Marò, che soddisfazione: il processo si farà in Italia
La giurisdizione sul “Caso marò” spetta all'Italia. L’attesa decisione della Corte arbitrale dell'Aja segna una svolta nella vicenda iniziata 8 anni fa dando ragione all'Italia. I giudici hanno riconosciuto "l'immunità" dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in relazione ai fatti accaduti il 15 febbraio 2012
La giurisdizione sul “Caso marò” spetta all'Italia. L’attesa decisione della Corte arbitrale dell'Aja segna una svolta nella vicenda iniziata 8 anni fa dando ragione all'Italia. I giudici hanno riconosciuto "l'immunità" dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone in relazione ai fatti accaduti il 15 febbraio 2012 e all'India viene pertanto precluso l'esercizio della propria giurisdizione nei loro confronti. Il Tribunale ha riconosciuto che i militari erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nell'esercizio delle loro funzioni e la giurisdizione per eventuali indagini e processi sul caso spetta all'Italia.
La Farnesina ha reso nota la notizia con un comunicato dopo la pubblicazione del dispositivo della sentenza da parte del Tribunale costituito a L'Aja il 6 novembre 2015 presso la Corte Permanente di Arbitrato. L’obiettivo della Corte era dirimere la controversia tra Italia e India sul caso dell'incidente occorso il 15 febbraio 2012 nell'Oceano Indiano alla nave Enrica Lexie, battente bandiera italiana, per il quale New Delhi intendeva processare Latorre e Girone, che con altri quattro commilitoni erano di scorta a bordo del mercantile, accusandoli di aver ucciso due pescatori creduti erroneamente pirati.
Anche l’India canta vittoria sui media e con una nota del ministero degli Esteri afferma che, secondo i giudici, l'Italia ha violato la libertà di navigazione sancita dagli articoli 87 e 90 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982. Su questa base l'India dovrà essere risarcita per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all'imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e altri membri dell'equipaggio del peschereccio Saint Anthony. La responsabilità dei militari italiani nella morte dei due indiani è ancora tutta da dimostrare, ma Roma pagò sette anni or sono indennizzi ai famigliari delle vittime come “gesto di buona volontà” pur senza alcuna ammissione di colpa.
Latorre e Girone hanno fatto ritorno in patria dall'India, rispettivamente, il 13 settembre 2014 e il 28 maggio 2016 e il Tribunale Arbitrale era chiamato a pronunciarsi sull'attribuzione della giurisdizione, e non sul merito dei fatti occorsi il 15 febbraio 2012. Italia e India si erano di conseguenza impegnate a esercitare la giurisdizione una volta attribuita a una delle due Parti. L'Italia, prosegue la nota della Farnesina, è pronta ad adempiere a quanto stabilito dal Tribunale arbitrale, con spirito di collaborazione. La Farnesina sottolinea che la decisione del Tribunale arbitrale lascia impregiudicato l'accertamento relativo ai fatti e al diritto per quel che concerne il procedimento penale che dovrà svolgersi in Italia.
La notizia della sentenza rappresenta un successo per l’Italia che, paradossalmente, proprio in questi giorni è ai ferri corti con l’Egitto per il “Caso Regeni” in cui la Procura di Roma ha la pretesa di convocare, interrogare e processare in Italia alcuni alti funzionari dei servizi di sicurezza egiziani sospettati di essere coinvolti nella tortura e nell’omicidio del giovane italiano. Il secco e prevedibile rifiuto del Cairo a consegnare o anche solo a fornire informazioni circa i propri funzionari dell’intelligence interno ha sollevato polemiche e la stessa Farnesina sembra voler prendere in esame contromisure nei confronti dell’Egitto. C’è chi invoca il richiamo dell’ambasciatore e chi lo stop alla vendita alla Marina del Cairo delle due fregate lanciamissili Fremm, peraltro già approvata l’11 giugno dal governo. Misure che appaiono inappropriate e persino controproducenti: la prima è già stata attuata in passato rivelandosi inconcludente mentre la seconda priverebbe Roma della sua residua influenza in Nord Africa e le aziende italiane di importanti contratti nel ricco mercato arabo proprio nel momento di maggiore crisi per la nostra economia.
Dopo aver contrastato per anni la propaganda giustizialista indiana che definiva Latorre e Girone “italian marines killer” è quanto meno curioso che il governo italiano ripercorra la strada a lungo contestata a Nuova Delhi. Si può pretendere la verità sulla morte di Giulio Regeni senza dimenticare che militari e funzionari dello Stato non possono venire giudicati per quanto fatto in servizio da tribunali stranieri, al di là dello Stato di appartenenza e al di là del crimine di cui vengono accusati.