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LIBRO

Memorie di Don Margotti, renitente al Risorgimento

Tornano in libreria, curate dalla storica Angela Pellicciari, le memorie di Giacomo Margotti, il prete che resistette alla laicizzazione forzata voluta da Cavour.

Cultura 30_10_2013
Copertina

Gennaio 1856. A Torino un sacerdote-giornalista, caporedattore del quotidiano cattolico «L’Armonia» (sottotitolo: «della religione con la civiltà»), verso le ventuno e trenta esce dalla redazione del giornale per tornare a casa. All’improvviso, nel buio, uno scalpiccio alle sue spalle. Non fa in tempo a voltarsi che qualcosa lo colpisce violentemente alla nuca. Crolla sul selciato, svenuto. Si risveglia l’indomani, con la testa piena di sangue. Chi è questo prete, e perché qualcuno ce l’ha con lui fino al punto di volerlo morto?

Non si sa chi l’abbia aggredito, non si saprà mai. Ma un’idea sui mandanti non è difficile farsela. L’anno prima, Cavour aveva abolito gli ordini religiosi mendicanti e contemplativi, «nullafacenti» secondo l’ideologia dei «modernizzatori» governativi piemontesi. Naturalmente, lo Stato ne aveva incamerato i beni. Nelle more dell’approvazione della legge, i vescovi del Regno avevano offerto una somma di denaro pari a quella che il governo intendeva realizzare. Ma non avevano capito l’intento appunto «modernizzatore» di quelli che intendevano applicare al Piemonte, e poi all’intera Italia, quella rivoluzione giacobina che il Congresso di Vienna, sconfitto Napoleone, aveva interrotto.

Cavour, nel magnificare la legge al Senato, aveva sostenuto che detta legge incontrava il favore dell’«opinione pubblica». Qualcuno gli aveva fatto notare che, al contrario, le chiese erano piene di gente che pregava affinché quella legge non venisse approvata. Il conte aveva replicato che le masse non contavano, visto che solo il due per cento dei regnicoli aveva diritto al voto. E che quel due per cento era l’«opinione pubblica» che a lui importava. Bene, era contro questa politica che si scagliava, con la parola e con lo scritto, quel sacerdote vittima di un attentato.

Si chiamava Giacomo Margotti, nato a San Remo nel 1823 ma vivente da sempre nella capitale sabauda. Il suo giornale, alla faccia del diritto alla libertà di stampa, sancita dall’articolo 28 dello Statuto albertino, era stato più volte sequestrato e multato e sospeso dalle autorità. Ma lui aveva continuato imperterrito la sua battaglia, anche dopo l’agguato. Anzi, alle elezioni del 1857 aveva osato presentarsi come candidato insieme a una nutrita pattuglia di altri preti. Erano stati tutti eletti e il partito cattolico aveva registrato un vero e proprio trionfo alle urne. Ma Cavour, da buon giacobino, aveva annullato la loro elezione, perché i «ludi cartacei» di mussoliniana memoria erano validi solo quando lo diceva lui.

Nel 1861 si tennero le prime elezioni per il Regno d’Italia e, a quel punto, don Margotti non si presentò nemmeno. Era in atto, ormai da tempo, una vera e propria dittatura, ed era inutile perdere tempo con buffonate elettorali. Don Margotti, sulle colonne del suo giornale, disse che i cattolici non sarebbero più stati «né eletti né elettori», uno slogan che i «clericali» fecero proprio, mandando con ciò a quel paese la minoranza dei nuovi padroni e concentrandosi sulla riconquista della società. La formula fu, anzi, recepita a livello ufficiale dalla Chiesa col Non expedit di Pio IX quando i liberali al governo, per fronteggiare l’avanzata socialista, chiesero aiuto proprio ai preti. Adesso arrangiatevi –fu la risposta- perché di voi non c’è da fidarsi. Infatti, i neo-giacobini avevano esiliato, messo in galera, addirittura fucilato a man bassa. Processioni aggredite, vescovi incarcerati per essersi rifiutati (sic!) di intonare il Te Deum per i nuovi padroni, chiese presidiate dai bersaglieri allo scopo di schedare chi entrava, sassate alle finestre del papa.

L’unità politica dell’Italia è stata l’unica al mondo a venire realizzata contro la religione del suo popolo. Un esempio tra i tantissimi: la bandiera dell’Argentina, a indipendenza raggiunta, fu bianco-azzurra (e lo è ancora) per ricordare i colori dell’Immacolata, sotto la cui protezione i patrioti avevano intrapreso la guerra. Don Margotti continuò la sua battaglia fondando nel 1863 l’«Unità cattolica», di cui fu direttore fino alla morte nel 1887. Fece in tempo a vedere l’assalto al corteo funebre di Pio IX (svoltosi di notte appunto per evitare quel che puntualmente accadde: una folla di «liberi pensatori» cercò di gettare nel Tevere la bara; le autorità diedero la colpa alla «provocazione clericale») o i banchetti a base di carne di maiale imbanditi il Venerdì Santo tutt’attorno al Vaticano.

In quello stesso 1863 diede alle stampe il primo dei sei volumi delle Memorie per la storia de’ nostri tempi dal Congresso di Parigi nel 1856 ai nostri giorni, quasi duemilatrecento pagine che coprivano gli anni decisivi dal 1856 al 1866. Vi riportò anche i decreti ministeriali, i dati statistici e quelli economici, i ritratti puntuali e arguti dei principali protagonisti politici, italiani ed europei. Ormai introvabili se non in qualche archivio, oggi le edizioni Ares le hanno ristampate in anastatica in tre fitti tomi curati da Angela Pellicciari, storica del Risorgimento e autrice di diverse opere al riguardo. Milleduecento pagine complessive che valgono la spesa.

Giacomo Margotti, Memorie per la storia de’ nostri tempi. 1856-1866, 3 voll. (ed. Ares)