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SPERANZE PER JIMMY LAI

Trump, "liberator in chief": prigionieri liberi in Bielorussia (e non solo)

C'è speranza che Jimmy Lai venga liberato a seguito di un accordo fra Trump e Xi Jinping? Sì. Perché l'amministrazione americana è riuscita a scarcerare i prigionieri politici in Bielorussia, oltre ai successi analoghi in Venezuela e a Gaza.

Esteri 16_12_2025
Maria Kolesnikova (La Presse)

“Liberator in Chief”, il liberatore in capo: così Sebastien Lai, figlio dell’imprenditore Jimmy Lai, in carcere a Hong Kong, ha soprannominato il presidente Donald Trump. Se c’è una speranza che il padre torni libero, è ormai solo in un accordo fra Trump e Xi Jinping, nel loro prossimo incontro previsto ad aprile. Trump ha più volte espresso la sua volontà di veder tornare in libertà l’imprenditore ed editore cattolico, eroe della pacifica resistenza di Hong Kong al regime comunista cinese. Ha perorato la sua causa anche durante l’ultimo incontro al vertice di Busan, in Corea del Sud, alla fine di ottobre.

Non è una fiducia mal riposta. L’abilità negoziale di Trump, quando si tratta di liberare prigionieri politici e ostaggi, è stata dimostrata anche questa settimana con la liberazione di 123 dissidenti bielorussi, in cambio della rimozione delle sanzioni economiche statunitensi sulla Bielorussia. È il frutto di un accordo siglato a Minsk fra il dittatore Lukashenko e l’inviato speciale della Casa Bianca, John Coale.

Gli Usa, così come l’Unione Europea, non riconoscono la legittimità del presidente Aleksandr Lukashenko, accusato di aver truccato l’esito elettorale cinque anni fa. In quell’anno, l’ormai lontano 2020, i bielorussi erano scesi in massa in strada a protestare e il regime aveva risposto con una repressione durissima. Quei dissidenti liberati sono le vittime della repressione di allora.

Fra i 123 prigionieri politici rilasciati spicca Maria Kolesnikova, attivista di primo piano nelle proteste del 2020. Arrestata cinque anni fa, ha trascorso gran parte della sua prigionia in isolamento. Descrive il momento dell’uscita dal carcere come «Una sensazione di felicità incredibile (…) È stata una grandissima gioia poter vedere il primo tramonto della mia vita da libera, di una bellezza sconcertante». Ma «pensiamo anche a quelli che non sono ancora stati liberati. Aspetto il momento in cui potremo riabbracciarci tutti, quando saremo liberi».

Nel gruppo di quelli che ce l’hanno fatta figura anche il premio Nobel per la Pace, Ales Bialiatski. Dopo aver incontrato la leader dell’opposizione in esilio, Svetlana Tikhanovskaya, ha dichiarato: «Migliaia di persone continuano ad essere in carcere, per cui la nostra lotta continua». Una minoranza di dissidenti scarcerati si trova ora in Lituania, la maggioranza in Ucraina. Una scelta, quest’ultima, che ha colto di sorpresa gli stessi dissidenti e che pare sia dovuta a una decisione presa all’ultimo momento del dittatore Aleksandr Lukashenko.

Il prezzo pagato per liberare i 123 dissidenti è la rimozione delle sanzioni. Intervistata dalla BBC, la Tikhanovskaya dichiara che si tratti di un prezzo accettabile e di uno scambio legittimo: le sanzioni sono una «leva per costringere i dittatori a fare qualcosa». Infatti, «Lukashenko non libera le persone perché è diventato improvvisamente umano, vuole venderle al prezzo più alto possibile (…) Certo, è una questione di prezzo. Ma sappiamo che le sanzioni americane sono piuttosto flessibili. Possono revocarle o rimetterle domani stesso se alcuni accordi non vengono rispettati».

La stessa flessibilità era stata dimostrata dall’amministrazione Trump con il Venezuela, per ottenere la liberazione di cittadini venezuelano-statunitensi, incarcerati dal regime di Maduro. Come avevamo visto su queste colonne, Trump aveva ottenuto la liberazione dei primi sei concittadini in cambio solo di una foto ufficiale del suo inviato Richard Grenell con il dittatore Nicolas Maduro, un gesto di apparente legittimazione del suo regime. Altri prigionieri erano tornati a casa a seguito del rinnovo della licenza di importazione del petrolio venezuelano negli Usa. Un terzo gruppo era stato scambiato con 250 venezuelani arrestati in territorio statunitense per immigrazione illegale e poi deportati nelle carceri del Salvador. Con le buone e con le cattive il presidente americano aveva riportato a casa tutti i prigionieri. Eppure non c’è stato bisogno di alcuna legittimazione o riconoscimento di Maduro. I rapporti col Venezuela non sono tornati affatto “normali”, anzi tirano venti di guerra proprio in questi mesi.  

Il maggior successo della diplomazia trumpiana resta comunque la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani vivi che erano ancora nelle mani dei terroristi di Hamas, a Gaza. Dopo due anni di torture e umiliazioni, nell’ottobre del 2025 sono tornati a casa, vivi e liberi. L’accordo era parte di un più generale piano di pace per Gaza, i cui esiti sono tuttora incerti. La restituzione dei corpi degli ostaggi assassinati non è ancora completa, mentre questo articolo va online. Ma già la liberazione degli ostaggi vivi è stato un successo insperato, essendo loro una vera “polizza sulla vita” del gruppo terrorista islamico che poteva tenerli per scambi o come scudi umani.

Se Trump è riuscito a liberare prigionieri apparentemente senza speranza a Minsk, Caracas e Gaza, c’è dunque speranza anche per Jimmy Lai a Pechino.