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IL TEOLOGO

Misericordia, papa Francesco sulle orme di Giovanni XXIII

Nel convocare il prossimo Giubileo, papa Bergoglio si mette sulla scia del discorso con cui papa Roncalli inaugurò il Concilio Vaticano II: non insistere sulla condanna degli errori ma proporre la fede con un linguaggio più adatto ai tempi. C'era allora un ottimismo poi spazzato via dal '68, ma quell'impostazione è oggi ancora valida ma ad alcune condizioni. Eccole.

Ecclesia 19_04_2015
san Giovanni XXIII

«Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza» (Papa Francesco, “Alla Congregazione per i vescovi”, 27 febbraio 2014).

Questo testo dirompente di papa Francesco, si riallaccia non nella lettera, ma nello spirito, al discorso “Gaudet Mater Ecclesia” tenuto da Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962 all’inaugurazione del Concilio Vaticano II. La conferma di tale accostamento è venuta proprio dalla “Bolla di indizione del Giubileo straordinario” (n. 4). Precedentemente, quel discorso era stato ripreso da alcuni autorevoli autori con angolature diverse, perché effettivamente esso segna una "svolta" nell'atteggiamento della Chiesa, e il Concilio non farà che seguire e applicare questo orientamento di fondo, non solo nei confronti del mondo moderno, ma anche al proprio interno, oltre che verso i "fratelli separati", il popolo ebraico e le altre grandi religioni.

In quel famoso discorso di apertura, il Papa disse chiaramente che lo scopo del nuovo concilio non era quello di condannare gli errori, come era sempre stato fatto nel passato, ma era quello di proporre la fede della Chiesa con un linguaggio più adatto ai tempi: «Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace» (5.1). Non è che non ci siano errori anche gravi, e la Chiesa si è sempre opposta all'errore. Ma oggi, dice il Papa, i tempi sono cambiati, e il modo più efficace per contrastare gli errori del mondo moderno è quello di presentare la bellezza, la coerenza e il bene contenuto nella dottrina cattolica: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando» (7.2). La Chiesa Cattolica intende così «mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati» (7.3). 

Quando ora Papa Francesco afferma che la Chiesa deve custodire la dottrina «non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo» (testo sopra citato), non fa dunque che riprendere il senso dell’intervento inaugurale di Giovanni XXIII.

Questo cambio di atteggiamento, secondo Papa Roncalli è sostenuto da una duplice considerazione. Primo: la Chiesa nell'epoca moderna ha attraversato molte difficoltà, opposizioni, persecuzioni, ma con l’aiuto di Dio essa ne è uscita ancora più vigorosa, come se la Provvidenza avesse guidato questi eventi per il bene stesso della Chiesa: «Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa» (4.4).

Secondo: il Papa ha fiducia che gli uomini stessi, guidati dall'esperienza, respingeranno spontaneamente quegli errori e comportamenti sbagliati, che hanno provocato così immani disastri: «Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita. Essi sono sempre più consapevoli che la dignità della persona umana e la sua naturale perfezione è questione di grande importanza e difficilissima da realizzare. Quel che conta soprattutto è che essi hanno imparato con l’esperienza che la violenza esterna esercitata sugli altri, la potenza delle armi, il predominio politico non bastano assolutamente a risolvere per il meglio i problemi gravissimi che li tormentano» (7.2).

Mentre il primo punto può essere facilmente condiviso leggendo la storia della Chiesa, il secondo sembrerebbe eccedere di ottimismo circa le capacità umane di autoredenzione. In effetti, ai tempi di Giovanni XXIII, cioè all’inizio degli anni ’60, nonostante che il mondo fosse diviso in due blocchi e che l’ideologia marxista avesse pervaso la cultura occidentale, c'era ancora nella nostra società una sorta di piattaforma comune tra credenti e non credenti, basata sulla dignità della persona umana, sui "retti principi dell'onestà", sul senso morale naturale. Basti pensare alla “Dichiarazione universale dei diritti umani” promulgata dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite nel 1948. Questo ottimismo fu condiviso anche da Paolo VI all’inizio del suo pontificato. È sufficiente leggere il suo discorso di chiusura del Concilio (anch’esso citato nella “Bolla di indizione”, n. 4) o le encicliche Populorum progressio, Evangelii nuntiandi, Ecclesiam suam.

