Mladic condannato per ripulire la nostra coscienza
Ratko Mladic è stato condannato per i crimini commessi in Bosnia, in particolare per l'eccidio di Srebrenica nel 1995. Ma sono dimenticati i crimini commessi in precedenza contro i croati. Perché passano certe storie e sono puniti certi crimini, mentre altri sono dimenticati, per realpolitik. E tanti altri criminali serbi fanno carriera.
La condanna all’ergastolo inflitta dal Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia al generale Ratko Mladic, ex comandante dell’esercito jugoslavo in Croazia e successivamente dell’esercito della Republika Srpska, l'entità serba in Bosnia-Erzegovina, rappresenta un inevitabile e, possiamo dirlo, ipocrita sigillo della comunità internazionale su quella che fu una vera e propria guerra di aggressione della Jugoslavia serbocentrica nei confronti della Slovenia, della Croazia e della Bosnia-Erzegovina, i cui popoli, in modo del tutto legale e democratico - la Costituzione jugoslava del 1975 prevedeva il diritto alla secessione delle singole repubbliche - avevano deciso a stragrande maggioranza che le loro Repubbliche si staccassero dallo Stato jugoslavo.
La sentenza di condanna di Mladic - che si riferisce solamente ai fatti accaduti in Bosnia e ignora i crimini commessi in Croazia, tra i quali la strage nel villaggio dell’entroterra dalmata di Škabrnja nel 1991 - era attesa e inevitabile, poiché egli, insieme al presidente della Republika Srpska Radovan Karadzic e al defunto ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, viene unanimemente considerato uno dei 'cattivi' per antonomasia. Egli appariva quindi destinato inevitabilmente alla condanna perfino da parte di un Tribunale che ha praticamente ignorato i crimini collegati alla distruzione di Vukovar e alle stragi dei civili ivi perpetrate, e che ha assolto personaggi come Vojislav Šešelj, leader politico e militare serbo di stampo cetniko, e altri responsabili di efferate stragi commesse durante la guerra degli anni Novanta del secolo scorso.
Questo atto del Tribunale dell'Aja, e più in generale il Tribunale in sé, rappresenta l’espressione di un goffo tentativo della comunità internazionale di nascondere le proprie gravissime responsabilità per lo scoppio, il protrarsi per cinque lunghi anni e la conclusione pasticciata del conflitto nell'ex Jugoslavia. All'inizio, infatti, le cancellerie occidentali guardavano con evidente contrarietà l'indipendenza di Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina, nella speranza che l'esercito jugoslavo mettesse in fretta le cose a posto. Solamente l'azione personale di papa Giovanni Paolo II e le decise iniziative diplomatiche della Germania guidata dal ministro degli esteri Genscher portarono al riconoscimento di questi nuovi Stati, fatto che rappresentò l'inizio della fine per le pretese serbe di conquista.
In seguito fu deciso di inviare nei teatri di guerra soldati dell'ONU i quali, soprattutto in Bosnia, non fecero nulla per fermare l'aggressore. Anzi, nel caso dell'eccidio di Srebrenica, il più grave tra i capi di imputazione contro Mladic all’Aja, il battaglione olandese di stanza nella città bosniaca ne è corresponsabile, poiché lasciò Mladic rastrellare indisturbato la popolazione maschile di etnia musulmana della città che fu poi trasferita nelle campagne, dove più di ottomila persone trovarono la morte (in questo video le false promesse di incolumità di Mladic alla popolazione civile di Srebrenica).
Vi furono poi i pasticciati accordi di Dayton del novembre 1995, che sotto l'egida del presidente americano Bill Clinton disegnarono l'attuale ingovernabile quadro istituzionale della Bosnia-Erzegovina e stabilirono una suddivisione territoriale tra la Federazione musulmano-croata e la Repubblica Serba che non tenne conto del desiderio dei croati di avere una propria entità territoriale autonoma e premiò oltre misura i serbi, aggressori e iniziatori della guerra e sconfitti sul campo - nell'agosto del 1995 solamente l'ordine perentorio di Washington all'esercito della Croazia e a quello musulmano-bosniaco di fermarsi salvò la Republika Srpska mentre l'esercito serbo-bosniaco era ormai in rotta.
Più che per fare giustizia, il Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia ha rappresentato quindi lo strumento delle cancellerie occidentali per fare passare l'idea che negli anni Novanta, nell'ex Jugoslavia, vi fu una guerra civile, e non una guerra di aggressione cui la comunità internazionale non poté né volle contrastare. Al contrario di quanto accadde a Norimberga alla fine della Seconda Guerra Mondiale, non si è cercato e punito i colpevoli né si è distinto tra aggressore e aggrediti. Non si è fatta giustizia, si è condannato a casaccio qualche rappresentante di ogni etnia, e tutto è rimasto come prima. Molti dei responsabili degli eccidi di allora oggi non solo sono liberi, bensì sono perfino divenuti affidabili e moderni partner politici con i quali collaborare per costruire la “Casa comune europea”.
Infatti, negli stessi anni in cui il generale Mladic, assediando le città della costa dalmata, ebbe a dire che «a Zara ci sono trentamila ustascia, dobbiamo andare e farli fuori tutti», il giovane deputato serbo Aleksandar Vucic, discepolo di Vojislav Šešelj, affermava pubblicamente in Parlamento che quale ritorsione ai bombardamenti della NATO sulle posizioni serbo-bosniache sarebbe stato necessario passare per le armi cento musulmani per ogni serbo ucciso (vedi qui). Tra l’altro, un video risalente al 26 maggio 2006 e pubblicato ieri da un portale web croato mostra lo stesso Vucic mentre, per il tripudio dei sostenitori del suo partito, incolla sull’edificio dell’emittente televisiva privata di Belgrado B92 manifesti con la scritta, in caratteri cirillici, “Bulevar Ratka Mladica” (“Viale Ratko Mladic”) (vedi qui). Mladic è stato condannato all'ergastolo, quel giovane deputato nel frattempo ha fatto carriera ed è diventato primo ministro e poi presidente della Repubblica di Serbia, uno stimato e apprezzato “statista europeo”. Né l’uno né l’altro hanno mostrato il benché minimo pentimento per le azioni e le parole di allora.
Come l'ha descritto in modo molto colorito l'ex premier croato Milanovic, la Bosnia-Erzegovina non è uno Stato, bensì «un Paese senza ordine né organizzazione» e dove il disordine e il caos istituzionale regnano sovrani. I sentimenti e i pensieri dell'élite politica serba su entrambe le sponde della Drina non sono per nulla cambiati. Difendendo a spada tratta Karadzic e Mladic, considerati eroi e patrioti, la televisione pubblica dell'entità serba di Bosnia rivela come presso i serbi siano presenti gli stessi sentimenti e pensieri dell'inizio degli anni novanta. Presto o tardi accadrà qualcosa che li rimetterà in moto.