Mission e Silence, due film che pongono domande
Ambientato nel 1750 in una reducción del Sudamerica, Mission si conclude, pur con una licenza artistica, con il massacro dei guaranì e dei gesuiti da parte dell’esercito ispano-portoghese. Silence, invece, tratta delle persecuzioni dei cristiani nel Giappone del XVII secolo, iniziate già alla fine del secolo precedente anche a causa di false voci - diffuse per interessi commerciali - sui religiosi in missione. Sorge perciò una domanda…
Mission (The Mission) è un film del 1986 diretto da Roland Joffé, vincitore della Palma d’oro al 39º Festival di Cannes. Joffé è un regista particolare e molto interessante: nel 1984 ha esordito «col botto» dirigendo Urla del silenzio; nel 2011 ha prodotto e diretto There Be Dragons - Un santo nella tempesta, dedicato alla gioventù di san Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei.
Mission è ambientato nel 1750, in quell’area di foresta tra Argentina, Brasile e Paraguay che costituì il territorio delle reducciones gesuite; narra esattamente la storia di una di queste reducciones durante il passaggio di quelle terre dalla Spagna al Portogallo, con la mediazione della Chiesa (nella persona del cardinale Altamirano). Ovviamente, il motore della storia è l’interesse economico dei portoghesi (e, seppure in modo più velato, degli spagnoli) alle ricchezze della zona e al mercato di schiavi indios. Il film si chiude con il massacro degli indios guaranì e dei gesuiti da parte dell’esercito ispano-portoghese; nella realtà, la battaglia di Mbororé (1641) durò otto giorni e vide la vittoria dei guaranì. Le conseguenze di questa guerra furono disastrose sia per i gesuiti che per gli indios. Nel 1759 i religiosi furono espulsi dal Portogallo, nel 1767 dalla Spagna; l’ordine fu soppresso nel 1773. Gli indigeni furono espropriati delle loro terre, ridotti alla fame, alla schiavitù e alla povertà.
Mission è certamente un filmone; purtroppo, come mi ha fatto notare un amico, rovinato nel finale. Proprio nelle ultime parole della pellicola, quelle parole che il cardinale Altamirano scrive al papa: «Così, Santità, ora i Vostri sacerdoti sono morti e io sono rimasto vivo. Ma in verità sono io che sono morto e loro che vivono. Perché, come potete insegnarmi, Santità, lo spirito dei morti sopravvive nella memoria dei vivi». Ecco: senza l’ultima frase, l’intero film sarebbe stato perfetto, accidenti.
Comunque, Mission ci rimanda ad un’altra pellicola più recente: Silence, di Scorsese (2016). In questo caso siamo in Giappone, nel 1633; anche qui ci sono dei gesuiti che hanno mietuto conversioni a piene mani fino a quando non sono cominciati persecuzioni e martirio. Anche in questo caso, il film è tratto da una storia vera. Circa novant’anni prima dei fatti narrati nel film, il re del Portogallo chiese al papa di inviare dei missionari in quelle terre che, allora, erano chiamate Indie Orientali; il papa inviò il gesuita spagnolo Francesco Saverio, che vi arrivò nel 1549. Grazie a lui e ai suoi confratelli, il cristianesimo giapponese visse un periodo di forte espansione, all’apparenza inarrestabile. L’arresto avvenne e divenne un vero e proprio massacro quando i mercanti inglesi e olandesi decisero di subentrare, nello sfruttamento delle risorse nipponiche, ai portoghesi, i quali avevano creato un’importante rete commerciale grazie all’intercessione dei gesuiti portoghesi presso i vari shogun. La strategia fu semplice: cominciarono a far circolare la voce che i gesuiti erano l’avanguardia di una potenza straniera desiderosa di prendere il controllo dell’arcipelago giapponese. La voce si diffuse e la situazione, per i gesuiti, divenne sempre più pericolosa; fino al punto in cui Toyotomi Hideyoshi, il secondo grande unificatore del Giappone, il 5 febbraio 1597 crocefisse pubblicamente a Nagasaki ventisei cristiani. Tra questi martiri c’erano sei missionari francescani, tre gesuiti giapponesi, tra cui Paolo Miki, e diciassette laici (terziari francescani) giapponesi. Da quel momento in poi, per i gesuiti e i cattolici giapponesi fu un crescendo di sangue e torture; fino alle tragedie mostrate nel film Silence.
A questi due si potrebbe aggiungere un terzo film sul martirio dei missionari gesuiti, questa volta in Cina; peccato che non sia ancora stato girato, e chissà se lo sarà mai. Pare che, alla fine del Seicento, l’imperatore cinese Kangxi riponesse una fiducia tale nei gesuiti francesi dei quali si era circondato da essere sul punto di convertirsi (e convertire l’intero paese) al cattolicesimo. Una testimonianza in tal senso arriva da una fonte insospettata: Voltaire scrisse un libello intitolato Relazione sulla messa al bando dei gesuiti in Cina nel quale riporta un immaginario dialogo tra l’imperatore della Cina e un gesuita sempliciotto (padre Rigolet) che tenta, appunto, di convertirlo. Sta di fatto che, nel 1692, Kangxi promulgò l’editto di tolleranza che approvava la diffusione del cattolicesimo in Cina. Poi si intromisero altri occidentali e finì in persecuzione: contenuta quella di Kangxi, violenta quella di suo figlio Yongzheng.
A questo punto, come si soleva dire qualche anno fa, la domanda sorge spontanea: a chi vanno realmente imputate la mancata conversione di interi popoli e torture, sofferenze e martirii di laici e religiosi cattolici? Chi sono i veri nemici di Cristo e della Sua Chiesa?