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SIRIA

"Migranti climatici" bufala universale

Il cambiamento climatico fa la sua comparsa al fianco delle Scritture, sul foglietto del messale Ambrosiano. La Caritas all'Expo 2015 organizza un convegno sui "migranti climatici", citando anche John Kerry. Per il segretario di Stato Usa, infatti, è il cambiamento climatico la causa della guerra in Siria. Ah sì? Andiamo a vedere tutti i dati, allora. 

Creato 23_09_2015
Precipitazioni in Siria

Chi ha seguito la Messa di domenica 20/9 in una chiesa della Diocesi di Milano si sarà sicuramente accorto che il cambiamento climatico ha fatto la sua comparsa a fianco della Scritture. Infatti sul foglietto del messale Ambrosiano, in fondo alla parte liturgica, compariva il seguente annuncio:

"Non solo guerra"

I cambiamenti climatici hanno prodotto una nuova categoria di profughi, i rifugiati ambientali, persone costrette ad emigrare non per la guerra ma a causa dei disastri naturali che nel modo fanno saltare le economie di sussistenza legate alla terra. Di questo parlerà il convegno "Non solo guerra" giovedì 24 novembre 2015 organizzato da Caritas a Milano Expo 2015. Informazioni su www.chiesadimilano.it/expo."

A ciò si aggiunga che alcuni giorni orsono il segretario di Stato americano Kerry, nel corso di una visita in Alaska, ha dichiarato quanto segue:“La Siria è stata destabilizzata da un milione e mezzo di persone che sono scappate dalle zone rurali a causa di una siccità durata tre anni, resa ancora più intensa dal cambiamento climatico a opera dell’uomo, una condizione che sta rendendo l’intero Medio Oriente e le regioni mediterranee ancora più aridi”. 

Kerry ha fatto riferimento ai risultati di una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) a firma di Colin Kelley e altri e dal titolo Climate change in the Fertile Crescent and implications of the recent Syrian drought in cui si afferma fra l’altro che “Ci sono prove che la siccità del 2007-2010 ha contribuito al conflitto in Siria. E' stata la peggiore siccità da quando vi sono misure  strumentali ed ha provocato la diffusa perdita dei raccolti e la migrazione di massa di famiglie contadine verso i centri urbani. Il trend secolare osservato in precipitazioni, temperature e pressione a livello del mare, sostenuti dai risultati dei modelli climatici, suggeriscono fortemente che il forcing antropogenico abbia aumentato la probabilità di siccità gravi e persistenti in questa regione... Si conclude pertanto che le influenze umane sul sistema climatico sono implicate nel conflitto in atto in Siria.”

Quel che più colpisce di queste notizie è che sia il cambiamento climatico a produrre profughi, un concetto quantomeno discutibile, come cercheremo di dimostrare qui di seguito.  Anzitutto le affermazioni di Kerry e di Kelley inducono a svolgere una rapida indagine sui dati di precipitazione dal 1952 al 2014 presenti nella banca dati internazionale GHCN (Global Historical Climatology Network) e che sono riferiti a 7 stazioni siriane (Aleppo, Damasco, Deir Ezzor, Hama, Kamishli, Lattakia e Palmira). I risultati di sintesi sono riportati nel diagramma in figura 1, da cui si evince che gli anni che vanno dal 2007 al 2010 sono stati effettivamente poco piovosi ma con valori non molto lontani dalla media, per cui parlare di “grande siccità” è quantomeno improprio. Inoltre il diagramma non mostra dal 1952 ad oggi particolari tendenze al calo delle precipitazioni annue, come si evince dalla linea di trend.

Precipitazioni in Siria

L’altra cosa che colpisce è il diagramma in figura 2, il quale ci mostra che la percentuale di dati mensili di pioggia mancanti sale in modo sensibile dagli anni ‘90 fino a toccare il 70% nel 2014. Tale percentuale è un indicatore della scarsa affidabilità di tali dati, che purtroppo sono gli unici dati che abbiamo a disposizione per le nostre analisi.

Dati mancanti

Poichè inoltre nell’articolo di Kelley si parla di “perdita dei raccolti fra 2007 e 2010” andiamo a verificare i dati presenti nel dataset mondiale della FAO Faostat3 ricavando il diagramma in figura 3, che ci mostra per la Siria l’andamento dal 1961 ad oggi delle rese unitarie ettariali di frumento, principale coltura erbacea del paese. Si noti che l’unico anno fra quelli indicati da Kelly che mostri un sensibile calo dei raccolti è il 2008 con 1.5 tonnellate per ettaro. Al contrario un buon raccolto si è registrato nel 2007 (2.4 tonnellate per ettaro) e nel 2009 (2.6 tonnellate per ettaro) e un raccolto mediocre si è avuto infine nel 2010 (1.9 tonnellate per ettaro).

