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DOPO FACEBOOK

Meta, i rischi del mondo virtuale di Zuckerberg

Una vita parallela in un universo parallelo. Non è un film di fantascienza, ma il progetto di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook ed ora di Meta, compagnia che costruirà un nuovo "metaverso". Si potrà vivere in una realtà virtuale, con un avatar che agisce in nome e per conto nostro? I rischi (mentali), che corriamo oggi con i social network, verrebbero amplificati.

Attualità 30_10_2021 English Español
Zuckerberg presenta Meta

Soltanto i più sprovveduti o i meno informati potevano rimanere stupiti dalle parole di Mark Zuckerberg, neo fondatore di Meta, già holding Facebook Inc, cui ha cambiato nome affinché ribadisse la sua missione: creare, appunto, un metaverso. Sono diversi anni che la sua idea viene testata: prima con la creazione di Libra e Diem, due criptovalute nate, non per fare concorrenza al Bitcoin, quanto perché diventassero moneta di scambio del metaverso; quindi con l’Horizon Workrooms, un'app per la realtà virtuale per fare meeting a distanza, dove ogni persona può “vestire” un avatar su misura con cui vivere una vita completamente digitale.

Ma che cos’è il metaverso? Secondo le origini filosofiche, il termine è stato coniato dallo scrittore Neal Stephenson per indicare una nuova dimensione dove le persone fisiche possono muoversi, condividere e interagire attraverso avatar personalizzati. Per chi lo avesse visto, il riferimento più vicino a questa realtà è il mondo visto in Ready Player One, il film di Spielberg dove le persone, per fuggire dalla vita decadente nelle loro baraccopoli, si immergono in un mondo virtuale dove prendono parte ad attività di intrattenimento e di lavoro. Nel film bisognava dotarsi di un hardware tecnico molto complesso: per noi potrebbe invece bastare il Meta Quest, il nuovo Oculus Quest, cioè un visore di realtà virtuale dove ad oggi è possibile giocare con videogiochi in prima persona.

Il mondo dei videogiochi è infatti ben più vicino a questa realtà di quanto non lo siano le applicazioni sviluppate ad oggi da Meta. Fortnite, Minecraft e Roblox sono gli esempi più calzanti: videogame dove è possibile intrattenere relazioni sociali globali, dove è possibile ricoprire una carica sociale, dove si può partecipare a concerti (come quello di Ariana Grande su Fortnite) o a sfilate di moda (come quelle tenutesi durante il lockdown su Animal Crossing:New Horizons). Le app di Facebook – pardon, Meta – sono invece ancora un po’ acerbe dal punto di vista grafico, ma formano il primo tentativo di costruire una realtà fuori dalla realtà.

Probabilmente però il piano di Mark non è quello di “opporre” una realtà virtuale ad una analogica, quanto integrarle entrambe in un nuovo stile di vita ibrido. In questo senso ben si spiega la messa in commercio dei Ray Ban Stories, occhiali costruiti da Essilor Luxottica per scattare foto e fare brevi video direttamente dalla montatura, per poterle poi condividere direttamente su Facebook o Instagram. Il modo migliore per passare al metaverso è quello di percepirlo come parte discreta ma integrata della vecchia realtà “in carne ed ossa”.

Sappiamo tuttavia che Zuck, così come tutta la compagnia, sta vivendo mesi di fuoco per le sempre più pressanti domande sulla salute psicologica degli iscritti alle piattaforme, dopo le voci che si sono alzate dal Wall Street Journal e le inchieste che ne minano le fondamenta. A settembre Zuckerberg aveva annunciato un fondo da 50 milioni di dollari per progetti con partner esterni che approfondiscano le implicazioni di questo futuro mondo. Siamo tuttavia consci della strategia che da 15 anni a questa parte muove Facebook: prima integra, dopo testa. L’analisi preventiva sulle possibili implicazioni politiche, sociali e psicologiche delle sue creazioni non è mai stata in cima alla pila delle sue priorità.

Difficile pensare che una società capace di fatturare centinaia di miliardi l’anno non sia in grado di costruire un’infrastruttura che fino a qualche giorno fa sembrava distopica: creare una vera realtà virtuale, dove muoversi, interagire, lavorare. «Il metaverso incarna la nuova era di internet» dice Zuckerberg, che in quest’anno (e in quelli a venire) è pronto a investire dieci miliardi di dollari l’anno e aprire all’assunzione di nuovo personale che possa supportare il progetto (soltanto in Europa più di 10 mila assunzioni), ma le tempistiche ad oggi non ci sono, se non l’ampio limite di dieci anni.

Ad oggi, l’unico rischio che si sta cercando di contrastare è quello relativo alla privacy e l’impiego dei dati raccolti da Facebook, Instagram, Whatsapp e Oculus per integrare anche nel metaverso gli spazi pubblicitari. È sicuramente un punto focale, ma forse non quello più importante da mettere a fuoco. È indubbio che la nuova fruizione dei media tramite device fissi e mobili stia modificando i comportamenti e generando nuove disfunzionalità generalizzate. Stiamo proseguendo a una velocità che non siamo in grado di gestire, messi come siamo di fronte a uno dei più repentini cambiamenti tecnologici. Vediamo a cosa porterà questa nuova realtà virtuale, ma non c’è dubbio che esserne scettici è sintomo di acume.