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Ddl Zan

Mons. Suetta su Ddl Zan

Dopo la bocciatura del Ddl Zan, Mons. Suetta, vescovo di Sanremo Ventimiglia, così si esprime intervistato da Provita & Famiglia: "la necessità di regolamentare questa materia attraverso una legge, non si pone".

Gender Watch 04_11_2021

Dopo la bocciatura del Ddl Zan, Mons. Antonio Suetta, vescovo di Sanremo Ventimiglia, viene intervistato dal sito

Dopo la bocciatura del Ddl Zan, Mons. Antonio Suetta, vescovo di Sanremo Ventimiglia, viene intervistato dal sito ProVita & Famiglia. Riportiamo l’intervista integrale.

Eccellenza, quanto accaduto mercoledì scorso al Senato segna, in un certo senso, una vittoria anche per la Chiesa?

«Penso di sì, anche se non voglio parlare di una vittoria, come se la Chiesa avesse voluto entrare nella competizione parlamentare, come superficialmente alcuni riducono la questione. Credo comunque sia un segnale molto positivo, che rivela come la coscienza e la sensibilità dei fedeli (anche se tra loro non sono moltissimi quelli che aderiscono al Magistero nella sua totalità) siano state sensibili al richiamo della Chiesa, al suo patrimonio dottrinale o, più semplicemente, al buon senso o ad una corretta visione antropologica. La Chiesa ha sicuramente stimolato una riflessione e questo è sicuramente un risultato positivo. È un risultato che, comunque, va contestualizzato nella tradizione culturale del popolo italiano: anche questo aspetto, dal mio punto di vista, è assolutamente prezioso e importante».

Siamo a una tappa importante ma niente affatto risolutiva nella battaglia sui temi etici. Adesso quali sfide attendono i cattolici e i pro-family su questo fronte?

«Sicuramente, l’argomento si ripresenterà, vista la determinazione di alcune parti politiche e di certi ambienti sociali e culturali a fare di questo argomento una vera e propria battaglia. Da un lato, ribadisco che, secondo me, la necessità di regolamentare questa materia attraverso una legge, non si pone, anche per una ragione sostanziale dal punto di vista del diritto. Intendo dire che non mi pare logico sezionare i diritti, ridisegnandoli di volta in volta per ogni singola categoria di persone. Il diritto a non essere discriminati, a non essere perseguitati per le proprie idee e a non essere oggetto di violenza, è un diritto fondamentale e riguarda la persona in quanto tale. Una volta che la legge sancisce questo diritto e lo tutela – cosa che la legge italiana già fa – a mio parere è sufficiente. Al contempo, se si rendesse necessario, si potrebbe pensare a un inasprimento delle pene. Ribadire e perimetrare ogni volta lo stesso principio per questa o quell’altra categoria di persone, al contrario, finisce per indebolire il principio stesso. Per rispondere alla sua domanda, ritengo che i cattolici dovrebbero continuare a tenere conto di una distinzione che si impone e che è quella che ha portato all’affossamento del disegno di legge, così come era stato presentato. Occorre, cioè, tener conto della distinzione sostanziale tra il giusto rifiuto di ogni forma di discriminazione, persecuzione e violenza – che certamente i cattolici e tutte le persone di buon senso condividono – da un lato, e l’ideologia dall’altro. Questo principio del rifiuto della violenza e della discriminazione va tenuto separato dall’affermazione, dalla promozione, dalla diffusione e dal sostegno alla teoria del gender che, ovviamente, è incompatibile con la dottrina cattolica e, a mio parere, anche con una normale visione antropologica».

Per un cristiano è ammissibile che l’odio possa venire “vietato per legge”, come pretendeva il ddl Zan?

«È un discorso che si ricollega alla sua domanda precedente. Si tratta di un principio universale, che va garantito a tutti in quanto persone umane, non in relazione a questa o quella categoria. Chiaramente l’odio va contrastato con un’adeguata formazione del cuore dell’uomo. L’antidoto all’odio è prima di tutto il rispetto. Rispetto che può e deve maturare nella solidarietà, nella carità e in tutte quelle forme di collaborazione e di cooperazione umana che portino le persone a conoscersi, a integrarsi e a condividere l’itinerario della vita e anche una certa corresponsabilità sociale: credo, cioè, che, dal punto di vista sociale, si debba guardare innanzitutto alla singola persona come fulcro di ogni sforzo. Non va perso di vista nemmeno un autentico impegno, un vero e proprio lavoro intorno al riconoscimento, all’elaborazione di un concetto di bene comune e al perseguimento dello stesso. Una società che si limiti a considerare dei diritti individuali e a comporli nella legislazione, non può essere altro che una società, da un lato gravemente conflittuale, dall’altro, terribilmente miope, rispetto alla visione dell’uomo. Quindi, a mio parere occorre un dialogo sincero, non necessariamente confessionale (al mondo c’è spazio per tutti!), purché dia luogo a un dibattito più aperto, più libero, più intelligente e più coraggioso, su un orizzonte che vada al di là dei diritti individuali e si apra, come dicevamo, al tema più profondo del bene comune».

