Metti un cappellano alla Farnesina e la Cgil che schiuma di rabbia
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La decisione del ministro Tajani di portare un assistente spirituale alla Farnesina è un segnale positivo. Puntualmente stigmatizzato dal veterocomunismo della Cgil. Ma la realtà ci porta verso qualcosa di diverso. E di nuovo.
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Siamo lontani mille miglia dalla regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, ma la direzione, almeno nel suo aspetto formale, punta proprio su questo obiettivo, anche se i diretti interessati forse non lo sanno nemmeno. Stiamo parlando della istituzione della figura del «consigliere ecclesiastico del ministro degli Esteri». Una sorta di cappellano della Farnesina nominato dal Ministro Antonio Tajani. Il prescelto è Don Marco Malizia, cappellano militare e canonico della basilica del Pantheon. I compiti di Don Malizia, che presterà la propria opera a titolo gratuito, sono chiari: «Favorire la promozione dei valori di solidarietà, rispetto e dialogo, attraverso l’ascolto e il conforto per tutti i dipendenti, a prescindere dal proprio credo». Sotto questo aspetto il fatto che Marco Malizia sia anche “don” appare un elemento accidentale. Ma di più non si poteva fare. Però già il fatto che un sacerdote abbia un ruolo di consigliere spirituale è sicuramente positivo. Starà alla prudenza e alla sana astuzia di Don Marco far entrare come clandestino Gesù nelle anime dei suoi interlocutori.
Naturalmente il laicismo delle istituzioni repubblicane ha subito prodotto abbondanti anticorpi appena Don Marco ha celebrato messa alla Farnesina a dicembre. La Cgil ha diffuso un volantino in cui definiva il sacerdote «cappellano magico». E poi così proseguiva: «Leggiamo con un certo stupore uno strillo intranet che annuncia che il ministero, forse fraintendendo la nostra richiesta, si è ora dotato di un cappellano che, assicurano le alte sfere dell'amministrazione, sarà pronto a prestare il suo orecchio benevolo e il suo cuore alle anime smarrite che si aggirano per i corridoi della Farnesina. Attendiamo con ansia la nomina di aruspici e àuguri così da poter continuare il nostro viaggio nel 21esimo secolo con fiducia inalterata nelle "meravigliose sorti e progressive" del genere umano». Presso gli antichi romani gli aruspici erano sacerdoti che esaminavano le viscere degli animali per comprendere il senso di alcuni prodigi. Gli àuguri invece, sempre presso i Romani e gli antichi Italici, interpretavano il volo degli uccelli per comprendere il volere degli dei.
Da una parte la reazione stizzita della Cgil ci fa piacere: è come quando la squadra del cuore segna e gli invidiosi della squadra che ha incassato il gol schiumano rabbia ed iniziano con gli sfottò. Su altro fronte i kompagni del sindacato fanno quasi tenerezza: sono rimasti ancorati all’idea vetero marxista che la religione è l’oppio dei popoli, è una superstizione al pari di quella praticata dai sacerdoti nell’antica Roma, una favoletta che nulla dovrebbe spartire con la Storia con la esse maiuscola fatta di lavoro, battaglie, sangue e nemici vinti. La sacralità spetta solo al potere costituito, alle vittime del fascismo e naturalmente a loro: alla Cgil. Il sindacato dovrebbe essere la nuova e unica chiesa perché ha le sue pratiche religiose – il sacramento dello sciopero e quello dei picchetti – i suoi dogmi – il padrone è sempre cattivo, il lavoratore sempre buono, la salvezza verrà dalla busta paga – il suo papa – Maurizio Landini. Il resto è una presa in giro, una barzelletta. Ed è dunque giusto motteggiare Don Marco.
Ma la realtà l’avrà vinta anche questa volta e siamo certi che il nuovo cappellano farà bene e farà del bene. Perché in quei corridoi evocati dal volantino sindacalista Don Marco incontrerà l’impiegato che anche al lavoro non pensa ad altro che alla moglie che vuole andarsene e non se ne capacita, il funzionario che porta nel cuore e nelle viscere la propria figlia la quale si è persa dietro il vuoto narcisismo dei social e non lo chiama nemmeno più papà, la segretaria che non sa accettare che la propria madre anziana è ormai pronta per il Cielo, l’usciere che, mannaggia a lui, ha speso tutto giocando on line e non sa come dirlo alla moglie. E poi sottosegretari, direttori generali, ambasciatori che, come tutti noi peccatori compresi quelli tesserati CGIL, a volte non sanno a che santo votarsi perché vivono nella nebbia dell’incertezza o addirittura nel buio di uno scontento senza nome. Lì, siamo certi, che arriverà la parola di luce e speranza di Don Marco, una parola che sarà scritta da Nostro Signore.
Oppure vogliamo che siano lor signori della CGIL ad occuparsi di queste esistenze battute dal tagliente vento della vita?