Ma le cose sono cambiate dopo il ’68. Anche l’atteggiamento di Paolo VI è cambiato dopo il ’68. Lì è iniziata quella deriva che ha portato a corrodere sempre più i principi fondamentali dell'agire e del convivere umano. Paradossalmente, il crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est nel 1989 ha aperto la strada a una cultura nichilista, senza più punti di riferimento universalmente validi, quali la sacralità della vita umana, dal suo concepimento naturale alla sua fine naturale; il valore del matrimonio e della famiglia; la dignità della persona umana, che rigetta ogni tipo di sfruttamento, di abuso, di schiavitù, di violenza, di negazione delle libertà fondamentali.

Oggi questa piattaforma comune praticamente non c’è più o è molto ridotta. Le società e le nazioni si reggono o su dittature politico-religiose (come l’islam nella sua spaventosa recrudescenza fanatica e bellicosa) o su criteri di maggioranza pilotati da concezioni totalmente pragmatiste, che puntano a inculcare l’idea di supposti nuovi diritti civili, che non hanno altro fondamento che nella volontà individuale intesa come ricerca del benessere. Alcuni apporti positivi della modernità, come l’emancipazione della donna, la conoscenza sempre più avanzata sulla natura della sessualità e della procreazione, sono andati però ben oltre i loro primitivi intenti, arrivando a fare della procreazione umana una specie di “fabbrica del figlio” e a proporre come ideale educativo quello di un essere umano destrutturato, che non sa più che cosa significhi essere maschio o femmina se non in base a una propria scelta arbitraria. La sessualità genitale poi è stata isolata come un bene in sé, perseguibile sempre e comunque, salve alcune precauzioni sociali e sanitarie. 

Oggi possiamo dire che anche il magistero di san Giovanni Paolo II sulla dignità della persona umana in tutti i suoi aspetti, un magistero estremamente ricco e profondo, sia stato quasi completamente travolto da questa nuova mentalità. Quanto profondamente essa sia penetrata nella Chiesa stessa, è difficile dirlo, però non è difficile verificare come ampi settori della Chiesa, cominciando da teologi, pastori e parti del laicato, abbiano conosciuto e conoscano grossi sbandamenti, purtroppo non sempre consapevoli, ma tranquillamente assorbiti come normali. Certamente c’è pure stata e c’è nella Chiesa una corrente decisa a lottare e a contrastare apertamente le deviazioni odierne, sulla base dei "principi non negoziabili" fondati sulla legge naturale e avvalendosi dei metodi democratici del libero dibattito, finché sarà possibile.

Ora con papa Francesco sembra essere ritornati al clima positivo di apertura indicato dal discorso di Giovanni XXIII: la Chiesa vuole presentarsi non più come una rigida e severa custode della dottrina, ma come madre di misericordia, che annuncia un Dio di misericordia e di perdono. Papa Francesco vuole una Chiesa che anzitutto si liberi dalle tendenze "mondane" che sono al suo interno, e poi che si faccia di nuovo missionaria, non col proselitismo, ma col testimoniare la bellezza di una fede intesa anzitutto come incontro con Cristo, come esperienza dell'amore di Dio, la sola che può dare la forza di allontanare il peccato e scegliere la via del bene individuale e sociale.

La domanda però che ora ci viene è questa: è possibile riprendere l’atteggiamento di s. Giovanni XXIII sopra descritto senza tener conto di un contesto culturale radicalmente cambiato? Sono ancora valide quelle due premesse, o non peccano forse di ingenuità e di ottimismo? La nostra risposta, sulla scia di quanto dice e fa Papa Francesco, è che sì, esse sono ancora valide, purché le si leggano con gli occhi della fede e non come valutazioni umane di tipo storico o sociologico. La parola di Gesù che “portae inferi non praevalebunt” deve valere ancora oggi, non però per farci adagiare in un ottimismo beato, ma per radicarci maggiormente nella fede. La Chiesa non deve illudersi che assumendo l’atteggiamento di madre misericordiosa sia sempre meglio accolta e meno perseguitata.

