Messe stop e Vescovi inermi: fedeli senza difesa
L'ordinanza di Agnone che vieta le Messe: la mancata reazione dei Vescovi e la carente motivazione del provvedimento sono connesse tra loro: se non c’è nessuna reazione a provvedimenti di questo genere, i fedeli sono nelle mani dei Sindaci (o del Presidente del Consiglio a livello nazionale, o del Presidente della Regione a livello regionale), senza alcuna difesa.
L’ordinanza del sindaco di Agnone si basa su due norme. La prima è l’articolo 50 del Testo Unico degli Enti Local che recita: «Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale».
La seconda è l’articolo 32 legge 833 del 1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) che dice: «Il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni. Nelle medesime materie sono dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa al territorio comunale».
Quindi, un Sindaco, in caso di emergenze sanitarie, può effettivamente emettere provvedimenti di immediata efficacia anche in deroga alle leggi generali. Provvedimenti che hanno la funzione di dare una risposta immediata a emergenze di carattere locale.
Ma la chiusura delle chiese e il divieto dei culti hanno a che fare con l’emergenza sanitaria legata alla pandemia Covid?
Come sappiamo bene, la risposta è affermativa: in una prima fase lo Stato ha disposto la chiusura delle chiese e il divieto di funzioni religiose, mentre nella fase attuale la partecipazione alle funzioni religiose è subordinata al rispetto delle norme cristallizzate nei protocolli approvati dalla CEI e dal Governo (e dai rappresentanti di altre confessioni religiose); i protocolli vengono richiamati dai DPCM e sono allegati agli stessi.
Quindi, possiamo prendere atto che – dal punto di vista del diritto positivo – le chiese e le funzioni religiose sono state definitivamente inserite nelle attività pericolose: non così pericolose come le palestre o le discoteche (che infatti rimangono chiuse), ma abbastanza pericolose, al pari dei parrucchieri (che, infatti, possono operare solo se rispettano determinate norme e per i quali il Sindaco di Agnone ha disposto, con lo stesso provvedimento, la sospensione dell’attività) oppure delle attività didattiche (il provvedimento fa riferimento ad una precedente ordinanza del Sindaco del 20 febbraio che disponeva la sospensione delle attività didattiche nel comune).
Possiamo fare, quindi, due osservazioni.
La prima riguarda la presa di posizione della Conferenza Episcopale: questo provvedimento è stato reso possibile dalla mancata reazione dei Vescovi alla volontà di chiusura delle chiese, anzi, alla loro assoluta disponibilità a provvedimenti dello Stato di questo tipo, con la rinuncia a rivendicare la autonomia della Chiesa derivante dal Concordato.
Se lo ha fatto lo Stato tramite il Governo, lo può fare – in situazioni eccezionali e locali – anche il Sindaco se il pericolo sanitario cresce enormemente su base locale. In sostanza, il ragionamento implicito al provvedimento è il seguente: il pericolo ridotto a livello nazionale, che ha permesso di riaprire le chiese e riprendere le funzioni, sia pure con le modalità stabilite dai protocolli, ad Agnone è enormemente aumentato e, quindi, è necessario tornare ai primi provvedimenti.
La seconda osservazione riguarda la motivazione del provvedimento, che è assolutamente carente. In effetti, dottrina e giurisprudenza affermano che, proprio perché le norme di legge sopracitate attribuiscono al Sindaco un potere notevole, con decisioni immediatamente efficaci e per la cui violazione sono previste sanzioni, i provvedimenti che le adottano devono essere adeguatamente motivati.
Questo è un principio generale, che vale per tutte le decisioni: quanto più sono importanti, tanto più devono essere adeguatamente giustificate.
Ebbene: il provvedimento, nella parte di motivazione, si limita ad affermare: «Considerato l’evolversi della situazione epidemiologica e il notevole incremento dei casi alla data odierna che ha interessato in generale l’intero territorio del Comune di Agnone»: quindi una frase del tutto generica.
Mancano non solo il dato numerico che concretizzi il concetto di “notevole incremento dei casi”, ma anche notizie precise.
Manca, soprattutto, il riferimento a note, segnalazioni, richieste che provengano da organismi sanitari (ASL, medici di base, ospedali ecc.): qualcuno di questi organismi ha chiesto al Sindaco di prendere questo provvedimento? La diffusione dei casi (di cui manca il numero) è concentrata in certe zone? C’è stato un aumento dei morti? Magari di persone anziane che si recavano tutti i giorni in chiesa?
Ecco, tutto questo manca e mi sembra che sia un notevole vizio del provvedimento: non riusciamo a capire se il Sindaco di Agnone ha preso queste decisioni soltanto perché gli è sembrato giusto farlo oppure se la decisione è fondata su basi solide.
Queste due osservazioni – la mancata reazione dei Vescovi e la carente motivazione del provvedimento – in qualche modo sono connesse tra loro: se non c’è nessuna reazione a provvedimenti di questo genere, i fedeli sono nelle mani dei Sindaci (o del Presidente del Consiglio a livello nazionale, o del Presidente della Regione a livello regionale), senza alcuna difesa.
Solo una posizione forte, che rivendica l’autonomia della Chiesa, può indurre i vari “Sindaci di Agnone” a stare più attenti prima di prendere certe decisioni.