Migliori al governo? È oligarchia. Anche se funzionasse
Dicono che dovrà essere il governo dei migliori. Ma chi decide che un ministro è migliore rispetto a un altro? È piuttosto una oligarchia aristocratica quella che si sta formando con Draghi, con pochi, pochissimi, che nominano i migliori. E con ministri scelti tra funzionari di banche e dei dicasteri si profila un'oligarchia del deep state. Magari funzionerà, ma non chiamiamola più democrazia.
Dicono che dovrà essere il governo dei migliori. Ma chi decide che un ministro è migliore rispetto a un altro? Draghi? È senza dubbio il migliore, ci viene ripetuto a ogni spron battuto e l’aggettivo viene propagandato con goffi paragoni, tra Ronaldo e i fuoriclasse. Ma basta un curriculum di tutto rispetto per definire un uomo che non si è mai misurato con le elezioni per essere definito il migliore?
Sicuramente no, come sicuramente non sappiamo che idea di Italia abbia in mente l’ex presidente della Bce. Sarà il Draghi del Britannia e della letterina al governo Berlusconi o sarà il Draghi di Whatever it takes? Non lo sappiamo, per ora, e non lo sappiamo perché il processo attraverso cui è avvenuto l’affidamento dell’incarico da parte di Mattarella è stato al buio, senza un confronto democratico tra partiti, senza annunci né coinvolgimenti dell’opinione pubblica. È stato Draghi e basta. Sarà Draghi con i ministri scelti da lui a cui i partiti dovranno soltanto dire sì.
Può darsi che funzioni, può anche darsi che l’Italia si stia avviando ad avere il miglior governo della storia repubblicana, sicuramente meglio di quello degli “scappati di casa” Cinque Stelle che in metà legislatura sono riusciti a governare contraddicendosi e passando dalla Lega a Leu con nonchalance. Ma la democrazia non è questa.
È piuttosto una oligarchia quella che si sta formando a cui servirà, per potersi reggere in piedi, il voto tacito dei partiti ai quali ora viene detto che devono mettere da parte i personalismi per il bene dell’Italia.
Ma non esistono personalismi in politica: esistono le politiche in economia, nel sociale, nel campo dell’etica e queste sono portatrici di istanze ideali diverse, di un’idea della vita e della persona che cambia man mano che ci si sposta da destra e sinistra nell’arco parlamentare. Metterle da parte non produce meno politica, ma produce semplicemente un’altra politica: quella dei migliori.
E quando i migliori sono al governo, intesi come una ristretta cerchia di decisori e detentori del potere che in fondo non devono riferire in prima battuta al popolo, ma al loro mallevadore che li ha chiamati lì, non è detto che le cose siano davvero migliori.
La tanto celebrata Atene, esempio fulgido di democrazia e di rappresentatività, unica democrazia del mondo antico, ha conosciuto il suo momento peggiore quando salirono al potere i 30 oligarchi filospartani, capitanati dall’aristocratico Crizia, guarda un po’ il migliore, che instaurarono un vero e proprio regime di terrore, monopolizzando il potere e facendo giustiziare gli avversari. Almeno però, ebbero il buongusto, precluso in Italia, di modificare la Costituzione. La democrazia venne poi ristabilita a prezzo di una guerra civile sanguinosa.
Certo, ci stupiamo perché Draghi deve confrontarsi ora con le lavandaie e i bibitari, definizione di disprezzo verso una classe politica inadeguata e un po’ cialtrona, ma le lavandaie e i bibitari sono lì perché, anche se in un sistema imperfetto, sono stati votati. Invece Draghi e i migliori non sono stati votati da nessuno. E questo non può non essere un problema in quello che è il nostro sistema democratico.
Se aggiungiamo poi che la maggior parte dei ministri dovranno provenire dalla cosiddetta area tecnica, ecco che il governo oligarchico che si delinea è quello della oligarchia del deep state. In pole position per l’esecutivo ci sono funzionari di banche e dirigenti ministeriali. Sono il deep state che ci sarà sempre a ogni legislatura e che spesso da solo ha messo in crisi ministri e partiti, ma che ora si è deciso essere la meglio Italia.
Ma anche qui c’è un corto circuito: chi decide che i ministri sono i migliori? Il censo? Il reddito? No, la competenza. In un Paese dove anche alle maestre ignoranti come capre viene garantito lo stesso stipendio di quelle con due lauree, la competenza diventa un mito, un'utopia.
Se non sono le elezioni e non è un concorso pubblico a decidere la competenza di un ministro, però, in nome e per conto di chi un funzionario della burocrazia statale fino ad oggi sconosciuto deve occupare lo scranno più alto di un ministero dell’economia piuttosto che dell’agricoltura? In nome e per conto di chi l’oligarchia che si sta delineando, un'oligarchia aristocratica dove pochi, anzi pochisismi decidono chi sono i migliori, oggi possa decidere che quello che ci avviamo a vivere sia il governo migliore, l’unico e il più necessario?
Ovviamente la risposta non c’è, perché questo è uno specchietto per le allodole per convincere la gente che non si può proprio andare a votare. Ma allora non parliamo più di democrazia e sospendiamo per un attimo il comma della Costituzionale per cui la sovranità appartiene al popolo. La sovranità appartiene ora ai migliori, che la esercitano nelle forme e nei limiti di un’oligarchia aristocratica non per censo, né per reddito, ma per meriti ignoti.
Ripetiamo, a scanso di equivoci: può funzionare, può anche essere una chiave di volta per il paese, ma sarebbe la prova che la democrazia è un ferro vecchio. Bello, ma inutile. E Crizia che fine fece? Senofonte racconta che sulla sua tomba venne scolpita la personificazione dell'Oligarchia intenta ad appiccare fuoco alla Democrazia con una fiaccola.