Meloni vince se la sinistra è debole. Il problema è dentro il governo
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Finora la Meloni vince facile, perché la sinistra è debole e divisa. Nemmeno la piazza per l'Europa l'ha fatta risorgere. Il problema, però, è interno alla coalizione. Dirigenti di FdI che provocano scandali e alleati infidi.

Il governo di Giorgia Meloni si muove su un terreno più accidentato di quanto non appaia a prima vista. Sebbene la tenuta della maggioranza non sembri, almeno per ora, a rischio immediato, le difficoltà si moltiplicano, sia per gli scivoloni interni sia per le tensioni sempre più evidenti tra gli alleati.
La manifestazione di sabato per l’Europa è stata letta da molti come un segnale di rinascita della sinistra, un momento in cui il Partito Democratico e altre forze progressiste e anche centriste sembravano in grado di ritrovare un minimo di unità. Tuttavia, la realtà è più complessa: il Pd è attraversato da un conflitto interno, con una leadership che fatica a imporsi in modo netto, mentre i Cinque Stelle cercano di riposizionarsi per non restare schiacciati nella dinamica imposta da Elly Schlein.
In questo contesto, il centrodestra ha finora tratto vantaggio dalla fragilità altrui, ma questo non significa che non abbia problemi. Alcuni sono evidenti, come la gestione di figure controverse all’interno del governo: dal sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro, finito al centro di un caso giudiziario imbarazzante, dopo aver bocciato in un colloquio con Il Foglio la riforma Nordio, quindi sconfessando l’operato del suo stesso ministro, al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, le cui dichiarazioni spesso provocano più danni che benefici, fino alla ministra del Turismo Daniela Santanchè, il cui ruolo è stato oscurato da vicende giudiziarie e giornalistiche che ne hanno minato la credibilità.
Altri problemi, invece, sono più latenti e riguardano il delicato equilibrio tra gli alleati. Fratelli d’Italia è il partito di maggioranza relativa, ma Forza Italia e Lega non intendono restare a lungo nell’ombra: i segnali di insofferenza emergono sempre più chiaramente, soprattutto sulle questioni di politica estera, dove Matteo Salvini si smarca a più riprese dalla linea atlantista di Meloni, cercando spazi di manovra per recuperare consenso tra gli elettori più scettici verso l’Europa e la Nato. La situazione è resa ancora più complessa dalla presenza di Mario Draghi sulla scena politica, con il suo intervento in Senato per illustrare un documento europeo che molti vedono come un possibile preludio a un suo ritorno in un ruolo di rilievo. La sola presenza dell’ex premier genera scompiglio, soprattutto tra coloro che guardano con preoccupazione a un’eventuale crisi di governo e al possibile tentativo di riproporre governi tecnici in nome dell’instabilità globale. Nel frattempo, lo scenario economico e sociale non aiuta: l’inflazione resta una minaccia, il Pnrr procede a rilento e il malcontento di alcune categorie cresce. Per ora, Meloni tiene il timone con fermezza, forte di un’opposizione divisa e di un consenso personale ancora elevato, ma le nubi all’orizzonte si fanno sempre più scure e non è detto che basterà il caos del centrosinistra a garantire a lungo stabilità.
Il suggerimento che va dato alla premier è proprio quello di non vivacchiare e di non ragionare come i politicanti che preferivano tirare a campare pur di non tirare le cuoia. La realtà è molto più complessa di quanto non appaia e di questo la Meloni si sta evidentemente accorgendo, se è vero che ha di fatto rinunciato, almeno per ora, a portare avanti riforme come il premierato, che potrebbero inimicarle pezzi importanti di establishment. Senza contare le resistenze crescenti alla riforma della giustizia, che invece vede coinvolti con pari intensità e determinazione gli alleati leghisti e azzurri.
Neppure i dati macroeconomici possono indurre ad un ottimismo solido, se è vero che Banca d’Italia parla di debito pubblico in risalita e l’Istat certifica che la produzione industriale non sta affatto crescendo su base annua.
Tutte queste incognite impongono a Meloni di fare una scelta che non ha ancora fatto e che però potrebbe essere decisiva per il suo futuro politico: uscire dalla logica del cerchio magico e puntare ad allargare il suo entourage (ancora troppo ristretto) di collaboratori e persone fidate, includendovi anche figure di più alto profilo, meno targate ideologicamente e di maggiore esperienza politica, quindi in grado di rafforzare la sua squadra. Molti esponenti del governo, anche per gli scivoloni che li hanno visti protagonisti, hanno contribuito a indebolire la reputazione del governo, che invece avrebbe bisogno di un tagliando e di un rilancio. La Meloni temporeggia perché ha paura di muovere alcune pedine per non provocare smottamenti, ma deve osare e non tentennare perché le sfide che attendono lei e il suo esecutivo richiedono una classe dirigente all’altezza.