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ORA DI DOTTRINA / 106 – Il supplemento

Martino V e la questione del Papa legittimo

Primo Papa unico dopo il Grande Scisma, Martino V dovette affrontare le agitazioni dei seguaci di Wyclif e Hus. E con la bolla Inter cunctas definì alcune fondamentali questioni della dottrina relativa al successore di Pietro.

Catechismo 03_03_2024

Martino V (1369-1431) fu il papa finalmente unico, dopo quarant'anni di scisma. Eletto durante il Concilio di Costanza, l'11 novembre 1417, riuscì a governare la Chiesa per un tempo relativamente lungo (13 anni). Oddone Colonna, questo il suo nome di battesimo, aveva erroneamente sostenuto la legittimità di Giovanni XXIII (vedi qui), del quale si considerava successore.

C'è un aspetto di questo pontificato, che merita di essere portato alla luce. Martino dovette porre mano alle agitazioni alimentate da John Wyclif († 1384) e Jan Hus (ca 1371-1415). Il primo, originario dello Yorkshire, insegnante all'Università di Oxford, si fece alfiere di un movimento antipapale inglese, tanto più che si era nell’epoca dei papi avignonesi, papi cioè provenienti da e residenti nella nemica Francia. Scrisse numerosi testi teologici e raccolse attorno a sé un nutrito gruppo di predicatori popolari, i famosi lollardi. Il secondo, boemo, subì l'influenza di Wyclif e in sostanza ne abbracciò le posizioni ereticali. Sia i lollardi che gli ussiti ebbero grande diffusione nei paesi di origine dei due “fondatori”.

Più nello specifico, entrambi erravano soprattutto riguardo alla natura della Chiesa e ai diritti e alle prerogative del papa. La loro sottolineatura sull'importanza della pietà personale dei ministri di Dio si spinse fino ad identificare la Chiesa con la comunità di coloro che vivevano ispirati a questa pietà. Essi sostenevano pertanto che la Chiesa non fosse quella visibile, che appariva corrotta e divisa, ma quella invisibile; e che pertanto, a dover essere riconosciuti come membri della Chiesa, non erano quanti erano annoverati tra il clero, e nemmeno quanti vi appartenevano giuridicamente e formalmente, ma esclusivamente i “veri fedeli”, conosciuti solo da Dio. Mettevano in discussione la validità delle scomuniche comminate dai pontefici, la loro autorità, l'estensione del potere di legare e sciogliere, così come il fatto che il papa era il successore dell'apostolo Pietro. Per questa insufficiente comprensione della natura della Chiesa, essi ritenevano che fosse sufficiente la sola ordinazione per poter amministrare i sacramenti, inclusa la facoltà di assolvere: non era necessario alcun mandato o giurisdizione e, pertanto, nessuno poteva impedire lo svolgimento del ministero, nemmeno con sanzioni. Altri errori riguardavano le indulgenze, l'Eucaristia e il Purgatorio, e vennero tutti condannati al Concilio di Costanza.

Quando Oddone divenne papa, sia Wyclif che Hus erano già morti, ma il loro movimento imperversava in Europa. Martino V decise allora di emanare una bolla, la Inter cunctas (22 febbraio 1418), indirizzata ai vescovi e agli inquisitori, con una lista di domande da porre ai sospetti seguaci dei due contestatori, per verificare se credessero rettamente, secondo la fede cattolica. Tra le quasi 40 domande, troviamo anche la seguente: «se crede che il papa canonicamente eletto, per tutto il tempo in cui è in carica, una volta scelto il proprio nome, è il successore del beato Pietro e possiede la suprema autorità nella chiesa di Dio» (Denz. 1264). Qualche precisazione alla traduzione italiana. L'espressione pro tempo fuerit sottolinea proprio quel papa che, eletto legittimamente, è in carica – potremmo tradurre: il papa del momento – e che ha espresso il proprio nome (eius nomine proprio expresso). Dunque, il papa la cui legittima elezione è stata riconosciuta, che ha accettato l'incarico, esprimendo questa accettazione con l'autoimposizione del nome.

