Michael Novak, il filosofo della libertà
Ieri a Washington DC è morto Michael Novak, giornalista, scrittore, filosofo, diplomatico, uno dei maggiori pensatori cattolici del Novecento. La sua lunga battaglia culturale fu quella di liberare il concetto di giustizia sociale dalle secche dell’utopismo e dello statalismo e di riscoprire le radici cristiane della società libera e democratica.
Ieri a Washington DC è morto, all'età di 83 anni, Michael Novak, giornalista, scrittore, filosofo, diplomatico, uno dei maggiori pensatori cattolici del Novecento. La sua lunga battaglia culturale fu quella di liberare il concetto di giustizia sociale dalle secche dell’utopismo e dello statalismo e di riscoprire le radici cristiane della società libera e democratica. Un signore dai modi gentili, ricco di umorismo, lo abbiamo visto più volte anche in Italia. Laureato in filosofia allo Stonehill College, aveva conseguito il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e un Master in Storia e filosofia della Religione ad Harvard. Non ha mai dimenticato l’italiano: “lo parlo anche meglio, dopo aver bevuto del buon vino”, diceva sempre, scherzando, ai suoi interlocutori.
Dopo essere stato corrispondente del National Catholic Reporter al Concilio Vaticano II, fu il primo professore cattolico romano a insegnare una materia umanistica all'università di Stanford, negli anni cruciali della contestazione studentesca, dal 1965 al 1968. Inizialmente partecipò intellettualmente al movimento contro l’intervento americano nel Vietnam. Non si contrappose frontalmente ai contestatori, ma tentò di insegnar loro un umanesimo cattolico, opponendosi al tempo stesso alla loro visione utopistica e rivoluzionaria. Fu in questo contesto che maturò le sue idee: per la modernità e la libertà, ma saldamente ancorato agli insegnamenti sociali della Chiesa. I mali che identificava nel pensiero utopistico, nel costruttivismo e nello statalismo, furono oggetto della sua critica implacabile, che lo portò lontano dalle sue originarie posizioni. Dal 1978 fino al 2010 fu una delle menti del think tank conservatore American Enterprise Institute (Aei), uno dei luoghi di pensiero che più hanno contribuito alla difesa del libero mercato e delle sue basi morali. Con Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo (1982), Novak giunse alla conclusione che il sistema americano fosse il frutto della fusione fra un sistema politico (democratico), uno economico (liberale) e uno culturale (cristiano) inscindibili.
Molto vicino a San Giovanni Paolo II, la sua opera influenzò innegabilmente l’enciclica sociale Centesimus Annus del 1991. Per il presidente statunitense Ronald Reagan lavorò come diplomatico, prima come ambasciatore Usa nella Commissione dei Diritti Umani dell’Onu (1981-1982) e poi alla testa della delegazione statunitense nella Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa nel 1986, negli anni finali della Guerra Fredda. Nella metà degli anni ’80, con l’Aei, mise in piedi un gruppo di studio su Famiglia e Welfare che produsse le basi per la successiva riforma dello stato sociale americano.
La sua idea di giustizia sociale, smarcata dalle utopie novecentesche, parte dalla persona. La persona, per Novak, è portata a cooperare nella sua comunità per il raggiungimento del bene comune. Se lasciata libera di agire, la persona può usare i suoi talenti per associarsi e raggiungere fini sociali. La società deve restare libera, appunto: lo Stato può intervenire in via sussidiaria, nei campi in cui la persona non ha le forze per agire da sola. Ma per conseguire i fini della giustizia sociale, non occorre uno Stato forte, occorre una società vitale. L’imprenditore è una figura chiave: non va inteso come un egoista, che agisce a scapito degli altri, ma la sua è una “vocazione”, è un attore sociale che può porre il suo talento e la sua ricchezza al servizio del prossimo. Per sua logica intrinseca “l’impresa richiede una condotta morale”. Un comportamento immorale dell’imprenditore conduce al fallimento, oltre che alla sua disgrazia. La giustizia sociale non si realizza contro il capitalismo, neppure in una terza via a metà strada fra capitalismo e socialismo, bensì nel capitalismo, un sistema economico che, pragmaticamente, Novak considerava: “non il migliore dei mondi possibili, ma finora quello più accettabile”. “Il capitalismo di per sé, non essendo né una religione né una filosofia, non ha come fine il Regno di Dio – scriveva in Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo - Suo scopo non è nutrire le anime, diffondere una filosofia né uno stile di vita. Eppure, al contrario di quanto avviene nelle società socialiste o in quelle tradizionali, le sue istituzioni contribuiscono ad innalzare la moralità della popolazione e favoriscono lo sviluppo di alcuni comportamenti morali. Sino a un certo punto dunque, il capitalismo si presenta non come un mero insieme di tecniche prive di anima ma come una scelta di vita”.
Michael Novak fu un critico spietato della laicizzazione delle élite americane, soprattutto nell’era delle due amministrazioni Obama. Nella sua ultima lezione tenuta presso l’università estiva dell’Acton Institute, il 17 giugno 2016, aveva lanciato un chiaro monito a non perdere le radici cristiane. “Nella Seconda Guerra Mondiale gli Usa combatterono fino alla resa incondizionata dei dittatori nemici e alla costruzione di un nuovo ordine mondiale assieme agli alleati. Il nuovo ordine era basato, essenzialmente, sui valori cristiani. La globalizzazione è nata con il cristianesimo, con l’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni. I diritti umani sono nati con il cristianesimo. Madison, Jefferson e gli altri padri fondatori degli Stati Uniti riconoscevano di essere creature del Creatore, da adorare e obbedire. L’universalità dei diritti, la libertà di coscienza, non solo di credo, sono altre eredità del cristianesimo, che è universale nel suo annuncio. Al giorno d’oggi, una percentuale sempre maggiore di americani si ritiene atea e una percentuale ancora maggiore si è convinta che la Terra sia una divinità. L’ateismo è diffuso soprattutto fra le élite intellettuali. Gli Usa sono attualmente una nazione di cristiani governati da una minoranza di atei. Eppure anche la cultura atea deve tutto all’eredità cristiana. La libertà personale, per esempio: il primo uomo libero è San Paolo. Fratellanza: è un principio universale chiaramente introdotto dal Vangelo. Per Gesù, noi siamo tutti fratelli. Uguaglianza: Dio creatore supera ogni potere terreno, ai Suoi occhi siamo tutti uguali, tutti mortali. Scuole, ospedali, università, librerie, le prime donne alla testa di istituzioni, sono tutte eredità del cristianesimo”. Ai giorni nostri si pretende di rimuovere questa eredità, soprattutto per paura. “Il cristianesimo – ricordava Novak – è sempre una storia di Croce. Non promette la felicità in terra, non è un idillio. Si arriva al compimento attraverso il dolore. L’ateismo cresce, perché si ha paura del giudizio: sempre più gente rifiuta di essere giudicata. Non si vuole più credere che ci sia un Bene e un Male, si preferisce credere nelle buone maniere”.
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