Messe sì, cinema no. Chi soffia per chiudere le chiese
Il mondo dello spettacolo si lamenta - giustamente - della chiusura di cinema e teatri, ma accanto c'è un kulturame capitanato da Veltroni che rinfaccia al governo l'apertura delle chiese e si chiede «perché le Messe sì e i cinema no». Due cose ontologicamente diverse, eppure si soffia sul fuoco per arrivare a un lockdown delle chiese, alla vigilia della decisione del CTS e facendo leva sul già visto "senso di responsabilità" dei vescovi.
Chi sta soffiando sulle Messe? E’ un terribile sospetto, ma quando le cose si susseguono virali e tutte allo stesso modo, non serve essere complottisti, basta mettere in fila le cose. La domanda che ieri andava per la maggiore sui social e sulle trasmissioni televisive era questa: «Perché i cinema devono chiudere e le Messe invece possono restare aperte?». E’ una domanda provocatoria che cela l’ateismo di fondo di un Paese ormai sganciato dalla fede che lo ha generato, ma è anche un implicito invito al governo a ripensare gli accordi già faticosamente sottoscritti con la Cei il 7 maggio scorso e confermati anche negli ultimi Dpcm del 13 e del 25 ottobre.
Un invito che guarda caso il CTS ha in serbo di analizzare dato che la Bussola è al corrente che il comitato degli esperti non ha ancora sciolto la riserva sull’apertura delle chiese. In settimana infatti, stando a quanto ci ha detto il Prefetto del culto Michele Di Bari dovrebbe esserci un pronunciamento e allora sapremo se anche le Messe dovranno subire una purga o un razionamento nel numero degli accessi o addirittura una limitazione delle celebrazioni.
La verità è che in questo Paese malandato non avrebbero dovuto chiudere neanche i cinema e i teatri perché anzitutto la situazione della pandemia non è così grave come i virologi di regime vogliono convincerci e poi perché è stato ampiamente dimostrato che le politiche di lockdown sono depressive e distruttive anzitutto per l’economia e non portano vantaggi sensibili all'interrompersi ciclico di una epidemia.
Lungi dunque dal pensare che un cinema o un teatro stabile siano attività voluttuarie o secondarie o peggio ancora “non indispensabili”, secondo la logica comunista del ministro Speranza. Però la Messa non può essere paragonata a uno spettacolo teatrale né alla visione di un film. E’ qualcosa di diverso, ontologicamente, e non va mescolato come una attività qualunque da inserire in un comma a caso del Dpcm tra le sale bingo e i maneggi per cavalli.
Eppure, il messaggio che il cinema vale una Messa sta passando.
Il primo a farsene portavoce è stato Walter Veltroni, uno che è stato comunista salvo poi rinnegarlo, ma anche uno che da direttore dell’Unità pensava di risollevare le sorti del quotidiano vendendo videocassette con i classici della cinematografia mondiale, quella di Sinistra of course. La sua è una cultura esclusivamente cinematografica, il suo unico orizzonte è quello della cellulodie, quindi normale per lui chiedersi perché chiudere i cinema. Ma ovviamente quando si è in difficoltà si guarda come in una favola di Esopo al nemico che sta meglio. Risultato: «E’ giusto autorizzare le Messe e sospendere l’attività di cinema e teatri dove non c’è stato alcunché di contagi?», si è chiesto da Fazio domenica sera. E siccome Fazio è uno che le risposte piccate non le dà, Veltroni ha finito il suo intervento con un applauso sospetto del pubblico. Pochi minuti dopo sui social tutti a farsi la stessa domanda. «Perché le Messe sì e i cinema no?».
E il giorno dopo a farsi portavoce di questo interrogativo è stata anche Myrta Merlino all’Aria che Tira (La7) che dal salotto quarantenato di casa, ha chiesto a un funzionario di Polizia perché le Messe si è e i cinema no. Lui, poveretto, figurarsi se poteva rispondere a una domanda del genere, però la giornalista ha spiegato che in fondo la Messa potrebbe anche saltare: «Certo, la Messa è la più antica rappresentazione di tutti i tempi, una replica che non passa mai di moda, però è strano». Replica sa di già visto. Come certe castronerie di presunti maître à penser del politicamente corretto.
Poi ci hanno messo del loro anche gli artisti con i loro appelli. Come Simone Cristicchi che provocatoriamente ha chiesto di andare in chiesa a fare gli spettacoli perché sembra che le chiese siano immuni dal covid.
Tutte queste esternazioni di un kulturame residuale ma dalla voce ancora grossa, sono accomunate da un messaggio di fondo: la Messa è un servizio come un altro, ci si può rinunciare, soprattutto se si è costretti a rinunciare ad altri servizi non meno importanti. Invece no, e sarebbe stato bello che a rispondere alla domanda di Veltroni fosse stato un vescovo. Magari per dirgli che la Messa non potrà mai essere come il cinema perché la Messa è una necessità dato che, come dicevano i primi cristiani perseguitati dai Romani, sine dominica non possumus.
Magari per dire a Veltroni che i cattolici hanno delle motivazioni imprescindibili per le quali la Messa è vita e alla vita non si rinuncia o spiegare a madama Merlino che la replica in questione è una ripetizione di un sacrificio che viene anche oggi a salvarci mentre lei sta sul divano a pontificare. E magari, perché no, chiarire a Cristicchi che in chiesa non si è immuni da virus, ma si mettono in fila le priorità del corpo e dello spirito.
Invece, chissà perché, ma qualcosa ci dice che presto troveremo invece qualche vescovo disposto a “sacrificarsi” e a dare il buon esempio per senso di responsabilità: «Niente cinema? E allora anche noi sospendiamo le Messe». Ricordate? Era il marzo scorso e la Cei si apprestava a chiudere i battenti per senso di responsabilità, non perché lo chiedeva il governo. La facilità con cui si è arrivati al lockdown precedente, in fondo, ci ha abituato a questo e ad altro. Non saremmo affatto stupiti se accadesse di nuovo.