Perché Martino V aveva inserito questa domanda nella bolla? Perché lollardi e ussiti sostenevano che un papa era legittimo alla condizione che sarebbe stato accettato anche da loro. Martino V invece esigeva che essi riconoscessero come papa colui che era stato legittimamente eletto e riconosciuto come tale dalla Chiesa. Dunque, il rifiuto di tale papa riconosciuto dalla Chiesa universale costituisce, per Martino V, non solo un problema disciplinare, ma dottrinale.

Avremo modo di vedere più da vicino quella che viene chiamata la dottrina dell'accettazione pacifica e universale del papa. Per ora, soffermiamoci ancora un attimo sul contesto storico. Abbiamo detto che Martino V emergeva da un contesto pluridecennale di incertezza su chi fosse realmente il papa legittimo. A questo occorre aggiungere che non erano stati pochi i pontefici indegni o comunque assai problematici, sia in un arco temprale prossimo a quello del Grande Scisma come anche quello più remoto (vi abbiamo dedicato numerosi capitoli in questa rubrica domenicale). Si potrebbe dunque comprensibilmente ritenere che il buon senso avrebbe voluto che, alla luce dei precedenti storici, Martino V lasciasse con indulgenza qualche margine di dubbio in più sulla legittimità di un pontefice; e invece accadde il contrario, tra l'altro proprio da parte di quel pontefice che si considerava successore di quello che in realtà risulterà essere un antipapa.

Secondo aspetto importante che emerge dal contesto storico: l'elezione di Martino V, a differenza di quella dei papi e degli antipapi dei quarant'anni precedenti, era stata riconosciuta da tutta la Chiesa. Tuttavia, permanevano dei gruppi, come appunto quelli dei lollardi e degli ussiti, che invece continuavano a contestare non solo la dottrina sul papato, ma anche che Martino V fosse effettivamente il papa. Il punto colto dalla Inter cunctas è di estrema importanza: per l'integrità della fede cattolica non è sufficiente, sebbene sia necessario, credere che il vescovo di Roma è il successore dell'apostolo Pietro e ne eredita le prerogative di legare e sciogliere, di essere il fondamento della Chiesa, di possedere l'autorità suprema, eccetera. Occorre anche riconoscere che quel papa legittimamente eletto, che porta quel preciso nome che lo identifica, è concretamente e attualmente il successore di Pietro. Se questo secondo aspetto non fosse necessario, si potrebbero verificare due situazioni molto gravi: che l'assenso ad una dottrina corretta non abbia però alcuna conseguenza reale (il papa è realmente come lo definisce la Chiesa, ma non è possibile sapere chi sia e se ci sia); che si confessi l'apostolicità della Chiesa, principalmente nella successione ininterrotta della Sede Romana, mentre si afferma però che la Sede è vacante, fino a quando il proprio giudizio personale o di un gruppo, anche vasto, di persone non stabilisca diversamente.

Martino V, di fronte ai wycliffiti e agli ussiti, intendeva blindare la fede cattolica su entrambi i versanti: la dottrina relativa al successore di Pietro si deve tradurre nella concreta accettazione del papa legittimamente eletto, così come il giudizio su chi sia o non sia il papa non può essere determinato da un gruppo di fedeli e/o sacerdoti, ma dall'accettazione universale della Chiesa nella sua totalità morale (non numerica, che non esisteva nemmeno ai tempi di Martino V). Se così non fosse, si aprirebbero degli scenari per cui la Chiesa universale potrebbe cadere in errore su un aspetto fondamentale per la fede. Ma di questo parleremo la prossima volta.



ORA DI DOTTRINA 105 / Il supplemento

Baldassarre Cossa, ovvero: l’enigma Giovanni XXIII

25_02_2024 Luisella Scrosati

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