Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
OCCIDENTE

Meno cristiani, più infelici

Suicidi, droghe, depressioni: il mondo post-cristiano è certamente meno felice. Motivo in più per testimoniare il "centuplo" che una vita di fede realizza. Ed è una responsabilità che i cristiani devono vivere sia in privato che in pubblico.

Editoriali 17_06_2018

Come sappiamo, da alcuni secoli molte forze culturali, politiche e sociali si sono impegnate allo spasimo per fare in modo che la presenza cristiana perdesse ogni rilevanza ed ogni influsso nel mondo moderno e postmoderno. Questa battaglia (anche di odio) contro Cristo e la Sua Chiesa continua incessante anche nei nostri giorni. In sintesi, soprattutto il mondo occidentale, nel quale a noi tocca di vivere, ha rifiutato il cristianesimo come punto di riferimento della propria vita, sia nell’ambito privato che in quello sociale. Penso che quanto qui affermato non abbia bisogno di particolari prove e ulteriori considerazioni. Purtroppo, si tratta di una situazione di fatto conclamata.

È dunque lecito chiedersi: ma tutti quelli che hanno contribuito, in vario modo, a questo stato di scristianizzazione (almeno dell’Occidente) sono diventati più felici? Sono più contenti? Hanno più fiducia in un destino positivo? Mi pare che la risposta a queste domande debba essere assolutamente negativa e molti dati anche sociologici portano a constatare come gli uomini e le donne postcristiane siano molto più infelici e sconfortate rispetto a quando, pur tra mille difficoltà ed errori, avevano nel cristianesimo una dottrina ed una esperienza che dava a tutto il popolo speranza e fiducia.

Alcuni dati, per forza di cose sintetici, confermano quanto sopra. Sono in netto aumento in tutta Europa i suicidi, soprattutto nei Paesi che hanno sofferto l’annientamento umano causato dal comunismo reale ed in quelli che normalmente vengono indicati dal pensiero unico come Paesi ideali (mi riferisco agli Stati scandinavi). Evidentemente, non basta maggiore eguaglianza sociale o robusta assistenza sociale a dare più speranza alle persone.

Altro sintomo del dilagare della sfiducia e della disperazione è costituito dall’espandersi costante dell’uso delle droghe, che coinvolge circa un milione di europei. Fatti fuori i princìpi ed i valori portati nel mondo dalla presenza dei cristiani, le persone cercano, inutilmente, la felicità o la serenità perdute in un mondo che, invece, le distrugge.
È in aumento in misura impressionante la nuova piaga della depressione, che molti esperti dicono avere spesso origine nella perdita del senso vero e profondo della vita.

Del resto, le espressioni artistiche contemporanee, sia cinematografiche che letterarie, non fanno che descrivere un uomo senza senso, annoiato, disperato. Prendono atto del fatto che l’ateismo teorico e pratico produce questo stato di cose. Un uomo spezzato, come dimostrano anche le arti figurative.

Quanti hanno voluto cancellare l’esperienza cristiana (peraltro, lo sforzo è vano, perché sappiamo che “le tenebre non prevarranno”) dovrebbero cominciare, se non altro, a fare autocritica. E i cristiani dovrebbero testimoniare, senza complessi e senza paura, che la propria esperienza di verità, di carità e di missione porta con sé l’esperienza del “centuplo”, cioè di una vita più piena perché piena di senso. Questa è la grande responsabilità odierna dei cristiani, che devono viverla sia a livello privato che a livello pubblico. Far sapere a tutti che con Cristo si vive meglio: non vengono meno le difficoltà, ma anche esse hanno un senso.

A questo proposito, il Servo di Dio don Luigi Giussani scriveva a pagina 187 del libro “Una strana compagnia” che «quello che sfonda il limite non è l’eliminazione del limite, è il rapporto con l’infinito che il limite ha. Questo è il dovere di ogni nostro giorno e di ogni nostro momento, di ogni nostra ora, perché la dignità, la dimensione, la statura dell’uomo sta qui». E, nella stessa pagina, parla della “gioia profonda di Pasqua”. Chi ha cercato di distruggere il Cristianesimo lo ha fatto anche perché riteneva che esso costituisse un’esperienza triste e repressiva. È esattamente il contrario. Solo chi fa l’esperienza vera di Cristo può parlare di gioia e di libertà.