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sanità

Medici senza titolo, la scelta del Veneto apre a gravi conseguenze

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Per risolvere il problema della carenza di medici la Giunta regionale del Veneto autorizzerà l’assunzione di medici con titoli di specializzazione conseguiti all’estero e non ancora riconosciuti in Italia. Una decisione grave che elude il problema: la fuga di camici che in Italia in dieci anni ha visto 11 mila medici lasciare il Paese. 

Attualità 06_08_2025

È sotto gli occhi di tutti la grave carenza di medici, sia sul territorio che negli ospedali e nelle RSA. I medici di base sono sempre meno, e nei piccoli centri è spesso difficile che i pensionamenti vengano rimpiazzati con nuove figure.

Per risolvere il problema della carenza di medici la Giunta regionale del Veneto, di Centrodestra, ma che sempre più appare come una sorta di laboratorio politico per l’elaborazione di un nuovo tipo di Centrodestra, fortemente laicista e liberal, ha accolto la proposta dell’Assessore alla Sanità Manuela Lanzarin, anche lei della Lega, di autorizzare l’assunzione di medici con titoli di specializzazione conseguiti all’estero e non ancora riconosciuti in Italia.

Non stupisce che a prendere questa decisione sia la Regione Veneto guidata da Luca Zaia, un personaggio non nuovo a interventi in materia sanitaria quanto meno discutibili, dai tempi della pandemia dove scelse un proprio consulente personale nella figura del microbiologo e studioso di parassitologia Andrea Crisanti, attualmente Senatore del Pd, fino alla proposta di legge regionale sul suicidio assistito, da lui sostenuta.

La soluzione del problema della carenza di personale medico sarebbe quindi importarli dall’estero, così come è accaduto negli anni scorsi con il personale infermieristico.

Consentire l’inserimento nei reparti ospedalieri o nella medicina territoriale di figure non accreditate secondo tali criteri pone gravi interrogativi in merito alla qualità delle cure erogate, alla sicurezza dei pazienti, alla responsabilità medico-legale, alla tutela del personale sanitario italiano che ha seguito iter rigorosi e spesso selettivi, e infine all’equità nell’accesso al lavoro pubblico.

La Federazione degli Ordini dei Medici e anche i sindacati hanno emesso dei blandi comunicati in merito alla decisione presa a Venezia, che potrebbe essere seguita anche da altre regioni.

L’unica voce decisamente di protesta è stata quella del sindacato ContiamoCi, presieduto dal dottor Dario Giacomini, che ha sottolineato in un suo comunicato stampa che «il riconoscimento dei titoli professionali sanitari esteri non è una mera formalità amministrativa, ma un passaggio essenziale volto a verificare l’equivalenza formativa, l’adeguatezza delle competenze cliniche e il rispetto degli standard europei e nazionali in materia di salute pubblica».

«Pur comprendendo la necessità di garantire la continuità dei servizi di emergenza-urgenza in un contesto di carenza di personale – prosegue il comunicato di ContiamoCi - siamo di fronte a un provvedimento che, pur richiamando formalmente l’art. 15 del DL 34/2023 (convertito in L. 56/2023), deroga nei fatti agli standard formativi previsti dal nostro ordinamento, affidando la selezione di personale medico a criteri soggettivi e non sufficientemente garantisti, in assenza di un previo riconoscimento ufficiale dei titoli da parte dello Stato italiano».

Questo tipo di tentativo di affrontare la carenza di medici ricorrendo ad una forma di “esternalizzazione deregolata” con conseguente precarizzazione dell’assistenza sanitaria, elude le vere cause del problema, come la totale incapacità di programmazione.

Il numero chiuso in vigore da molti anni nelle Facoltà di Medicina è stato uno dei fattori che hanno portato all’attuale carestia di medici. Eppure ancora un anno fa (e la Bussola ne aveva parlato) uno dei principali sindacati di medici ospedalieri, l’Anaao, aveva vibrantemente protestato contro l’abolizione del numero chiuso voluta dal Ministro Schillaci, lanciando un allarme sull’eccessiva crescita del numero di medici che tale provvedimento avrebbe determinato. In realtà le cifre ci dicono che l'Italia si prepara ad affrontare una ondata di pensionamenti tra i medici nel prossimo decennio, senza contare i neolaureati che decidono di andare a lavorare in altri Paesi che offrono ai medici migliori opportunità. Secondo i dati elaborati dalla Corte dei Conti su dati OCSE 2019, il numero dei medici che ha lasciato l’Italia fra il 2008 e il 2018 ammonta a 11 mila.

Il problema, quindi non è tanto quello dell’importazione di medici, ma anche e soprattutto di evitare la fuga dei giovani professionisti, avere più attenzione alle loro condizioni di lavoro, e anche alla loro distribuzione e la tipologia di specializzazione. Ripristinando adeguate dotazioni organiche possiamo migliorare anche la qualità del lavoro e rispondere più efficacemente ai bisogni di cura e salute della popolazione.