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NAPOLI/L'INCHIESTA

Milioni e sospetti: la chiesa sfruttata è ancora chiusa

Siamo tornati a Napoli due anni dopo per la chiesa di Santa Maria in Portosalvo, chiusa dal 2009 e usata come vetrina pubblicitaria. «Manca il tinteggio, se c'è il sole riapre tra un mese», dicono dalla curia. Le porte chiuse agli ispettori comunali, 8 milioni di ricavi, ma appena 460mila euro per il restauro, le società che hanno incassato le pubblicità e poi sono sparite e quelle finite nel mirino dell'Antimafia. Il viaggio della Bussola sul Sistema Portosalvo, che ha usato una chiesa per fare business, senza neanche riuscire a finanziare tutti i lavori. 

Attualità 20_03_2021

12 anni di restauro e almeno 10 milioni incassati per la pubblicità, ma appena 460mila euro utilizzati per i lavori. Non è un’immagine edificante quella che ci restituisce la vicenda della chiesa di Santa Maria in Portosalvo, che finalmente, pur tra una jungla di condizionali, dovrebbe riaprire i battenti nei prossimi mesi.

La Bussola si era occupata dello stabile cinquecentesco sul lungo mare di Napoli due anni fa quando aveva raccontato del business che si celava dietro la chiesa, utilizzata come vetrina pubblicitaria per un decennio e mai riconsegnata ai fedeli. Le pubblicità, apposte sulle facciate della chiesa, per anni hanno fatto la fortuna di diverse imprese che stipulavano con la Chiesa di Napoli specifici contratti di sponsorizzazione.

OMBRE E AFFARI

Un sistema di “mungitura” di un bene di culto per trarre profitto. Ma anche un sistema che poteva funzionare, a patto che ciò che veniva raccolto per quella che veniva presentata come un’attività di utilità sociale, fosse stato effettivamente erogato. Ma negli anni, a Portosalvo si sono addensati misteri e ritardi. E anche la lente d’ingrandimento dell’Antimafia dato che nel 2018 la procura napoletana aveva messo sotto indagine l’ultima società con la quale la curia aveva siglato l’accordo di sponsorizzazione, la Spm.

Risultato: il commissario giudiziale nominato dal tribunale ha concluso la sua attività il 31 dicembre scorso e girato all’impresa gli ultimi ricavati.

Nel frattempo, però la chiesa è ancora chiusa ed è stata oggetto di un’ispezione promossa dal comitato che da anni si batte per Portosalvo, guidato da Carmine Pariante, il quale ha coinvolto i consiglieri della seconda municipalità partenopea. Ebbene: venerdì scorso l’ispezione non ha avuto buon fine e ai consiglieri  delle commissioni cultura e trasparenza del Comune, più una consigliera regionale dei 5 Stelle, è stato impedito l’accesso alla chiesa, che invece la Curia ha consentito solo ai 4 carabinieri del nucleo per la tutela dei Beni Culturali. «Solo loro sono entrati in chiesa – spiega Lorenzo Iorio - Presidente Commissione Trasparenza della seconda Municipalità del Comune di Napoli -. Abbiamo fatto numerosi inviti alla curia a relazionarci, poi abbiamo scritto al comando dei carabinieri e alla sovrintendenza chiedendo l’accesso alla chiesa. Ma la curia ha negato l’accesso».

Perché? «Sono in attesa del verbale di accesso, i carabinieri hanno scattato delle foto, sembra che la situazione della chiesa sia di completamento dei lavori all’interno, ma il problema è rappresentato dalle facciate che sono anche messe in una situazione disastrosa».

SOLDI SPARITI

Il fatto è che quando si parla di Portosalvo, sono tanti i punti non chiariti. A cominciare dalla montagna di soldi raccolta in 12 anni dalle sponsorizzazioni: «Credo che un computo definitivo non ce l’abbia nemmeno il commissario giudiziale, il dottor Francesco Corbello, che abbiamo sentito in commissione. Il fatto è che la storia di Portosalvo conosce un prima, durato 8 anni, dove i soldi delle sponsorizzazioni sono totalmente spariti e poi un dopo, che è in essere dal 2017 che vede il coinvolgimento dell’impresa di pubblicità poi coinvolta nell’inchiesta della Dia».

Quello che conta però, è sapere quando la chiesa verrà riaperta e quanti soldi sono arrivati per il suo restauro a fronte di una sponsorizzazione molto remunerativa.

