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Monte dei Pacchi?

A meno di un mese dalle elezioni era inevitabile che la crisi del Monte dei Paschi di Siena diventasse un caso nazionale non tanto per le implicazioni economiche e finanziarie quanto per gli importanti riflessi di carattere politico. La Banca senese non è solo la più antica, ma è anche una delle più grandi banche italiane.

Economia 31_01_2013
Lo scandalo della banca senese

A meno di un mese dalle elezioni era inevitabile che la crisi del Monte dei Paschi di Siena diventasse un caso nazionale non tanto per le implicazioni economiche e finanziarie quanto per gli importanti riflessi di carattere politico. La Banca senese non è solo la più antica, ma è anche una delle più grandi banche italiane perché è stata capace negli anni di consolidare la propria presenza ben al di là del territorio locale, mantenendo tuttavia ben salde le sue radici nella città toscana.

La crisi finanziaria globale degli ultimi anni è stata tuttavia come la marea che si abbassa e fa venire a galla gli scogli più alti e più pericolosi. Si è scoperto così che, dopo decenni di crescita lenta, ma sicura, la banca ha compiuto negli ultimi anni molte operazioni dettate più da logiche di potere e di interesse, che non da strategie realistiche e con un'adeguata valutazione del rischio.

La scelta più clamorosamente anomala è stata l’acquisizione nel 2008 della Banca Antonveneta a un prezzo vicino ai 10 miliardi di euro, un prezzo non solo superiore ai normali parametri, ma soprattutto più alto di quasi 3 miliardi rispetto al prezzo pagato per la stessa banca dall’olandese Abn Amro solo due anni prima.
E per di più se nel 2006 lo scenario era ancora improntato al sereno, nel 2008 la crisi finanziaria aveva già iniziato a manifestare concreti segnali di crisi culminati in settembre con il fallimento di Lehman Brothers.

L’acquisizione di Antonveneta è stata il detonatore di una serie di situazione esplosive che hanno provocato la crisi attuale. Per finanziare quell’operazione il Monte ha dovuto chiedere soldi agli azionisti e soprattutto alla Fondazione che non ha mai voluto perdere la maggioranza del capitale e quindi il controllo della Banca. Ma quell’acquisizione ha significato anche un cambiamento radicale delle strategie e degli scenari operativi.

Indeboliti dal forte esborso per Antonveneta e insieme dagli effetti della crisi finanziaria internazionale i dirigenti del Monte hanno tentato la strada di operazioni non del tutto trasparenti soprattutto per cercare di far apparire le perdite in bilancio il più tardi possibile.
A questo punto si intrecciano due problemi, il primo di carattere politico e probabilmente penale, un altro di carattere eminentemente finanziario.
Sul primo fronte la magistratura sta indagando alla ricerca di eventuali truffe, appropriazioni indebite, falsi in bilancio e altri reati di questo tipo.
Sul secondo fronte gli attuali dirigenti del Monte hanno chiesto un prestito allo Stato per rafforzare la propria struttura patrimoniale anche per rispettare i parametri imposti dagli organismi europei ai grandi istituti di credito.

Come ha precisato il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, in Parlamento con questo prestito di circa 4 miliari di euro la banca si mette al riparo da possibili rischi di insolvenza nel breve termine. Da un profilo finanziario, salvo tempeste improvvise e imprevedibili, Mps resta una banca solida, capace di far fronte ai propri impegni verso i risparmiatori e verso le imprese. Del tutto diverso, e a questo punto separato, è il discorso delle responsabilità penali degli ormai ex dirigenti e, collegate a queste, delle responsabilità politiche per il sistema di potere che si era creato attorno alla banca.

Per intenderci se qualcuno ha rubato un milione di euro alla banca questo fatto è gravissimo sul piano politico e penale, perché è stata tradita la fiducia e violata la legge, ma resta un fatto marginale dal profilo finanziario (soprattutto se l’autore viene messo nella condizione di non poter far più danni) perché le perdite sono facilmente assorbibili con il patrimonio della banca.
E tuttavia in questa fase preelettorale appare quasi naturale che si faccia un gran polverone mettendo peraltro a repentaglio la stessa solidità della banca. Con riflessi politici che rischiano di essere dirompenti. Basti ricordare che nel Consiglio di amministrazione della Fondazione Mps, che come abbiamo visto, controlla la banca, otto membri sono nominati dal Comune (da sempre a maggioranza di sinistra), cinque dalla Provincia (idem), uno della Regione (idem), uno dall’Università (idem) e un ultimo dall’Arcidiocesi che, forse, è l’unico a cui è difficile dare un’appartenenza politica.

E con questo si dimostra come in Mps una certa politica abbia sempre giocato un ruolo di primo piano. In positivo prima e in negativo negli ultimi anni. E ognuno può trarre le sue conclusioni.