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DROGHE

Marijuana libera Il fumo di Saviano è davvero tossico

A Roberto Saviano, genio esausto della letteratura italiana (un solo libro buono), dovrebbero concedere il Nobel dell’economia. Se non proprio quello, almeno assegnargli un’onorificenza al merito, un cavalierato ad hoc o  una targa del Rotary Club. Motivo? Lui sa come lo Stato può battere la criminalità e fare affari.

Editoriali 13_02_2015
Roberto Saviano

A Roberto Saviano, genio della letteratura italiana esploso e spentosi subito dopo aver dato alla luce la sua prima e ultima opera, dovrebbero concedere l’Oscar dell’economia. Se non proprio quello, almeno un’onorificenza al merito, un cavalierato ad hoc o al minimo una targa del Rotary Club. Motivo? Il gomorrista Saviano ha finalmente capito come lo Stato può debellare la criminalità e vivere felice e contento. Di più: come abbattere gli imperi dei narcotrafficanti mondiali e beccarsi l’intero malloppo, da impiegare magari all’assistenza di anziani e malati.

Come? Semplice, basta abolire il reato, legalizzare le raffinerie di cocaina che sono il core business delle mafie mondiali, nazionalizzarle e farle diventare aziende di Stato. In base al semplice principio che fatta-la-legge-trovato-l’inganno, basterà dunque cancellare la legge che pure l’inganno sparirà. Ad esempio, se il reato di furto fosse abolito, i ladri resterebbero senza lavoro e le prigioni non sarebbero così sovraffollate. Ecco l’uovo di Saviano, mica robetta da poco, anche se la cosa è stata covata a lungo e rifrittata in tutte le salse. Ma ora, annuncia trionfante su Repubblica, ci sono pure le cifre che lo dimostrano.

La tesi di Roby-Nobel è questa: le narcomafie fanno affari miliardari con la droga, ammazzanosequestrano, prosperano e dominano le economie di intere nazioni (come il Messico) perché sono in qualche modo sostenute dal proibizionismo degli Stati. Vecchia panzana, sostenuta in modo bipartisan sia dai turboliberlisti discepoli di Milton Friedman, sia dalla sinistra statalista e radicale. Che hanno festeggiato quando alcuni Stati americani, Colorado e Washington) hanno deciso di liberalizzare la coltivazione della cannabis, togliendo così l’esclusiva ai cartelli messicani e intascando i relativi guadagni. Ecco i dati che Saviano sbandiera con tanto entusiasmo nelle due paginate su Repubblica: la riduzione del traffico di erba nel 2014 è stata del 24% rispetto al 2011. Mentre i due Stati liberalizzatori hanno incassato ben 800 milioni provenienti dalle tasse sulla vendita.

Insomma, i campi di cannabis in Colorado e Washington hanno messo in crisi le gang criminali a sud del Rio Grande e reso tutti più felici e contenti: i frichettoni fumatori di spinelli made in Usa, i governatori e i loro contribuenti. Milioni di dollari raccolti sui campi che convinceranno altri Stati alla legalizzazione: Alaska, Oregon, Florida e Washington D.C. sono sul punto di farlo. Ma occhio alla savianata: a calare del 24 per cento non è il consumo della droga, ma solo il traffico e quindi il fatturato degli affari dei trafficanti messicani. A totale beneficio dei nuovi narco Stati americani. 

Non solo il tuttologo repubblichino ciurla nelle cifre, ma non gli importa un fico secco capire se la marijuana abbia o meno qualche effetto sui neuroni della gioventù americana, o se è accettabile che lo Stato faccia la cresta sullo spaccio di sostanze velenose, peggio del tabacco e dell’alcol. Per la penna più veloce di Gomorra, questa è roba vecchia, roba da proibizionisti imbecilli e oscurantisti.  Dunque, dice Saviano, «è il momento di porre il tema della legalizzazione come battaglia di legalità e contrasto all’economia criminale e sottrarlo al seppur necessario e controverso dibattito morale».  

Chiaro che per il nostro mancato Nobel, l’aggettivo criminale è soltanto una variabile dipendente e che lo Stato ha il potere taumaturgico di rendere immacolati anche i panni più sporchi: basta che sia pubblica la vendita degli stracci è tutto diventa lindo e profumato. Statalismo ottocentesco con l’aggiunta del cinismo come principio attivo: questa la formula magica del romanziere di Casal di Principe. Ecco dove si arriva quando la realtà viene savianescamente “sottratta” al “controverso dibattito morale”. 

Non solo cinico, Saviano è pure baro. Nelle due pagine su Repubblica, il profeta della nuova beat generation di Stato, cancella alcune cosette che annullano la sua equazione sullo spinello libero.  L’aveva già spiegato Paolo Borsellino e oggi lo ripete Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia che in quanto a criminalità ne sa certamente di più di Saviano. Per il giudice, legalizzare la droga per eliminare il narcotraffico «è da dilettanti di criminologia», in quanto «resterebbe una residua fetta di mercato clandestino che diventerebbe estremamente più pericoloso, perché diretto a coloro che per ragioni di età non possono entrare nel mercato ufficiale».

A conferma di ciò, basta vedere cosa succede nel Colorado che Saviano prende a modello. Qui, dove la vendita e la cessione di marijuana ai minori è proibita e severamente punita, trenta grammi di cannabis costano 70 dollari al mercato legale e 25 a quello illegale. Ecco, proprio i ragazzini che non hanno l’età rappresentano quella “la fetta di mercato clandestino” di cui parlava Borsellino. Dunque, che senso ha legalizzare la cannabis se la fascia d'età che la consuma di più e per la quale è più pericolosa non potrebbe comunque acquistarla? Senza contare poi che questo sistema verrebbe ad alimentare le droghe più micidiali, come cocaina e anfetamine, cioè quelle che non potrebbero essere vendute in farmacia.

Dati evidenti e ragionamenti elementari di cui tuttavia Saviano e i suoi illustrissimi fan, Veronesi tra gli altri, se ne impipano. Dopo la marijuana la cocaina: il solco della società stupefacente è tracciato e solo perché fa bene allo Stato. Vale la pena, allora, ricordare quello la scienziata Elisabetta Bertol scrisse sulla Nuova Bussola qualche tempo fa (clicca qui).  Vogliamo liberalizzare totalmente la cannabis e le altre droghe? Decidiamo in tal modo di rischiare la vita o far salire i nostri figli su un treno, un pullman o una nave condotti da personale che liberamente può essersi fatto una canna o un tiro di cocaina, scriveva Bertol: «Ci vuole pensare il professor Veronesi alla ricaduta di questa totale “liberalizzazione” sulla sicurezza stradale? Gli effetti “piacevoli” di una “fumatina” di marijuana durano fino a due ore circa, ma gli effetti avversi, comportamentali e fisiologici, permangono fino a tre-cinque ore dopo l’uso». Altro che “controverso dibattito morale”: qui è in gioco il futuro di una generazione e di una società ormai arresa e disponibile a tutto. Anche a credere alle balle di Saviano.