Michelangelo, il Crocifisso con dentro una storia
Fino al 6 marzo è ammirabile a Milano in quella Biblioteca Ambrosiana che è impareggiabile esempio di come la Chiesa ha sempre saputo fare cultura.
È di martedì la notizia che il crocifisso ligneo di Michelangelo, acquistato dallo Stato italiano ed esposto in diverse città tra il 2008 e il 2009, non è di Michelangelo. Ne è spuntato un altro, che di caveau in caveau ora sarebbe negli Stati Uniti e che ha tutte le caratteristiche per essere opera della mano del maestro fiorentino, come ha spiegato il gesuita Heinrich Pfeiffer, della Pontificia Università Gregoriana e uno dei massimi esperti di arte sacra del periodo.
Non si è trattato di un falso, ha tenuto a chiarire, ma semplicemente di una attribuzione sbagliata, su cui già si erano divisi gli studiosi prima ancora della sua acquisizione.
Ecco che allora ci viene da pensare alla piccola mostra in corso alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano fino al 6 marzo e costruita attorno a un altro crocifisso ligneo attribuito dalla critica, questa volta unanimemente, alla mano di Michelangelo nella fase della sua vecchiaia. In questo caso, e qui sta la differenza con la precedente esposizione del Cristo contestato, la storia della sua attribuzione e la relativa documentazione su cui si basa, sono parte integrante della mostra, che risulta così solo l’ultimo tassello di un percorso di conoscenza molto lungo e meditato.
Le carte provengono dalla raccolta fiorentina di Casa Buonarroti, con la quale l’Ambrosiana ha inaugurato una collaborazione nel solco della modalità del fare cultura che la contraddistingue. Lontana da logiche di marketing e da lanci pubblicitari di prodotti culturali spesso modesti, vicina piuttosto all’idea che si fa cultura e si raggiunge l’eccellenza con la serietà dei progetti a lungo termine, nel cui quadro le mostre costituiscono approfondimenti più che pretesti - assolutamente giustificati - per rinvigorire il settore del commercio nelle città.
La Biblioteca Ambrosiana è però un’altra cosa. È difficile immaginare che in un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla frammentazione delle conoscenze, possa nascere un’istituzione con l’ampiezza di visione e un programma culturale così avanzato come quelli che il cardinale Federico Borromeo tracciò per la futura Ambrosiana quattrocento anni fa.
Convinto dell’importanza delle scienze e dell’arte per l’evangelizzazione, il cardinale volle che la Biblioteca, una delle prime pubbliche d’Europa, fosse dedicata a tutte le scienze che compongono il sapere universale e che fosse il simbolo dell’incontro tra fede e ragione, fra tradizione e modernità. E anche la conoscenza artistica doveva avere il giusto peso. Per questo istituì, accanto alla biblioteca, l’Accademia di pittura, scultura e architettura, trasformata poi da Maria Teresa in quella che è l’attuale Accademia di Brera. E per educare il gusto estetico ed essere di sussidio all’Accademia creò la Pinacoteca, dove raccolse capolavori di Leonardo, Botticelli, Tiziano, Bernardino Luini.
In un’epoca in cui si costruiscono musei in tutto il mondo, e ben vengano, non ne troviamo uno che risulti meritorio se non per il lavoro di conservazione e di memoria, nessuno che si costituisca come motore di un programma ambizioso quanto lo è stato quello della Biblioteca Ambrosiana. Il verbo al passato in realtà è sbagliato, perché la sua funzione non si è esaurita, si svolge incurante della luce dei riflettori, ma sempre ad alti livelli. Pensiamo alle tappe espositive dei disegni del Codice Atlantico, l’ultima delle quali sui 44 fogli delle macchine da costruzione che anticipa la futura mostra su Michelangelo architetto. O, ancora, all’Accademia istituita nel 2008, erede del progetto borromiano, con l’obiettivo di costituire una comunità scientifica a livello internazionale o alla Scuola di Alta Formazione in filologia moderna, che opera in sinergia con l’università Cattolica e la Statale e che fornisce gli strumenti necessari per occuparsi e conservare l’enorme patrimonio bibliografico.
Insomma diciamo che la Chiesa ha sempre saputo come far fiorire le istituzioni culturali, come in un recente intervento su queste colonne ha sottolineato Massimo Introvigne e che rimane una maestra difficile da superare.