Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
LO STALLO POLITICO

Minuetto di un governo immobile

Mentre attorno a noi tutto sta cambiando e mentre la nostra crisi economica non cessa di aggravarsi siamo praticamente senza governo. Perciò lascia senza parole lo spettacolo di un ceto politico che, volgendo tranquillamente le spalle alle urgenze del Paese, pensa soltanto agli affari suoi. Da qui al 2018 abbiamo bisogno di riforme. Sì, ma come?

Editoriali 07_02_2017
Il premier Gentiloni

Mentre attorno a noi tutto sta cambiando e mentre la nostra crisi economica non cessa di aggravarsi siamo praticamente senza governo. Quello oggi in carica è infatti un governo in proroga che di fatto può occuparsi soltanto, per dirla con una formula canonica, del “disbrigo degli affari correnti”. Questo non è però un momento in cui basti l’ordinaria amministrazione.

Perciò lascia senza parole lo spettacolo di un ceto politico che, volgendo tranquillamente le spalle alle urgenze del Paese, pensa soltanto agli affari suoi. E’ tutto e soltanto un minuetto attorno all’ipotesi di nuove elezioni politiche anticipate intese in ultima analisi come dei regolamenti di conti tra i partiti, e soprattutto dentro i partiti e gli schieramenti. Non si capisce poi con quali prospettive. Nessuna delle tre aree in cui ormai si articola la scena politica italiana gode di buona salute: non il centrosinistra con Renzi molto indebolito, non il centrodestra con Berlusconi molto invecchiato, non il Movimento 5 Stelle sin qui mai dimostratosi all’altezza di ruoli di governo. 

In un momento in cui tra l’altro alternative presentabili ai leader attuali non si delineano, non si capisce che cosa ci sia da sperare da elezioni anticipate. Peggio ancora sarebbe però andare avanti fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2018 nella situazione di stallo generale in cui ci si trova ora. L’Italia non può permettersi di restare fuori gioco sine die mentre con Trump la fine dell’atlantismo sta cambiando la radicalmente il quadro delle relazioni internazionali, e mentre l’Unione Europea è al bivio tra lo sgretolamento e la rifondazione.

Né si può andare avanti senza un forte progetto di politica economica mentre tutti gli indicatori danno segnali sempre peggiori. Anche sotto la spinta della nuova presidenza americana si registrano in sede internazionale i segni di una ripresa, da cui però ancora una volta il nostro Paese rischia di restare tagliato fuori. Urge avviare le riforme in assenza delle quali non solo agli investitori stranieri ma anche a quelli italiani  investire in Italia non conviene.

Teniamo conto che oggi il mercato comune dei capitali è una consolidata realtà legittima; e che quindi non esiste in particolare alcun limite legale allo spostamento di capitali dall’Italia al resto dell’Unione Europea. Considerando che in quasi tutti gli altri Stati membri dell’Unione si può investire a condizioni più favorevoli di quelle che caratterizzano l’Italia, c’è già da sorprendersi che nel nostro Paese resti ancora tanto apparato produttivo. 

Anche però quando per vari motivi le aziende scelgono di mantenere aperti stabilimenti e altre attività in Italia, sempre più spesso invece vanno a fare i nuovi investimenti oltre frontiera. Molta della disoccupazione giovanile si spiega così. Restano in Italia, per così dire “a consumazione”, le vecchie fabbriche con i vecchi operai, mentre le nuove fabbriche con personale più giovane nascono altrove. 

 

In questo quadro non ci si può permettere un altro anno e più di immobilità o di tempeste nel bicchiere. Meglio tenere per buona la scadenza naturale della legislatura nel 2018, e nel frattempo definire un programma di alcune poche ma forti misure da attuare in tempi brevi in forza di ampie intese.

Tra queste poche e forti misure dovrebbe a nostro avviso rientrare anche una riforma dell’art. 138 della Costituzione che apra la via a un’Assemblea Costituente, così da rendere in un secondo momento possibile quel rinnovo della Costituzione che il Parlamento ha dimostrato di non essere in grado di fare. Al di là di questo urgono poi provvedimenti di delegificazione e di riforma della giustizia civile in assenza dei quali non ci si può illudere che in Italia si torni ad investire quanto basta perché la grande impresa si rianimi, anzi rinasca.

Pur con tutto il merito che va riconosciuto alla piccola e media impresa, senza la grande impresa un Paese come il nostro non può navigare nel mare difficile del mondo globalizzato in cui viviamo. Diciamo poi infine, ma è la cosa più importante, che occorre un “pacchetto” urgente di misure di rilancio della natalità e quindi della famiglia. Oltre alle altre cose la famiglia è anche una risorsa economica e sociale di importanza decisiva. Mai è accaduto nella storia che a una fase di declino demografico corrispondesse una ripresa economica. Senza la famiglia non si esce dalla crisi. Sarebbe ora che nel proverbiale “Palazzo” cominciassero a rendersene conto.