«Ma tante cose non si possono conoscere anche perché i contratti non si possono visionare – prosegue Iorio –. È chiaro che il meccanismo di finanziamento di queste opere col sistema della pubblicità che deve cambiare. La sovrintendenza ci ha detto che presto il Ministero cambierà le regole: mai più di un anno di sponsorizzazioni, che dovranno essere documentate fino all’ultimo centesimo».

ALLA CHIESA LE BRICIOLE

Nel frattempo, ci si arrangia come si può. Al telefono con la Bussola, Corbello ci dice di non essere stato autorizzato dal tribunale a parlare di ricavi economici, però conferma di aver terminato il suo compito e di aver girato all’impresa gli ultimi soldi.

Quanti?

Ecco il punto: se i tariffari della Spm parlavano di circa 100mila euro di ricavi al mese per una sola facciata, con un calcolo spannometrico, non si va lontani dalla cifra dei 5 milioni di euro in quattro anni. A questi si aggiungono i 3 milioni di euro che la curia aveva ricavato dalla precedente gestione. 8 milioni di ricavi in 12 anni. Niente male. Ma quanti di questi sono andati per il restauro della chiesa?

«Circa 460mila euro – ci spiega il Rup Carmine Gravino -. Nel dettaglio: 270mila per l’interno e 190mila per la facciata». La facciata però non è ancora pronta. Anzi, sembra in totale stato di abbandono. «Siamo comunque in dirittura d’arrivo – dice -. Ci sono dei tempi tecnici perché per poterla tinteggiare dobbiamo aspettare una continuità di giornate di sole che ancora non abbiamo trovato».

Dunque, in quello che tutto il mondo ha ribattezzato ò paese do’ sole non si riesce a portare a termine una facciata perché manca la materia prima.

MANCANO ANCORA SOLDI

E le altre pareti? «Procederemo successivamente per le altre facciate, intanto le rendiamo già funzionale». Ma quali fondi verranno utilizzati? chiediamo. «La Curia e l’Arciconfraternita sosterranno tutte le spese rimanenti». In pratica: con 12 anni di sponsorizzazioni, non si è riusciti neanche a garantire il fabbisogno completo per il restauro dello stabile, tanto che ora deve pensarci la curia con fondi propri?

È evidente qualcosa non torna.

«Ma non si dica che i soldi li abbiamo acchiappati noi – aggiunge don Salvatore Fratellanza – responsabile diocesano delle confraternite -. I pagamenti sono avvenuti direttamente tra l’impresa che sponsorizzava e l’impresa che faceva i lavori, questa storia di Portosalvo è un fake news, anche perché questo è il cantiere più controllato di Napoli, ormai». E chissà perché, visto tutto quello che è accaduto in questi anni, è ovvio che sulla chiesa si sia acceso più di un faro.

Quel che resta però sono i ritardi e le inadempienze a fronte di una montagna di soldi che sono passati sul cupolino di questa che è una delle chiese più antiche di Napoli.

APPELLO AL VESCOVO

«La verità è che tutte le facciate sono cadenti - spiega Pariante alla Bussola –. Il sistema è stato studiato alla grande dalle imprese che si occupano delle sponsorizzazioni pubblicitarie, che hanno goduto di una manna scesa dal cielo. La chiesa è stata sfruttata e per i lavori sono arrivate soltanto le briciole. Fossi nel cardinal Sepe (l’arcivescovo di Napoli sotto il cui episcopato sono stati sottoscritti i contratti) mi chiederei come è mai possibile che a fronte di milioni e milioni di euro di ricavi, alla chiesa siano arrivate solo le briciole»

Pariante ha poi seri dubbi sulla reale consistenza degli ultimi lavori, soprattutto quelli che hanno interessato l’interno e il soffitto a cassettoni: nella prima metà degli anni 2000 ci furono interventi finanziati dal Ministero della Cultura quando era ministro Urbani. Nel corso di quei lavori venne recuperata l’opera principale della chiesa, un ovale incastonato nel soffitto a cassettoni dipinto da Battistello Caracciolo. Il timore è che quei lavori di cui si parla in realtà sono pretestuosi è per questo che abbiamo chiesto al nuovo arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia, di liberarla».

Vedremo tra un mese se la chiesa davvero riaprirà al culto. Nel frattempo, è chiaro che la chiesa di Santa Maria in Portosalvo è stata tenuta in ostaggio per anni con la scusa dei lavori mentre veniva “munta” per il ricavo di ingenti somme provenienti dalla raccolta pubblicitaria.