Produzione agricola 

Insomma, se stiamo alle statistiche, le affermazioni di Kerry e di Kelley paiono quantomeno poco realistiche.

Segnaliamo inoltre ai lettori alcuni ulteriori argomenti di riflessione: 

1. è da anni disponibile un dataset internazionale delle vittime di disastri naturali, (EM-DAT / The International Disaster database) liberamente consultabile su questo sito (clicca qui). Da tale dataset si ricava che la mortalità da disastri naturali è in costante calo dal 2000, dopo che per anni aveva manifestato incrementi graduali (si veda in proposito il diagramma in figura 4). Come si giustificano i profughi climatici provocati da disastri naturali alla luce di tale calo?

Vittime per disastri naturali 

2. l’andamento delle produzioni agricole mondiali unitarie (tonnellate/ettaro) delle quattro colture che nutrono il mondo (riso, mais, frumento e soia) visto attraverso le statistiche FAO ci segnala che dal 1961 a oggi è in atto un incremento annuo assai rilevante (+6% l’anno per il mais, +5% per il riso, +4% per il frumento e +3% per la soia) che non si concilia  in alcun modo con un  un cambiamento climatico a carattere distruttivo

3. il lavoro scientifico Climatic factors as determinants of International Migration redatto dai  ricercatori Michel Beine e Christopher Parsons e pubblicato nei quaderni dell’Università cattolica di Lovanio esamina i fattori ambientali come potenziali determinanti per la migrazione internazionale e giunge alle seguenti conclusioni: “non si trova alcun impatto diretto di cambiamenti climatici sulle migrazioni internazionali nel medio e lungo periodo per l’intero campione da noi analizzato.”

Evidenze contrarie a parte, ricordiamo a chiunque si voglia cimentare nel cercare legami fa cambiamento climatico e fenomeni sociali che è essenziale disporre di misure meteorologiche accurate (temperatura e pioggia in primis). Da questo punto di vista nei Paesi in via di Sviluppo lo stato delle reti osservative meteorologiche è in molti casi disastroso. Al riguardo segnaliamo il caso increscioso del Sahel, un’area per la quale si parla spesso di emergenze umanitarie legate alla siccità. Quando nel 2003 alcuni climatologi si trovarono ad  analizzare l’andamento pluviometrico di tale area (per scrivere un lavoro sulla siccità poi pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Climatology) scoprirono che il numero di pluviometri presenti era sceso dai 188 del 1971 ai 102 del 1991 ed ai soli 35 nel 2003. Ecco, con 35 pluviometri non si riesce a descrivere la pioggia in Lombardia, immaginiamo quella di un’area come il Sahel che è grande decine di volte l’Italia. 

Con specifico riferimento alla succitata iniziativa Caritas, va ricordato che analisi globali riferite al settore agricolo sono difficilissime in quanto siamo di fronte a 590 milioni di aziende agrarie, da piccolissime aziende dedite all’agricoltura di sussistenza ad aziende più grandi e che lavorano per il mercato. In tal senso non può essere però trascurata un’evidenza frutto dell’esperienza italiana degli anni 50-60 e cioè che le agricolture di sussistenza scompaiono a seguito della vita disagiata ritenuta intollerabile da chi le pratica. In tal senso occorre evidenziare che o si trova il modo di fare evolvere le agricolture di sussistenza verso l'economia di mercato (ad es. organizzando i produttori in forme associative rispettose dei costumi e delle tradizioni locali) o tali agricolture sono inesorabilmente destinate a soccombere, e ciò indipendentemente dal fatto che il clima cambi o meno. 

Insomma, oggi è importante ragionare delle cause politiche, sociali ed economiche che sono all’origine del fenomeno migratorio senza fare ad ogni piè sospinto ricorso al cambiamento climatico, argomento che rischia di distogliere l’opinione pubblica dalle cause reali del fenomeno. 

E va ricordato il fatto che la politica Usa degli ultimi decenni, spesso supportata in modo acritico da vari paesi europei, ha portato a destabilizzare una serie di nazioni fra Nord Africa e Medio Oriente (Somalia, Iraq, Afganistan, Egitto, Libia, Siria ...) facendo crollare alcuni fra i pochi regimi laici ancora presenti nell’area e lasciando così uno spazio enorme ai movimenti integralisti musulmani. A seguito di ciò comunità cristiane spesso millenarie stanno pagando un prezzo enorme, per cui fa’ specie che proprio da parte statunitense si invochi il cambiamento climatico a giustificare fenomeni migratori che hanno ben altra e più tragica origine.