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MORTE DEL PREMIO NOBEL

Mario Vargas Llosa, lo scrittore che non t'aspetti

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Morto Mario Vargas Llosa, scrittore premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Nato nel 1936, era “l’intellettuale che non ti aspetti”, anticomunista e per la libertà in un continente di rivoluzionari.

Cultura 15_04_2025
Mario Vargas Llosa parla alla folla in Perù nel 1987 (La Presse)

Domenica 13 aprile, a Lima, capitale del Perù, è morto Mario Vargas Llosa, scrittore premio Nobel per la Letteratura nel 2010. Nato nel 1936, era “l’intellettuale che non ti aspetti” in un continente come quello latino-americano che nel Novecento ha sfornato solo pensatori rivoluzionari, collettivisti e comunisti. Per Vargas Llosa il paradiso in terra era la via maestra per arrivare all’Inferno e coerentemente, dopo una prima infatuazione per le idee marxiste, le ha combattute nella sua letteratura e soprattutto nella sua attività politica.

I critici letterari si dividono su quale sia il suo capolavoro. Il più citato è La guerra della fine del mondo, ambientato durante il piccolo e misconosciuto conflitto interno al Brasile combattuto nel 1896-97 contro una comunità religiosa che rifiutava l’autorità brasiliana. Dal primo romanzo, autobiografico, La città e i cani, si schierò contro gli abusi del potere. In conflitto con il padre, che lo spedì a studiare in un collegio militare, maturò le sue idee di ribellione, inizialmente sposando la causa rivoluzionaria. Come traspare nel suo libro più politico di gioventù, Conversazioni nella Cattedrale (la Cattedrale è il nome del bar in cui si incontrano i personaggi del romanzo), una riflessione sul Perù sotto dittatura. E sempre sulla dittatura, la rivoluzione e le loro conseguenze è il più recente La festa del caprone, sulla fine della dittatura del generale Trujillo nella Repubblica Dominicana.

Cambiò ben presto idea sulla rivoluzione, soprattutto dopo la repressione di Fidel Castro. Nel 1966 incontrò il dittatore e dopo una lunghissima conversazione a quattr’occhi, questi ammise i suoi abusi di potere e le violenze contro gli oppositori. Vargas Llosa ruppe anche personalmente la sua amicizia con Gabriel Garcia Marquez, intellettuale che rimase fedele alla causa castrista. I due arrivarono fisicamente alle mani, non spiegarono mai i motivi della lite, ma la politica sicuramente li divise per decenni. Intellettualmente parlando abbandonò il filosofo esistenzialista francese Jean Paul Sartre: «Ho cambiato idea rispetto a Sartre che era uno dei pensatori che più ammiravo da giovane. È stato il mio mentore, in un certo senso. Ciononostante, c’è qualcosa in Sartre, nella sua idea di impegno, con cui non mi trovo d’accordo».

Nel marzo del 2007, prima di vincere il Nobel per la letteratura, invitato a Milano dall’Istituto Bruno Leoni, aveva spiegato la sua disillusione sul “paradiso in terra” promesso dai rivoluzionari: «Il problema è quando vogliamo creare delle utopie collettive, quando intendiamo costruire una società perfetta per tutti. Questo è impossibile, perché ogni essere umano è diverso dagli altri. Ciò che può far sognare una persona, per un’altra è disgustoso. Nella storia, molti partiti hanno cercato di creare delle utopie collettiviste. Per tutti il risultato è stato sempre la violenza più atroce, lo sterminio, la discriminazione». Non si trattava di mera disillusione, Vargas Llosa non ha mai smesso di sperare. Ma la speranza è nella buona vita personale, non nella creazione di modelli collettivi in cui tutti devono per forza calzare.

Mario Vargas Llosa ha sempre nuotato controcorrente, anche nei momenti più difficili. Nel 1988 era sceso in politica e due anni dopo, con una sua lista liberale aveva sfidato il populista Alberto Fujimori. Perse le elezioni, anche il Perù perse ben presto la sua democrazia: nel 1992, con un colpo di Stato, Fujimori divenne dittatore e Vargas Llosa andò in esilio in Spagna, prendendo la cittadinanza l’anno successivo.

Battendosi sempre per la libertà da ogni forma di tirannia, sfidò l’opinione pubblica intellettuale con battaglie controcorrente. Per esempio, si oppose alle dure restrizioni imposte dai governi europei e sudamericani durante la pandemia di Covid. Nel suo manifesto Come impedire che la pandemia diventi un pretesto per l’autoritarismo, disse, fra l’altro: «Alcuni governi hanno individuato una opportunità per arrogarsi un potere smisurato. Hanno sospeso lo Stato di diritto e, persino, la democrazia rappresentativa e il sistema giudiziario. Nelle dittature di Venezuela, Cuba e Nicaragua la pandemia serve come pretesto per aumentare la persecuzione politica e l’oppressione. In Spagna e in Argentina dirigenti con un marcato pregiudizio ideologico cercano di utilizzare le dure circostanze per accaparrare prerogative politiche e economiche che in un altro contesto la cittadinanza gli rifiuterebbe risolutamente». In generale, «Vogliamo affermare con forza che questa crisi non deve essere affrontata sacrificando i diritti e le libertà che è costato molto raggiungere. Respingiamo il falso dilemma che queste circostanze ci costringano a scegliere tra l’autoritarismo e l’insicurezza, tra l’Orco Filantropico e la morte».

Negli ultimi anni si era battuto anche contro l’ondata di isteria moralista woke, contro la riscrittura della storia e della letteratura («Se si inizia a giudicare la letteratura in termini di morale ed etica, essa non verrebbe solo decimata, ma scomparirebbe») contro quel politicamente corretto che definiva «nemico della libertà che dobbiamo combattere in quanto distorsione della verità».