. Riportiamo l’intervista integrale.

Eccellenza, quanto accaduto mercoledì scorso al Senato segna, in un certo senso, una vittoria anche per la Chiesa?

«Penso di sì, anche se non voglio parlare di una vittoria, come se la Chiesa avesse voluto entrare nella competizione parlamentare, come superficialmente alcuni riducono la questione. Credo comunque sia un segnale molto positivo, che rivela come la coscienza e la sensibilità dei fedeli (anche se tra loro non sono moltissimi quelli che aderiscono al Magistero nella sua totalità) siano state sensibili al richiamo della Chiesa, al suo patrimonio dottrinale o, più semplicemente, al buon senso o ad una corretta visione antropologica. La Chiesa ha sicuramente stimolato una riflessione e questo è sicuramente un risultato positivo. È un risultato che, comunque, va contestualizzato nella tradizione culturale del popolo italiano: anche questo aspetto, dal mio punto di vista, è assolutamente prezioso e importante».

Siamo a una tappa importante ma niente affatto risolutiva nella battaglia sui temi etici. Adesso quali sfide attendono i cattolici e i pro-family su questo fronte?

«Sicuramente, l’argomento si ripresenterà, vista la determinazione di alcune parti politiche e di certi ambienti sociali e culturali a fare di questo argomento una vera e propria battaglia. Da un lato, ribadisco che, secondo me, la necessità di regolamentare questa materia attraverso una legge, non si pone, anche per una ragione sostanziale dal punto di vista del diritto. Intendo dire che non mi pare logico sezionare i diritti, ridisegnandoli di volta in volta per ogni singola categoria di persone. Il diritto a non essere discriminati, a non essere perseguitati per le proprie idee e a non essere oggetto di violenza, è un diritto fondamentale e riguarda la persona in quanto tale. Una volta che la legge sancisce questo diritto e lo tutela – cosa che la legge italiana già fa – a mio parere è sufficiente. Al contempo, se si rendesse necessario, si potrebbe pensare a un inasprimento delle pene. Ribadire e perimetrare ogni volta lo stesso principio per questa o quell’altra categoria di persone, al contrario, finisce per indebolire il principio stesso. Per rispondere alla sua domanda, ritengo che i cattolici dovrebbero continuare a tenere conto di una distinzione che si impone e che è quella che ha portato all’affossamento del disegno di legge, così come era stato presentato. Occorre, cioè, tener conto della distinzione sostanziale tra il giusto rifiuto di ogni forma di discriminazione, persecuzione e violenza – che certamente i cattolici e tutte le persone di buon senso condividono – da un lato, e l’ideologia dall’altro. Questo principio del rifiuto della violenza e della discriminazione va tenuto separato dall’affermazione, dalla promozione, dalla diffusione e dal sostegno alla teoria del gender che, ovviamente, è incompatibile con la dottrina cattolica e, a mio parere, anche con una normale visione antropologica».

Per un cristiano è ammissibile che l’odio possa venire “vietato per legge”, come pretendeva il ddl Zan?

«È un discorso che si ricollega alla sua domanda precedente. Si tratta di un principio universale, che va garantito a tutti in quanto persone umane, non in relazione a questa o quella categoria. Chiaramente l’odio va contrastato con un’adeguata formazione del cuore dell’uomo. L’antidoto all’odio è prima di tutto il rispetto. Rispetto che può e deve maturare nella solidarietà, nella carità e in tutte quelle forme di collaborazione e di cooperazione umana che portino le persone a conoscersi, a integrarsi e a condividere l’itinerario della vita e anche una certa corresponsabilità sociale: credo, cioè, che, dal punto di vista sociale, si debba guardare innanzitutto alla singola persona come fulcro di ogni sforzo. Non va perso di vista nemmeno un autentico impegno, un vero e proprio lavoro intorno al riconoscimento, all’elaborazione di un concetto di bene comune e al perseguimento dello stesso. Una società che si limiti a considerare dei diritti individuali e a comporli nella legislazione, non può essere altro che una società, da un lato gravemente conflittuale, dall’altro, terribilmente miope, rispetto alla visione dell’uomo. Quindi, a mio parere occorre un dialogo sincero, non necessariamente confessionale (al mondo c’è spazio per tutti!), purché dia luogo a un dibattito più aperto, più libero, più intelligente e più coraggioso, su un orizzonte che vada al di là dei diritti individuali e si apra, come dicevamo, al tema più profondo del bene comune».