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TESTIMONIANZA

Medjugorje, qui è come fare un tuffo nel mare

Qualche pullman corre nella stessa direzione e ne indoviniamo la mèta. Nei pressi di Spalato intravediamo una chiesa con due campanili, quasi un’avvisaglia di quel che ci attende. Procediamo in una piccola compagnia tranquilla, che lascia spazio al dormiveglia e alla lettura. Con noi c’è suor Mariam, delle Suore di Madre Teresa.

Editoriali 01_07_2015
La chiesa di Medjugorje

Qualche pullman corre nella stessa direzione e ne indoviniamo la mèta. Nei pressi di Spalato intravvediamo una chiesa con due campanili, quasi un’avvisaglia di quel che ci attende. Procediamo in una piccola compagnia tranquilla, che lascia spazio al dormiveglia e alla lettura. Con noi c’è suor Mariam, delle Suore di Madre Teresa, che diventa guida naturale alla preghiera. Il tempo non è bello; a tratti il clima incerto e uggioso sa di autunno, in un paesaggio quasi appenninico, da far dimenticare che siamo in Croazia, come andassimo a Collevalenza o da Santa Rita o da Padre Pio.

Il primo impatto con Medjugorje è un tuffo in mare. Veniamo immersi nella preghiera come nell’acqua: ci si bagna, se ne resta impregnati, si impara anche a nuotare. Un uomo inginocchiato sul banco della chiesa prega indifferentemente in italiano e in croato. All’esterno della Chiesa, a destra e a sinistra, filari di persone si confessano da sacerdoti segnalati a seconda della lingua: croato, portoghese, italiano, polacco, spagnolo, tedesco, francese... Le confessioni catturano il tempo e mettono di fronte a un’umanità desiderosa e sofferente, in un flusso continuo di persone riunite a grappoli che si sfaldano e si ricompongono. Un popolo vario e unito come a Pentecoste. Un grande annuncio del Regno, con predicatori di cartello e improvvisati, religiosi e laici. La fede si vede, si tocca, si cammina. Come nell’antica Tebaide egiziana, quando si lasciava la città per andare in luoghi deserti, che diventavano nuovamente abitati. Un’esperienza di esercizi spirituali: silenzio, preghiera, ascolto, sguardo, cammino. Il popolo di Dio rinasce dai sacramenti. Maria rigenera a Dio i suoi figli, come al sorgere del sole tra i rami degli alberi nel fresco limpido dei monti.

Siamo presi dentro la liturgia eucaristica serale, lineare e solenne in una lingua sconosciuta eppure comprensibile nel ritmo dei canti, nella sequenza dei gesti, nella partecipazione delle persone: il coro degli uomini e delle donne a guida di una suora e l’ampio anfiteatro di popolo ai piedi dell’altare rialzato, la grande corona dei sacerdoti, mentre il sole tramonta nel fresco della sera. Cristo risorto è vivo e presente. È la vigilia dell’anniversario della prima apparizione. L’indomani, alla festa di ringraziamento sacerdoti concelebranti, provenienti da tutto il mondo, sono 220. L’adorazione che segue la Messa sulla spianata all’aperto, è intensa senza ostentazione. Silenzio di fronte all’Eucaristia o alla Croce, intervallato da canti a canone e brevi espressioni sussurrati in varie lingue che arrivi finalmente a capire nella limpidezza dell’italiano.

Un clima che evoca antiche serate nel tendone di Taizè, mille anni fa. Sorge il paragone con quello che è rimasto delle grandi feste popolari in onore del patrono nei nostri paesi, con salti e balli e quasi senza preghiera. Qui la festa è Gesù, che compone l’unità del popolo e lo allieta. Sale la musica di chitarra o violino o di canto solista al quale si associano voci dalla folla. Chi sei tu o Cristo che trattieni davanti a te tanta gente? Medjugorje è un luogo dove anche i preti pregano e credono. I laici dicono: «Perché qui alla preghiera non mi annoio, anche se non capisco quasi le parole?».

La salita da stazione a stazione nella Via Crucis sul monte è accompagnata dal libretto di Santa Faustina Kowalska, che parla con Gesù e lo fa parlare cuore a cuore. Incrociamo gruppi e gruppetti: famigliole; un gruppo numeroso si scambia l’abbraccio di pace dopo la stazione della morte di Cristo; qualcuno procede scalzo sul cammino di sassi sconnessi come le nostre difese a mare e aspri come la lingua croata, levigati dai passi dei pellegrini. Dopo la preghiera davanti alla bianca croce in vetta, alta parecchi metri, fiorisce tra noi un dialogo intenso: la preghiera, la vita, la crisi, la difficoltà, Cristo riconosciuto e seguito, la compagnia nella fede… Nella discesa, a una svolta, quasi nascosta da una siepe, la vecchierella della quale un amico esperto di viaggi a Medjugorje ci aveva parlato, sembra lì ad attenderci, con i rosari a due colori, cordiale e senza pretese, e un abbraccio per tutti.

La fede trabocca in strada. Nei negozi sovrabbondanti di statuine della Madonna e di ricordi, nella preghiera che percorre vie e sentieri, nella Chiesa e nella cappella dell’adorazione, nelle comunioni e nei silenzi. Si può rimanere a meditare e pregare per ore, accanto a centinaia di persone eppure ciascuno personalmente di fronte a Cristo. Un polmone di grazia che dà respiro alla Chiesa; una sorgente da raccogliere e far scorrere nella vita delle nostre comunità. La carità invade le periferie del paese: comunità di accoglienza per giovani e di ospitalità per bambini; carismi fioriti sul ceppo principale; iniziative di nuove forme di consacrazione e di preghiera.

I veggenti? Al termine della Messa tre signori – due uomini e una donna – della cui identità mi rendo conto solo il secondo giorno, si accostano al leggio accanto all’altare e pregano il Magnificat. Non avvertiamo messaggi o commenti, anche se un’omelia richiama con forte accentuazione il carisma di Medjugorje. Al mattino del giorno della partenza, in chiesa e sul piazzale tratteniamo in un ultimo sguardo l’Eucaristia e la statua di Maria.