Milano vuole definanziare gli asili paritari
La giunta Pisapia, a Milano, imita il "modello Bologna": tagliare i fondi agli asili privati per favorire la scuola pubblica. Oggi tutti pagano le tasse per mantenere la scuola pubblica. Chi sceglie la privata paga due volte.
Anche a Milano la sinistra ideologica e massimalista, sempre più determinante nelle scelte della giunta Pisapia, si sta convertendo al “modello bolognese”: tagliare i fondi alle scuole materne private, magari passando attraverso una consultazione referendaria.
La notizia è stata ufficializzata giovedì in commissione bilancio di Palazzo Marino. Il taglio sarebbe pari a 1,2 milioni di euro, contributi promessi alle scuole materne private (circa ottomila i bambini iscritti) e ora vicini ad essere revocati. La Curia di Milano è sul piede di guerra e se la prende con l’assessore all’istruzione, Francesco Cappelli, parlando giustamente di attentato al sistema integrato dell’educazione, sancito nella Costituzione italiana e fondamentale per garantire l’adeguatezza dell’offerta formativa. Tante famiglie degli alunni e tanti lavoratori delle scuole paritarie riceverebbero evidenti e pesanti contraccolpi da una scelta del genere, che colpirebbe al cuore il sano equilibrio pubblico-privato nelle scuole materne.
Anche l’Associazione genitori scuole cattoliche di Milano (Agesc), per bocca del suo presidente, Michele Ricupati, denuncia una sorta di razzismo statalista e lancia proclami bellicosi: «Le scuole paritarie continuano ad essere discriminate anche se svolgono un servizio alla città. Ci mobiliteremo: per far tornare i conti comunali non si può tagliare sugli asili». Nel frattempo, se i tagli venissero confermati, le scuole paritarie non avrebbero alternative: aumentare le rette o chiudere.
Se a Bologna gli effetti devastanti del demagogico e ideologico referendum del maggio scorso sono stati parzialmente neutralizzati da alcune scelte riparatrici dell’amministrazione comunale, a Milano non si esclude una consultazione popolare altrettanto risibile. Infatti, è nato mesi fa un comitato gestito da un gruppo di insegnanti e genitori delle scuole pubbliche statali del capoluogo lombardo. Si chiama “Articolo 33” e fa leva sulla consueta interpretazione a senso unico di quell’articolo della Costituzione che disciplina l’istruzione scolastica. Basterebbe leggere le ricostruzioni dei lavori dell’Assemblea Costituente dedicati a quell’articolo per comprendere lo spirito con cui fu scritto: favorire una sinergia pubblico-privato, per consentire un’offerta formativa integrata ed evitare di lasciare inevase richieste di servizi scolastici.
È l’elementare principio della libertà d’istruzione, che già in parte penalizza chi sceglie le scuole private. Ogni cittadino contribuisce, infatti, con il versamento delle tasse, a sostenere il sistema scolastico statale, ma, se frequenta una scuola privata, non ne usufruisce e versa invece una retta per il servizio scolastico privato di cui beneficia. Ad ogni contribuente vengono prelevati ogni anno dei quattrini che servono per retribuire gli insegnanti, svolgere le attività didattiche, curare la gestione degli edifici e delle aule scolastiche. Poi, però, alcuni contribuenti non utilizzano il servizio scolastico pubblico, bensì quello privato, che pagano a parte. In altre parole, ci sono tanti italiani che pagano due scuole ma ne utilizzano una soltanto. E allora non sarebbe più equo sgravare le famiglie degli studenti delle scuole private dal contributo per le scuole statali? In questo modo quel contributo potrebbe servire a pagare le rette e non ci sarebbe forse bisogno dei finanziamenti statali alle private.
Il referendum di cui si parla da mesi a Milano potrebbe chiedere l’abrogazione della “dote scuola” erogata dalla Regione alle private o addirittura mirare ancora più in alto e sparare selvaggiamente sulla legge nazionale che istituì, circa 13 anni fa, le scuole paritarie. C’è da augurarsi che, in caso di chiamata alle urne, la gente ragioni con la sua testa e non con quella dei promotori. I genitori che scelgono la scuola paritaria accedono a un servizio pubblico gestito da privati. Il risparmio garantito allo Stato da questo servizio è innegabile in termini di sgravio dei costi di gestione diretta. Se in Lombardia gli oltre trecentomila studenti della scuola paritaria frequentassero una scuola statale, la spesa pubblica lieviterebbe di un miliardo e quattrocento milioni, ma nessuno lo dice.
Il furore ideologico che ispira e fomenta questo accanimento contro ogni tipo di istruzione che non sia quella statale, peraltro a volte di scarsissimo livello (e non è solo un problema di finanziamenti), la dice lunga sul pregiudizio dominante nelle scelte amministrative di molte giunte di centro-sinistra (sarebbe meglio dire sinistra-centro).
Sulle scuole materne, poi, c’è una censura assai deplorevole sull’importanza storica che le parrocchie hanno avuto per la loro nascita. Perfino alcuni acerrimi nemici del cattolicesimo riconoscono che gli asili sono stati inventati dalle parrocchie e solo molto tempo dopo i comuni si sono attivati per crearne degli altri. Ora si vuole togliere l’ossigeno alle scuole materne paritarie. È l’ennesima riprova dei danni che può fare alla società un’accecante ideologia come quella statalista, sottilmente venata di bigotto anticlericalismo.