Matrimoni gay, il Pd imbroglia
Nel presentare la loro proposta di legge sui matrimoni omosex, i senatori del Pd hanno manipolato le parole della Corte Costituzionale. Ecco cosa ha veramente detto la Consulta.....
La Corte Costituzionale con sentenza 15 aprile 2010 n. 138 ha dichiarato inammissibile il ricorso del Tribunale di Venezia, che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale sugli articoli del Codice Civile "nelle parti in cui sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso".
In Commissione Giustizia del Senato, in data odierna (10 dicembre 2013), il senatore Lo Giudice (PD) ed altri colleghi di quel partito hanno sostenuto, parlando della loro proposta di legge per introdurre nel nostro ordinamento il matrimonio gay, che la Corte Costituzionale con la sua sentenza ha delegato al legislatore ordinario questa possibilità.
Non c'è nulla di più falso e infondato.
Trascrivo integralmente la sentenza della Corte Costituzionale nella parte più pregnante e significativa:
"9. — La questione sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost. non è fondata.
Occorre prendere le mosse, per ragioni di ordine logico, da quest’ultima disposizione. Essa stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».
La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere).
Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata.
Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.
Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad un’interpretazione creativa.
Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto.
Non è casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale.
In questo quadro, con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che, per quanto sopra detto, contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna, non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio."
Davanti a motivazioni così chiare e indiscutibili "il precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica, perchè non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad una interpretazione creativa".
La sinistra deve smetterla di imbrogliare le carte della Corte e se vuole introdurre nel nostro ordinamento il matrimonio gay presenti e faccia approvare dal Parlamento un disegno di legge Costituzionale per modificare l'art. 29 della Costituzione attualmente in vigore.
* Senatore della Repubblica