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CONFERENZE D'EUROPA

Migranti e Sinodo Quando i vescovi parlano chiaro

Varato il documento finale dell’Assemblea del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa tenutosi a Gerusalemme dall'11 al 16 settembre scorsi. Per l’Italia erano presenti, tra gli altri, il cardinale Angelo Bagnasco, che presiede il Ccee, e l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, che ne presiede la Commissione Caritas in veritate.

Editoriali 24_09_2015
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa

Mi sembra che sia passato sotto silenzio il documento finale che ha concluso l’Assemblea del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Cee) tenutosi a Gerusalemme dal 11 al 16 settembre scorsi. Per l’Italia erano presenti, tra gli altri, il cardinale Angelo Bagnasco, che presiede il Ccee, e l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, che ne presiede la Commissione Caritas in veritate. É però un peccato perché, in modo semplice e chiaro, sobrio nella forma e forte nel contenuto, in questa occasione i vescovi hanno dato prova di saggio (e quindi coraggioso) realismo cristiano. 

Tre sono stati i punti toccati dal messaggio. Prima di tutto le migrazioni. Dismesso ogni linguaggio sentimentale e retorico che colpisce i cuori, ma offende la ragione, i vescovi europei hanno riaffermato il dovere degli Stati di «rispondere tempestivamente alle necessità di aiuto immediato e di accoglienza di persone disperate», ma non hanno lasciato questa affermazione da sola, come spesso accade, suscitando le reazioni della politica. Hanno infatti aggiunto che gli Stati «devono mantenere l’ordine pubblico», quindi nessuna apertura scriteriata, devono «garantire la giustizia per tutti» e quindi anche per i cittadini ospitanti, devono fornire disponibilità «per chi ha veramente bisogno» come a dire che forse non tutti coloro che la chiedono ne hanno bisogno, e che devono agire in vista di una «integrazione rispettosa e collaborativa», ossia che i migranti hanno dei diritti ma anche dei doveri da rispettare.

I vescovi ricordano anche che gli Stati «sono i primi responsabili della vita sociale ed economica dei loro popoli» e mentre aiutano chi è nel bisogno devono anche pensare che questo non può essere fatto a tutti i costi, ma devono essere soppesate le conseguenze per la vita dei popoli ospitanti. É abbastanza raro che degli ecclesiastici si esprimano con questa concretezza e non si limitino a fare grandi annunci di una carità astratta. Anche sulle cause delle migrazioni, i vescovi della Ccee sono stati coraggiosi nell’evidenziare che è almeno contraddittorio destabilizzare zone dell’Africa e del Medio Oriente e poi lamentare che da quei luoghi abbandonati a caotiche violenze la gente pensi di scappare. Ecco perché essi invitato ad «adottare misure adeguate per fermare la violenza e costruire la pace e lo sviluppo di tutti i popoli… la pace in Medio Oriente e nel Nord Africa è vitale per l’Europa».

Originali anche i contenuti che riguardano i riferimenti alla libertà religiosa, che spesso si pensa messa in pericolo solo fuori dall’Europa. I vescovi della Cee, invece, sanno bene (e lo dicono) che le guerre di religione sono spesso guerre alla religione e queste avvengono non solo da parte dei Califfati ma anche in Occidente: «la secolarizzazione in atto nei Paesi europei tende a confinare la religione nella sfera privata e ai confini della società. Rientra in questo ambito il diritto fondamentale dei genitori ad educare i propri figli secondo le loro convinzioni. Perché questa libertà sia possibile è necessario che le scuole cattoliche possano svolgere il loro compito educativo a favore di tutta la società con ogni opportuno sostegno».

Infine, i vescovi a Gerusalemme hanno parlato della famiglia. Il loro messaggio a questo proposito va anche letto in vista del Sinodo di prossima apertura. Nessun tentennamento, concessione o ambiguità nelle loro parole. «La bellezza umana e cristiana» della famiglia è detta una «universale realtà: papà, mamma, figli» e non qualcosa in relazione con le costruzioni sociali. E se così non bastasse ecco il rincaro: «La Chiesa crede fermamente nella famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna: essa è la cellula basilare della società e della stessa comunità cristiana. Non si vede perché realtà diverse di convivenza debbano essere trattate nello stesso modo». Altro che unioni civili e cose di questo genere. «Particolare preoccupazione», dichiarano infine i vescovi, «desta il tentativo di applicare la “teoria del gender”». Per loro le cose sono chiare: «La Chiesa non accetta la “teoria del gender” perché essa è espressione di una antropologia contraria alla vera e autentica valorizzazione della persona umana». «La Chiesa non accetta la teoria del genere»: chiaro?

Documenti come questo danno conforto. Qui i Pastori si comportano come tali. I vescovi della Ccee, infatti, concludono con una affermazione da cui un Pastore della Chiesa cattolica non dovrebbe mai prescindere: «consapevoli che solamente in Gesù Cristo trovano risposta le domande profonde del cuore e si compie in pieno l’umanesimo europeo».