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SCUOLA

Maturità, tracce senza speranza

Da Ungaretti a A. Wharol, i temi proposti ai ragazzi riflettono un'ideologia nichilista in cui non c'è nessun punto di riferimento ideale.

Attualità 23_06_2011
Maturità
Prima di entrare nel merito degli argomenti assegnati nella prima prova (il “tema”) dell’esame di stato (maturità), tengo a precisare che sono ampiamente favorevole alla permanenza di questo tipo di prova (il tema, appunto), unica che consenta di collaudare la capacità dello studente nel sintetizzare le conoscenze apprese (in primis quelle nell’uso della lingua scritta) e la sua abilità nel rendere evidente al lettore quel che intende dire, senza equivoci e ambiguità. Non intendo in questa sede trattare la fattibilità o meno di questi temi: uno studente ben guidato e che abbia fatto sufficiente esercizio nel corso dei cinque anni del liceo, può affrontare questi come altri temi.

Per entrare nel merito, mi pare più interessante tentare una valutazione delle tracce proposte in chiave educativa e, più generalmente, culturale, chiedendomi se esse, anche al di là delle intenzioni dei proponenti, possano rivelare, come una spia sintomatica, una condizione della temperie culturale che le ha fatte esprimere. Da questo punto di vista osservo che sull’insieme delle tracce proposte aleggiano alcune delle tendenze macroscopiche della società in cui viviamo (e, dal punto di vista sociologico, è normale che sia così): dubbi sulla reale positività delle conquiste scientifiche, incertezza sulla natura umana e il suo rapporto con la realtà, mancanza di punti di riferimento non provvisori, insomma l’ormai onnipresente e pervasiva (e distruttiva, dal punto di vista educativo) visione immanentistica, senza scatti ideali, data l’assenza di visione soprannaturale.

Scendendo nei dettagli, fin dalla poesia di Ungaretti intitolata alla città dei suoi genitori e dei suoi avi (Lucca), scritta nel 1919, anche se successivamente rivista dall’autore, traspare una visione piuttosto riduttiva e, a mio parere, sconsolata, della vita umana, anche se la vicenda umana e poetica di Ungaretti autorizzano chiavi di lettura più positive. Ma è nelle tracce successive che meglio si nota un filo rosso vagamente nichilista (ripeto, al di là delle intenzioni dei proponenti). Si parte con una serie di brani che dovrebbero illustrare il tema “Amore, odio e passione”, ma trattano solo della patologia dell’amore, fino al delitto: tema, certamente di grande attualità mediatica, ma lontano anni luce dalla realtà dell’amore come dono, e si arriva a dover commentare questa frase di A.Wharol “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”, chiedendo esplicitamente di “analizzare il valore assegnato alla fama (effimera o meno) nella società odierna” e di riflettere “sul concetto di fama proposta dall’industria televisiva”.

In mezzo leggiamo brani che insistono sui concetti di “destra” e “sinistra”, che, al di là della trattazione storica più che pertinente, ribadiscono un luogo comune che, in chiave politica, non chiarisce nulla, ma che, al contrario, contribuisce fortemente a mantenere la confusione e si presta alle peggiori manipolazioni; un brano che citando il “secolo breve” di Hobsbawm, sottolinea che “l’ultima parte del secolo (XX) è stata una nuova epoca di incertezza, di decomposizione e di crisi” e si chiede di soffermarsi sugli anni ’70, gli anni di piombo; altri brani che , sotto l’intitolazione “Siamo quello che mangiamo?” (nella speranza che non si tratti di una domanda retorica), si leggono frasi come “Commettiamo troppi peccati di gola, trascuriamo la dieta mediterranea...”, oppure “l’attuale sistema di produzione alimentare è fallimentare” o anche ”Scambiare il prezzo del cibo con il suo valore ci ha distrutto l’anima.”

Per concludere questa rassegna, si citano brani di E. Fermi, che in questo momento di deriva antinuclearista, gettano benzina sul fuoco dell’emotivismo, perché vi si leggono timori (divenuti realtà con la Guerra fredda) sul futuro delle scoperte sue degli altri scienziati atomici e dubbi sulla probità e sulla lealtà degli “addetti ai lavori” in campo scientifico. Insomma, cieli plumbei e speranze poche. Chissà che cosa ne pensano gli studenti chiamati a dire la loro?