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BOTTA E RISPOSTA

Milone: "La Gendarmeria mi ha costretto alle dimissioni"

L'ex Revisore dei conti d'Oltretevere convoca alcuni giornalisti e racconta la sua versione dei fatti. Ha poi chiesto più volte di vedere Francesco senza successo. La Sala stampa vaticana risponde accusandolo di reati. 

Borgo Pio 24_09_2017
milone

Botta e risposta tra Libero Milone e la Sala stampa vaticana. L’ex Revisore dei conti generale d’Oltretevere convoca un ristretto gruppo di giornalisti (Wall Street Journal, l’agenzia Reuters, Sky Tg24 e il Corriere della Sera) per dire che le sue dimissioni dello scorso 19 giugno in realtà sono state costrette.

 «Continuerò a rispettare l’impegno di riservatezza sul lavoro istituzionale svolto per la Santa Sede», ha detto Milone. «Ma non posso far passare sotto silenzio il modo in cui sono stato trattato. Voglio essere chiaro: non mi sono dimesso volontariamente. Sono stato minacciato di arresto. Il capo della Gendarmeria mi ha intimidito per costringermi a firmare una lettera che avevano già pronta…».

69 anni, per due Revisore dei conti in Vaticano, ex presidente di Deloitte Italia, Milone racconta che dopo aver incontrato monsignor Angelo Becciu ed essersi sentito dire che il Papa voleva le sue dimissioni, venne invitato a rivolgersi alla Gendarmeria. Perché non c’era possibilità per lui di incontrare Francesco.

«Ricordo», prosegue Milone, «che a un certo punto il comandante Giandomenico Giani mi urlò in faccia che dovevo ammettere tutto, confessare. Ma confessare che cosa? Non avevo fatto nulla». Lo accusarono di peculato, dopo aver costretto tutti negli uffici fino a tarda sera e «furono chiamati i pompieri del Vaticano per forzare armadio e scrivania».

L’accusa riguardava due fatture intestate a un unico fornitore, una delle quali Milone sostiene che fosse falsa. «Erano conti per indagini ambientali, per 28 mila euro, per ripulire gli uffici da eventuali microspie. In più, il decreto del tribunale parlava solo delle mie competenze contabili, senza citare i controlli sull’antiriciclaggio e la lotta alla corruzione, contenute nello statuto. E con questo mi hanno accusato anche di avere cercato informazioni impropriamente su esponenti vaticani. Scoprii che indagavano da oltre 7 mesi su di me. Hanno sequestrato documenti ufficiali protocollati e coperti dal segreto di Stato».

«Ero intimidito», prosegue Milone. «Mi fecero sentire un’intercettazione con la mia voce per spaventarmi ulteriormente. E siccome rivendicavo la mia innocenza, Giani mi disse che, o confessavo, o rischiavo di passare la notte in Gendarmeria. Se il vostro obiettivo è farmi dimettere, mi dimetto. Vado a preparare la lettera, dissi». Non importava, lo stesso Giani disse «che era già pronta».

Dopo le dimissioni, Milone racconta di aver cercato più volte di incontrare il Papa, senza mai aver avuto risposta. Che, invece, è arrivata prontamente dalla Sala stampa vaticana rispetto alle sue esternazioni rilasciate ai media.

«La Santa Sede prende atto con sorpresa e rammarico delle dichiarazioni rilasciate dal Dott. Libero Milone, già Revisore Generale. In questo modo egli è venuto meno all’accordo di tenere riservati i motivi delle sue dimissioni dall’Ufficio. Si ricorda che, in base agli Statuti, il compito del Revisore Generale è quello di analizzare i bilanci e i conti della Santa Sede e delle amministrazioni collegate. Risulta purtroppo che l’Ufficio diretto dal Dott. Milone, esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una Società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede.

Questo, oltre a costituire un reato, ha irrimediabilmente incrinato la fiducia riposta nel Dott. Milone, il quale, messo davanti alle sue responsabilità, ha accettato liberamente di rassegnare le dimissioni. Si assicura, infine, che le indagini sono state condotte con ogni scrupolo e nel rispetto della persona».