme prima ancora che finisse l’anno, perché i dati dei primi sette mesi facevano temere un aumento di 66mila decessi rispetto all’anno precedente. Alla fine saranno 48mila ma il picco era comunque evidente, qualcosa che in precedenza si era visto soltanto durante le due guerre mondiali. La spiegazione ha provato a darla dalle colonne di Avvenire il professor Giancarlo Blangiardo, divenuto poi presidente dell’Istat nel 2019, mandato scaduto da poche settimane e ora in attesa di una possibile conferma. Diceva allora Blangiardo che l’aumento evidente della popolazione anziana era una spiegazione solo parziale del fenomeno (al massimo 16mila decessi), e si dovevano ipotizzare altre cause, ad esempio «gli effetti della crisi, i tagli di cui sentiamo spesso parlare e che non hanno certo risparmiato la sanità», che «hanno forse accresciuto nel corrente anno il rischio di mortalità in corrispondenza dei gruppi tipicamente più fragili: i vecchi e i "grandi vecchi", più di ogni altro». Un’ipotesi, certo, ma il professor Blangiardo invitava giustamente la scienza e la politica a riflettere sui dati e approfondire le cause perché «ogni scelta pesa».
Ci piacerebbe risentire anche oggi queste frasi da qualcuno che conta: la mortalità di questi due anni va ben oltre l’aumento che ci si aspetta dall’invecchiamento della popolazione (nel 2022 ci sono 69mila morti in più rispetto al 2019), e buttarla sui cambiamenti climatici è una vigliaccata che meriterebbe il licenziamento immediato di chi l’ha scritta.
Cosa è accaduto allora in questi anni? Le campagne di vaccinazione, senz’altro, ma nessuno oggi è in grado di poter dire se e quante morti siano collegabili alla gravità degli effetti avversi. Sappiamo però di sicuro, perché lo sperimentiamo ogni giorno, che la gestione folle della pandemia ha dato il colpo di grazia alla medicina territoriale e ha provocato ritardi nelle diagnosi e cure di altre patologie anche gravi. Se nel 2015 Blangiardo parlava già di «crisi sanitaria» legata alla situazione economica, cosa si dovrebbe dire oggi? Quanto è costata, in termini di mortalità, la follia di una sanità tutta concentrata sulle vaccinazioni anti-Covid che, tra l’altro, non hanno neanche dato risultati apprezzabili contro il virus?
E ancora: l’aumento della povertà (anche questo legato in parte alle scelte dei lockdown a tappeto), che si traduce anche in povertà sanitaria: l’ultimo rapporto del Banco Farmaceutico ci dice che già nel 2021 quasi 5 milioni di famiglie avevano dovuto ridurre la spesa sanitaria («rinunciando o rinviando a visite mediche o accertamenti periodici»), e di queste 639mila erano in povertà assoluta. Tendenza che certamente nel 2022 si è rafforzata.
Tutto questo andrebbe approfondito, anche perché quello che sembra profilarsi non è più soltanto un’impennata episodica dovuta a qualche evento eccezionale, ma una tendenza che si sta consolidando. «Ogni scelta pesa»: era vero nel 2015, è ancora più vero oggi.