La Chiesa non può tacere la verità, e questo il mondo non lo sopporta, perché, come dice san Paolo, tiene la verità “prigioniera dell’ingiustizia” (Rom 1,18). Finché si predica un “volemose bene” generico, nessuno ha nulla da obiettare, anzi tutti applaudono. Ma quando si tratta di entrare nello specifico di che cosa sia volere il bene dell’altro secondo il Vangelo e la dottrina cristiana, quando la Chiesa sarà costretta di nuovo a dire “non possumus”, “non possiamo”, allora il mondo glielo farà pagare, e sceglierà ancora Barabba invece di Gesù. È la storia di sempre.

Ma la Chiesa vincerà, non perché andrà a braccetto con il mondo, ma perché, fedele al Vangelo, continuerà ad amare quelli che la odiano e continuerà a pregare per coloro che la perseguitano. La Chiesa vincerà perché alla fine sarà l’unica ancora capace veramente di amare questa umanità e di cercare il vero bene dell’uomo. Ma dove trova la Chiesa questa forza? La trova nella sua missione, che non è semplicemente terrena, come una ONU o una ONG o come lo sono alcune religioni. La sua missione è ultraterrena; essa ha il compito di portare gli uomini alla vita e alla felicità eterne, nella unione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e nella comunione dei santi. Per questo il tempo umano, la storia umana è tanto importante, perché qui, nell’adesione o nel rifiuto del vero e del bene, si gioca il destino eterno dell’uomo; e l’uomo, finché vive in questa vita, può sempre fare la scelta che lo salva o lo danna.

Per questo la Chiesa ama i peccatori. Essa può odiare solo il male, il peccato, non il peccatore. Anche il peggiore peccatore, finché è in questa vita può sempre convertirsi e salvarsi. C’è solo una creatura degna di odio, perché si è fissata definitivamente e volontariamente nel male, e questa creatura non è umana, ma è uno spirito, chiamato dalla Scrittura “Satana” o diavolo. Esso ha un potere sulla terra non senza una permissione divina, e ha dei ministri capaci di influire sulla storia degli uomini, cercando di portarli anzitutto alla rovina terrena e poi alla dannazione eterna.

Se si capisce questo, allora si può vedere l’uomo peccatore con occhi diversi, come uno che è sì responsabile del male fatto, ma che è anche vittima del Tentatore, del Maligno. Perciò la Chiesa prega ogni giorno perche noi tutti siamo “liberati dal Male”. Confesso che a volte, di fronte a tanta cattiveria, crudeltà e malvagità degli esseri  umani, mi sento rivoltare e vorrei gettare la spugna. Solo pensando che essi sono “prigionieri del Maligno” riesco ancora ad amarli per quella parte di loro che potrebbe ancora redimersi e salvarsi. Se non si recupera questa dottrina cattolica, non si capisce più perché la Chiesa debba continuare ad interessarsi degli uomini e non ridursi a un club religioso di gente benestante e benpensante.

La Chiesa però nel mostrare il suo amore materno verso questa umanità, deve, seguendo il suo Maestro, usare un duplice registro: quello della misericordia, per rincuorare i peccatori invitandoli al pentimento, e quello della severità, per scuotere i corrotti e liberarli dalle loro catene. Infatti ci sono persone talmente invischiate nel male, che le parole di misericordia non li sfiorano neppure, ma solo la prospettiva di una dannazione, cioè di una infelicità e di un tormento eterni potrebbe, caso mai, smuoverle. Dobbiamo comunque tornare a predicare queste cose. Facciamolo pure con un linguaggio nuovo, comprensibile, ma facciamolo. Se no, non ha senso neppure parlare della Croce di Cristo. 

Questo è lo sfondo del Giubileo della Misericordia. Se non mettiamo in rilievo questo sfondo, non si capirà quasi più nulla di quel Giubileo. Ritornano allora validi i due presupposti dell’azione pastorale indicati da s. Giovanni XXIII: primo, che la gravissima crisi odierna nella Chiesa – crisi di fede, di morale, di pratica (in Francia ad es. il 56% continua a professarsi cattolico, ma solo il 15% si definisce praticante, e chi va a Messa tutte le domeniche non supera il 4%: da OssRom 7-8 aprile 2015, p. 5) – questa crisi, dicevamo, permessa da Dio, tornerà ancora a un bene più grande della Chiesa stessa e delle anime. Secondo, l’attuale andamento delle cose darà frutti «così letali» (per riprendere le parole di Giovanni XXIII), che la gente tornerà spontaneamente al tribunale della propria coscienza e della misericordia. Ma perché ciò avvenga, bisogna molto pregare.