Meglio Barbarossa dei cinepanettoni
Il film di Martinelli non è piaciuto ai critici, che lo hanno etichettato come pura propaganda leghista, eppure c'è altro, come raccontano gli incassi.
Insomma, il film «Barbarossa» di Renzo Martinelli in Italia non è piaciuto a nessuno. Aldo Grasso sul Corsera gli fa pollice verso. Ben tre gliene fa Mirella Poggialini su «Avvenire». E tutti giù a dire che è un film leghista, che è costato i soldi –buttati- del servizio pubblico, che Raz Degan non sa recitare, che manca il ritmo, l’equilibro narrativo, la qualità…
Insomma, c’è un regista, Enzo Martinelli, che fa film epici e in costume, e che non è pregiudizialmente anticattolico, e non c’è una volta che non gli diano addosso, qualunque cosa faccia. E non importa a nessuno se «Barbarossa» è il film della Rai che ha incassato di più nel mondo. Martinelli: «Vogliamo dire cosa incassano i film della Rai oltre Chiasso? Tra i 100 e i 200 mila euro. Ecco, “Barbarossa” ha fatto sei-sette volte tanto». Dunque, i soldi del servizio pubblico sono rientrati, e alla grande. Di certo, «Barbarossa» avrà incassato di più di «Porzus» o di «Vajont» dello stesso regista. Che però riguardavano vicende strettamente italiche, delle quali all’estero nulla sanno (e, presumibilmente, nulla importa). Ma agli innamorati di Ermanno Olmi e di Pupi Avati e di Liliana Cavani non importa. A loro interessa la «qualità», leggi film intimistici, di quelli due-camere-tinello, sulla coppia in crisi, la famiglia in crisi, l’omosessuale in crisi, il dramma dei trans o dei detenuti o degli immigrati.
Oppure, come insegnano nelle scuole di regia dell’Arci, la «denuncia», la lettura a senso unico di fatti della politica interna italiana, i misteri e i muri di gomma e i servizi deviati, tutta roba per cui, com’è noto, all’estero vanno matti. Il nostro cinema è, infatti, totalmente invendibile all’estero, a meno che non presenti gli italiani-macchietta perfino nei lager nazisti. O mafiosi. All’estero, agli americani soprattutto, piacciono da morire il Medioevo e il Rinascimento italiani, tutta quella roba che spendono fortune per venire a vedere da noi. Ora, Martinelli si è cimentato in un tema del genere, e ancora vi si cimenterà a proposito di Marco d’Aviano e la liberazione di Vienna dai turchi nel 1683. I critici politicamente corretti di casa nostra diranno che si tratta di un film anti-islamico, così come «Barbarossa» è propaganda a Umberto Bossi. Ma questo significa non vedere al di là del proprio naso e, ultimamente, a scoraggiare quei registi che volessero cimentarsi in temi storici di ampio respiro. E’ vero, «Barbarossa» si poteva fare meglio, come no? Tuttavia, se Martinelli, stufo di tutto, si mettesse anche lui a fare cinepanettoni con le farfalline di Belén saremmo tutti più contenti?